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Sfida in Australia tra le maxienduro 2018. Qual è la migliore?

L’Australia è un paese unico. Un attimo passeggi per le vie del centro di Sydney, l’istante dopo sei su una strada in mezzo al nulla, attento a schivare canguri ed evitare ragni e serpenti velenosi. Esiste un posto migliore per il confronto tra le 7 globetrotter più interessanti del mercato?
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Il tour che abbiamo ideato simulerà l’utilizzo che la stragrande maggioranza dei motociclisti fa di loro, con moltissimo asfalto, qualche deviazione su strade di terra battuta e la giusta dose di senso dell’avventura. Nel dettaglio, percorreremo circa 2.000 km, di cui circa 150 su sterrato. Partendo da Sydney, disegneremo una specie di rettangolo rivolto verso il basso, muovendoci in senso antiorario (il punto di partenza sarà quindi a nordest), visitando luoghi dal nome musicalmente esotico: Blue Mountains, Katoomba, Billapaloola, Jerrawangala, Kosciuszko, Kangaroo Valley.

In ordine alfabetico, le sfidanti per il titolo di maxienduro del 2018 sono: BMW R 1200 GS Rallye, Ducati Multistrada 1260 S, Honda Africa Twin Adventure Sports, KTM 1290 Adventure S, Suzuki V-Strom 1000, Triumph Tiger 1200 e Yamaha Super Ténéré 1200 (Cliccate qui per le foto). “Keep left” ci ricorda Grant prima di partire.
IDENTIKIT BMW DUCATI HONDA KTM SUZUKI TRIUMPH YAMAHA
Cilindrata 1.170 cc 1.262 cc 998 cc 1.301 cc 1.037 cc 1,215 cc 1.199 cc
Potenza massima (CV) *110,2 *141,7 *86,1 *132,9 *90,0 *141,7 *96,6
Accelerazione 0-400 m (sec.) *11,4 *10,8 *12,1 *10,8 *11,8 *10,8 *11,9
Velocità massima (km/h) *217 *245 *200 *244 *205 *213 *211
Peso a vuoto (kg) *238,1 *238,2 *226,4 *233,8 *227,9 *256,7 *258,9
*dati rilavati dal centro prove
Se c’è una moto che ci ha aiutati a restare svegli nei lunghi trasferimenti iniziali, quella è la Multistrada 1260 S. Innanzitutto ha un faro davvero potente ed efficace. E quando stai guidando di notte, su una strada che non conosci, dall’altra parte del mondo, in quella che per te è la corsia “sbagliata”, non è poco. Ma soprattutto, ha un motore che per sound, cambio ed erogazione ti mette una gran voglia di… giocare col gas. Fa niente se il Testastretta DVT non è il più regolare a basso numero di giri: ai medi ha una gran bella schiena e agli alti spinge con una grinta supersportiva che nessuna normativa potrà mai affievolire. Si sente che nel DNA ha carene in vetroresina e gomme slick. Ecco così che ogni rettilineo diventa un’occasione per portare un po’ di buona musica bolognese nel silenzio dei boschi del New South Wales (la regione dove ci troviamo), passando rapidamente al rapporto superiore, e altrettanto rapidamente scalando quando è necessario rientrare nei ranghi - il tutto, va da sé, senza dover usare la frizione. Meglio di una Red Bull. Ma il lato emozionale non è l’unico per il quale la Multi si fa apprezzare. Ripara bene dall’aria (peccato solo che il bordo superiore del plexi, quando esteso, interferisca col campo visivo del pilota, a meno che non sia uno spilungone), ha una sella comoda, vibrazioni tutt’altro che fastidiose, ottimi freni. Quello che non ci ha convinto fin qui è, in generale, il feeling di guida, ma sospettiamo che le condizioni particolari possano aver falsato il nostro giudizio. Via via che il viaggio proseguirà, però, ogni dubbio svanirà. La differenza più grande tra la Multi e le altre moto in prova è che, nella guida, manca di naturalezza.

Uno degli scenari tipici dell’area che abbiamo visitato è quello di una strada che segue l’andamento collinare del terreno con dolci cambi di pendenza e curvoni ampi e veloci, generalmente ben asfaltata o al massimo rovinata da qualche avvallamento. Ecco: lì dove le sue rivali incassano senza un lamento, capita che la Multi, soprattutto se la velocità è sostenuta, inneschi delle oscillazioni. Nemmeno la posizione in sella è tra le più azzeccate. Ma dalla Multi ci saremmo aspettati di più anche in fuoristrada, perché il terreno affrontato - niente più che qualche lunga sterratona -, è, o meglio sarebbe dovuto essere, nelle sue corde. Il motore però non ha la fluidità ai bassi dei migliori concorrenti né un’erogazione particolarmente lineare, e la posizione di guida in piedi è molto migliorabile. L’ingombro tra le gambe è eccessivo e le pedane, anche senza gommino, sono molto scivolose tanto che, alla fin fine, ci si trova più a proprio agio da seduti.
È il crepuscolo e stiamo dirigendoci verso l’alloggio per la notte, in una lunga e ordinata fila indiana. Succede tutto in un istante: una macchia scura esce dalla vegetazione e attraversa la strada proprio nel momento in cui arrivano le due moto di testa, che con una manovra improvvisa e solo grazie alla fortuna riescono a schivare un wallaby più sorpreso di noi. Caso vuole che a guidare il gruppo ci fossero la Suzuki VStrom 1000 e la BMW R 1200 GS Rallye. Fossero state due moto meno agili, forse, l’evento avrebbe avuto un epilogo diverso. La Suzuki è tra le migliori sorprese dell’avventura quaggiù. Nonostante la cilindrata “piccola” non ha una protezione aerodinamica scarsa o prestazioni loffie. Tutt’altro! Il pilota gode di un riparo più che valido e la spinta del motore, ai bassi e medi, non ha nulla da invidiare a quella delle concorrenti di cubatura maggiore (date un'occhiata ai tempi di ripresa nella sezione dei rilevamenti strumentali). Inoltre il V2 mette a disposizione un’elasticità esemplare che estende il range di utilizzo fin quasi al regime minimo. Nella seconda metà del contagiri la grinta non è nemmeno parente di quella di una Multistrada o di una Super Adventure, ma la verità è che c’è “birra” a sufficienza per tenere il passo delle più veloci sui percorsi tortuosi: garantito.
La V-Strom è un brutto cliente tra le curve grazie anche ad una ciclistica davvero riuscita. Non è solo agile nei movimenti e leggera da manovrare; è molto ben bilanciata e garantisce al pilota una disarmante facilità di guida su ogni percorso, dal garbuglio di tornanti al misto veloce con curvoni da raccordare col ginocchio fuori. Le sospensioni offrono un buon mix di precisione e comfort e i freni sono realmente performanti. Gli aspetti migliorabili sono quelli di sempre: l’aspetto più “povero” - o forse è meglio dire meno “tecnico” - di quello delle concorrenti più costose svilisce un po’ la magia di avere tra le mani una moto pronta all’avventura e la posizione di guida non convince fino in fondo, soprattutto per via di un manubrio un po’ stretto e lontano. In verità, questo infastidisce più che altro in fuoristrada, obbligando a una postura poco naturale (sbilanciata in avanti) quando si guida in piedi. Tolto ciò, lontano dall’asfalto è abbastanza a suo agio. La sella bassa, i fianchi stretti, il peso ridotto e l’erogazione gentile rendono la vita semplice ai meno esperti, mentre chi ha dimestichezza col mondo dell’enduro si rende subito conto che la sua attitudine al fuoristrada finisce alla sterrata.
Se c’è una moto capace di avvicinare la Suzuki in termini di maneggevolezza e facilità di guida, bene, quella è la BMW R 1200 GS, che un’altra volta ancora ha confermato di avere doti di equilibrio davvero rare. Molli la frizione ed ecco che i suoi 240 kg sembrano svanire, permettendoti di fare inversione in una stretta sterrata senza appoggiare i piedi a terra o di goderti la più tortuosa delle strade una piega via l’altra aiutandoti soltanto col gas. Se la GS è riuscita anche quest’anno a confermarsi una tra le migliori globetrotter del mercato è perché la lista dei suoi pregi va ben oltre agilità e facilità. Si può dire che sia, nel gruppo, l’endurona più abile nel soddisfare le più disparate esigenze di guida. Stai passeggiando in punta di gas godendoti il tramonto? Eccoti sospensioni capaci di filtrare anche l’asfalto più brutto e un’erogazione dolce ed elastica come nessun’altra. Ti stai divertendo su un bel misto? Serviti pure: ci sono “medi” ricchissimi di spinta, un cambio elettronico ben funzionante (anche se un po’ troppo contrastato in scalata), una risposta al gas perfetta, un assetto a punto. Sei in modalità “coltello fra i denti”? Nessun problema. C’è cavalleria da vendere, stabilità da regalare, un’elettronica a punto. Persino un gran bel “sound”. Hai di fronte un trasferimento di molte centinaia di chilometri? Puoi contare su una sella molto comoda, sul fatto che le vibrazioni non ti disturberanno, su una posizione di guida semplicemente perfetta. Purtroppo, non su una valida protezione aerodinamica: ok che le gambe sono ben riparate da cilindri e serbatoio, ma il piccolo plexi fuoristradistico lascia esposto casco e spalle. Una buona idea per chi è affascinato dal pacchetto Rallye ma non vuole rinunciare al comfort in autostrada è quella di procurarsi il plexi standard della GS, che ripara alla grande.

La stessa disinvoltura la mostra in fuoristrada: in piedi sulle pedane si scopre una posizione di guida valida tanto quanto quella stradale, la ciclistica conserva quel meraviglioso bilanciamento che fa sembrare tutto facile, i freni sono (di nuovo) impeccabili ed erogazione ed elettronica permettono all’inesperto di muoversi in tutta sicurezza, così come al pilota navigato di avere trazione e prontezza nel derapare. Rispetto a una moto con sospensioni tradizionali - o meglio, rispetto a un’ottima moto con ottime sospensioni tradizionali - la GS è meno abile nel copiare ostacoli pronunciati e sconnessioni accentuate ripetute in rapida successione, sulle quali sembra quasi rimbalzare, più che passar sopra; ma accorgersi di questo, o considerarlo un limite, vuol dire guidare con andatura da esperti.
Se il vostro sogno è una moto capace non solo di muoversi con sicurezza, ma di divertire qualunque sia il percorso che avete davanti, la scelta migliore è la Honda Africa Twin Adventure Sports. Il fatto che sia la più a suo agio in fuoristrada, probabilmente, non sorprenderà nessuno: i cerchi da 21”-18” abbinati a ottime sospensioni a corsa lunga garantiscono la miglior sensazione di sicurezza e controllo su ogni terreno (scivoloso, compatto o rotto), la ciclistica è super bilanciata, l’erogazione del motore è impeccabile (dolce ma pronta) e assistita da un’elettronica a punto, la frenata è modulabile e potente e la posizione di guida è davvero valida. Questo permette a chi non ha esperienza di sentirsi a proprio agio anche nelle situazioni meno rassicuranti (più di quanto accada con la GS), mentre i “manici” si trovano a guidare una moto che permette loro di divertirsi davvero e di affrontare anche terreni impegnativi (di nuovo, più di quanto accada con la GS). Ma se l’Africa, a pari merito con la BMW, ha vinto questa comparativa che, come detto, si è svolta più che altro su asfalto, è perché è una compagna infinitamente piacevole anche su strada, dove regala una guida facile e divertente in ogni situazione. Nello stretto è maneggevole e fluida (quel tipo di moto che ti invita a pennellare le traiettorie con belle pieghe), sul veloce è precisa e, al netto di trasferimenti di carico piuttosto evidenti, più composta di quanto lascerebbe intendere l’escursione delle sospensioni, e sulle strade sporche o sconnesse è la moto più disinvolta e a suo agio del gruppo. Il motore, poi, in questa versione 2018 è gustosissimo. Come il bicilindrico Suzuki, ha un’elasticità apprezzabile e una spinta decisa nella prima parte del contagiri (ovvero, dove serve), col “plus” di un sound profondo e scoppiettante, tanto piacevole da metterti voglia di giocare col gas pure al semaforo. Quando sali sull’Africa sai di non essere alla guida della maxienduro più veloce e sportiva; su un bel misto la GS ha un altro passo. Quello che scopri, è di avere tra le mani una moto che rende ogni metro di strada una goduria. A nostro avviso, l’avversaria più temibile per la Adventure Sports è l’Africa Twin standard, che ha tutti i pregi della A.S. e più di un difetto in meno. Tanto per iniziare è più leggera e, anche per via di sospensioni con escursione inferiore, ha la sella più bassa. L’unico modo per salire agilmente sulla Adventure Sports è essere spilungoni o avere un tappeto elastico di fianco alla moto. E comunque la standard in fuoristrada se la cava alla grande, tanto, come detto, da vincere la comparativa maxienduro dell’anno scorso. Inoltre è migliore a livello di ergonomia: il serbatoio è più snello tra le gambe, a vantaggio della posizione di guida da seduti e da in piedi. Il “plexi” più basso, infine, protegge in modo dignitoso senza interferire con l’orizzonte visivo del pilota come fa, invece, quello (molto protettivo) della A.S. I nostri compagni di viaggio aussie preferiscono comunque la versione in prova per via del maxiserbatoio: “qui l’autonomia è molto importante”, puntualizzano.
Altra moto che non teme alcun tipo di percorso è la Yamaha Super Ténéré, che ha nella stabilità il suo miglior punto di forza. Ci piace immaginarla come una nave rompighiaccio che, lenta ma inesorabile, si apre la strada nelle condizioni più difficili. Alla guida si ha sempre una confortante sensazione di sicurezza che deriva da una posizione di guida azzeccata e dominata da un bel manubrione largo e, soprattutto, da una ciclistica il cui rigore non viene messo in discussione nemmeno dal wallaby suicida. Un’altra caratteristica singolare di Grant, la nostra guida, oltre a quella di essere (a ragion veduta) spaventato all’idea di guidare col buio, era quella di mantenere, nelle ore di luce, lo stesso ritmo in qualunque condizione e su qualunque strada; affrontava di buon passo un tratto guidato con un gran bel grip e con la stessa sicurezza se ne infischiava della pioggia e dei fondi scivolosi. Ecco: in questi casi, il miglior posto per seguirlo senza farsela addosso era proprio la sella della Ténéré. Che è anche, in generale, una moto piuttosto comoda per macinare chilometri. Vibra poco e comunque in modo non fastidioso, ha una sella accogliente, spazio da vendere per le gambe e protegge bene dall’aria. Per il resto passa un po’ in sordina, a testimonianza, forse, di un progetto che inizia a sentire il peso degli anni. In fuoristrada offre una certa sicurezza ma nulla di più (buona la posizione di guida in piedi) e, in generale, la guida risulta poco coinvolgente. La ciclistica è “sana” ma poco maneggevole (i 260 kg rilevati si sentono) e il motore è abbastanza robusto a tutti i regimi ma ha un’erogazione piatta, una frizione abbastanza dura e una trasmissione con un gioco eccessivo nei chiudi-apri. Servirebbero anche freni migliori, soprattutto nella modulabilità, e una più accurata gestione della risposta al gas, che non riesce a essere dolce come sulle rivali più moderne.

Sappiate questo: se quello che volete trovare in box la mattina è la maxienduro più sportiva del mercato, allora dovete correre in un concessionario KTM. Semplicemente, dove si può guidare - e per guidare intendiamo frenare forte, curvare forte e accelerare forte - la 1290 non ha rivali. Ha una ciclistica stabile, reattiva e precisa, freni poderosi, un’elettronica evoluta e performante Non c’è moto nel gruppo che dia la stessa sensazione di sicurezza quando si entra in curva “pinzati”, si azzardano velocità di percorrenza sostenute e si piega fino a grattare le pedane (e sulla Kappa bisogna impegnarsi, per farlo). Così come non c’è moto che abbia un motore tanto entusiasmante. Dal quando si prende in mano il gas, quale che sia il regime, la spinta a disposizione è monumentale e fluida come olio, con una rispondenza tra la rotazione della manopola destra e la quantità di Newtonmetro erogati nient’altro che perfetta. Quello di cui parliamo, è un bicilindrico tanto vigoroso da permettere di andar forte senza che l’ago del contagiri si allontani dalla metà dello strumento; e che nella zona alta spinge con una tale decisione da sollevare l’avantreno anche in terza, e senza essere arrivati al fondo della corsa dell’acceleratore. La maestosa brutalità di questo motore è tale (e tanto invitante) da aver convinto KTM a tarare l’evoluto controllo di trazione in modo lievemente conservativo. Quando si è molto piegati, anche agendo sul gas con più decisione del dovuto, la spinta non supera mai quella gestibile dalla ruota posteriore (a differenza di sistemi più orientati alla performance che permettono alla gomma di derapare e controllano lo slittamento), a favore della sicurezza. E, a meno che facciate Marquez di cognome, senza nulla togliere al piacere di guida.

Una tale efficacia nella guida sportiva si deve ad una ciclistica molto ben bilanciata, come detto, ma anche tendenzialmente (e inevitabilmente) rigida. Le sospensioni semiattive riescono comunque a offrire un comfort di marcia dignitoso e in linea con quella che ci si aspetta da una globetrotter, ma resta il fatto che se le concorrenti sono moto comode che sanno adattarsi anche molto bene a una guida sportiva (è il caso di BMW), la Super Adventure S dà più l’impressione di un’arma da passo domenicale che si sforza di essere anche comoda. Riuscendoci abbastanza. Di sicuro avrebbe bisogno una sella più soffice (disponibile come accessorio), mentre a livello di protezione aerodinamica e vibrazioni non ha nulla da invidiare alle concorrenti puramente tourer. Da buona Kappa, è a suo agio anche lontano dall’asfalto. La posizione di guida in piedi è valida, ABS e controllo di trazione hanno (efficaci) modalità dedicate al fuoristrada, freni e motore sanno essere gentili quanto basta e la ciclistica garantisce una buona sensazione di stabilità. Quello che le si può rimproverare è di non avere lo stesso equilibrio e la stessa leggerezza a bassissima velocità che rendono Africa Twin e GS le più adatte a chi ha poca esperienza; è come se, anche in “off”, la Kappa gradisse una guida a tutto gas.
Altra moto alla quale i limiti di velocità vanno stretti è la Triumph Tiger 1200 XCa, anche se per motivi… agli antipodi, rispetto alla Super Adventure. Tra le curve l’inglese è tutt’altro che una scheggia impazzita; assomiglia più a un grosso SUV, comodo e veloce, col quale pennellare una piega dopo l’altra senza altro obiettivo che non sia il godersi un po’ di buona strada e la spinta fluida, decisa e apparentemente infinita del mastodontico tre cilindri. I 141 CV dichiarati (138 effettivi), le pinze freno ad attacco radiale e le sospensioni semiattive lasciano in qualche modo pensare ad andature brillanti non solo in rettilineo, in realtà la Tiger dà il meglio di sé guidata con gentilezza, con movimenti in sella misurati e azioni dolci su freni e acceleratore. Assecondandola, questo va detto, si tengono medie di tutto rispetto, mentre forzandola con staccatone, cambi di direzione “fisici” (dove per velocizzare la manovra si salta da un lato all’altro della sella e si fa molta forza sul manubrio) e rotazioni decise della manopola del gas, si finisce inevitabilmente per innescare delle oscillazioni abbastanza marcate, anche col settaggio più sportivo delle sospensioni. Guidata al passo che più le si addice è invece una compagna di viaggio piacevole e, soprattutto, comodissima, al punto da ritrovarsi a viaggiare in totale spensieratezza decine di chilometri orari oltre il limite. D’altra parte la velocità è l’ultimo dei pensieri quando stai guidando immerso in uno scenario splendido, perfettamente riparato da un plexi e una carenatura ampi e avvolgenti, con vibrazioni tanto contenute da non farci nemmeno caso e una posizione di guida del tutto rilassante (che ha l'unico difetto di essere fin troppo "stradale", per una endurona). Nemmeno il freddo è un problema, e tantomeno il buio: ci sono sella e manopole riscaldabili e un faro anteriore davvero eccezionale per l’illuminazione che garantisce. Non sfigurerebbe in uno stadio.

Se Triumph mettesse a punto anche un radar in grado di rilevare canguri e similari, nonché un sistema di difesa per il pilota in grado di eliminare qualunque minaccia strisciante, camminante e volante, la Tiger 1200 XCa sarebbe davvero un’ottima moto per attraversare l’Australia, anche alla luce del fatto che in fuoristrada se la cava meglio di quanto il suo aspetto opulento (e i suoi quasi 260 kg…) lascerebbero intendere. Le sospensioni copiano bene le asperità, la ciclistica è precisa, la posizione di guida in piedi valida, l’erogazione del motore ben sfruttabile e l’elettronica a punto; ha anche freni potenti e ben modulabili e un cambio elettronico bidirezionale così piacevole da utilizzare (innesti corti, precisi e poco contrastati) da essere quasi sprecato, abbinato a un motore così elastico.

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