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Qual è la miglior cruiser 2018?

Abbiamo percorso oltre 600 km tra laghi e valli della Lombardia con le tre maxi cruiser più rappresentative del segmento: H-D Low Rider, Indian Scout e Triumph Bonneville Speedmaster. Il confronto ha rivelato che...
1/34 Comparativa Cruiser 2018: Harley-Davidson Low Rider vs Indian Scout vs Triumph Bonneville Speedmaster
Sulla facciata meridionale della torre del municipio di Clusone, in Valle Seriana (BG), l’orologio astronomico di Pietro Fanzago segna il tempo da 435 anni. Sui tre quadranti concentrici, con la grossa lancetta che gira in senso antiorario, si possono leggere il giorno, il mese e le costellazioni dello zodiaco, le fasi della luna, ma anche la durata delle ore di luce e di buio. Oltre all’ora esatta, ovviamente. Sono mossi da un ingegnoso ingranaggio ellittico che rende questo gioiello unico nel suo genere. A fargli da contraltare, ai piedi della torre sono parcheggiate tre moto che sono gioielli meccanici, e che insieme mettono in strada 348 anni di storia. Nella nostra prova girano anche loro in senso antiorario – da est a ovest, passando da nord – su e giù per valli e monti della Lombardia. Sono la Harley-Davidson (fondata nel 1903) Low Rider, la Indian (1901) Scout e la Triumph (1902) Bonneville Speedmaster.

Franciacorta, passo lungo

La nostra comparativa prende le mosse sulle rive del lago d’Iseo – il Sebino – per concludersi dopo tre giorni di curve e tornanti sulle sponde del Lario, alla faccia di chi ancora sostiene che le cruiser siano fatte per strade tutte dritte. Alla fine della prova scopriremo che invece divertono e conquistano anche dove i rettilinei non esistono. Partiamo da Sulzano (BS), ai margini della Franciacorta, tra vigneti e paesini fermi nel tempo. Qui attraccano i traghetti che fanno la spola con Montisola – l’isola lacustre più grande d’Italia – famosa in tutto il mondo per la produzione di reti (da pesca e da calcio) e perché, due anni fa, è stata legata alla terraferma – per poche settimane – dalla passerella galleggiante di Christo. Noi legheremo laghi e valichi con le nostre cruiser con una passerella immaginaria lunga ben 600 km, superando un dislivello positivo di 5.600 metri. Costeggiando l’ansa meridionale del lago, attraversiamo Sarnico (BG) e risaliamo verso nord, passando accanto ai cantieri nautici Riva. Le tre moto, eleganti come un Acquarama, virano dolcemente seguendo il nastro d’asfalto che sembra un’onda orizzontale sul fianco della montagna. Immediatamente prendiamo le misure con ergonomie molto differenti. L’Harley-Davidson è raccolta: sella bassa e soffice, pedane arretrate, manubrio alto e vicino, a corna di bue. La sensazione di controllo è buona, ma si avverte un baricentro un po’ più alto rispetto alle altre due. Sulla Indian il sedere è ospitato da una seduta rasoterra e ben sagomata, ma un po’ dura; le gambe si trovano distese in avanti – forse troppo – e il manubrio reclinato all’indietro offre al pilota una presa delle manopole salda e ampia. Rilassata e un po’ passiva l’ergonomia della Triumph, con sella comoda, pedane avanzate e manubrio beach bar con estremità piegate all’indietro come quello di una Graziella.
Triumph Bonneville Speedmaster
A Lovere (BG) incontriamo Mario, motociclista maturo (ha circa una sessantina d’anni) e curioso: ci chiede delle moto che guidiamo e del percorso che abbiamo in mente di fare. E si propone come guida fino ad un punto panoramico sopra il lago. Oggi non guida la moto, ma ci fa strada in sella ad un vecchio scooter 50 2T, che conduce in maniera un po’ spericolata. Deviando dal tracciato pianificato, lo seguiamo arrampicandoci per stradine strette come budelli e su tornanti aggrovigliati come un serpente nella tana. Fatichiamo a stargli dietro. La Scout, sdraiata a terra e reattiva, gli sta alle calcagna con poco impegno. Persino meglio va la Speedmaster, che restituisce una sensazione di piacevole leggerezza, anche se sulla bilancia mette una decina di chili in più della Scout. Chiude la fila la Low Rider: il manubrio offre una buona leva nelle manovre a bassa andatura e nel complesso è molto amichevole, ma il peso più elevato del gruppo si avverte (290 kg rilevati a secco). E poi le misure non aiutano: interasse lungo (1.630 mm), ruota anteriore da 19” (ha più inerzia delle concorrenti da 16”) e gomma larga al posteriore (180 contro 150 delle altre due) la rendono un po' più impacciata nello stretto. Arrivati in cima, la vista sul lago ci ripaga della fatica nel toboga. La nostra guida ci saluta e ci lascia lassù, indicandoci una via diversa per proseguire il viaggio, più ampia e meno in pendenza: perfetto per tirare un po’ il collo a questi motori.
Harley-Davidson Low RIder

Concerto per acciaio e asfalto

La Low Rider è amichevole, nonostante la strabordante coppia che il V-twin è in grado di scaricare a terra. Frizione non morbidissima, ma ben dosabile, e cambio un po' contrastato e con innesti lunghi non mettono in ombra un carattere di assoluto riferimento. L'erogazione è corposa, ma anche dolce e progressiva. Ha il fiato corto, questo bicilindrico: inutile insistere verso la zona rossa, meglio invece buttare dentro tutte le marce e far danzare la lancetta nella parte bassa del contagiri. Tra le curve, la posizione raccolta aiuta a dimenticare gli oltre tre quintali col pieno di benzina e presto si arriva a strisciare le pedane sull'asfalto, pennellando traiettorie pulite con estrema naturalezza. Indian sembra essere la nemesi della Harley: in basso spinge con poca convinzione, ma dai medi regimi fino al limitatore (appena oltre gli 8.000 giri/min) galoppa con una grinta sconosciuta alle concorrenti e prende giri più rapidamente. Progressione ed elasticità non le mancano e sui valichi è sempre lei ad arrivare per prima. Il merito è anche della ciclistica: stabile, maneggevole, sicura. In una parola: efficace. Tutte e tre le moto hanno sospensioni poco votate alla guida sportiva, con ammortizzatori posteriori che arrivano presto a fondocorsa, ma la Scout ha minori trasferimenti di carico e, nel complesso, forcella e forcellone lavorano meglio, quando si alza il ritmo. La Triumph è di una facilità estrema: compatta e svelta, ha un'ottima maneggevolezza e anche forzando il ritmo ha reazioni neutre e prevedibili. Nelle curve strette è limitata solo dalle pedane basse - le prime del trio a graffiare l'asfalto, seguite da quelle della Indian - ma per il resto è una bicicletta. Peccato che l'ampio e reclinato manubrio non sia disegnato per una guida più attiva: potrebbe dare filo da torcere alla Indian, con un drag bar più dritto, tipo quello della sorella Bobber. Il motore, è vero, ha meno potenza degli altri due, ma è il più lineare, fluido e - in definitiva - godibile. Frizione e cambio sono di burro: cosa volere di più?
Indian Scout

Ballando sotto la pioggia

Il mattino seguente ci attende un trasferimento ad andatura sostenuta lungo la scorrevole superstrada che risale la Valle Camonica fino a Edolo: con la Speedmaster ingaggiamo il cruise control e ci godiamo il paesaggio più che con le altre due. Poi il nastro d’asfalto si attorciglia fino al passo dell’Aprica e si srotola poi giù fino a Tirano. Siamo in Valtellina e puntiamo al suo tetto: i 2.758 metri dello Stelvio. Il ritmo è veloce, le pause limitate ai rifornimenti; si ripete il concerto di pedane che rigano l'asfalto del giorno prima. In tre ore dalla partenza, raggiungiamo il maggiore valico alpino italiano asfaltato: a 2.758 metri sul livello del mare i tre motori, con polmoni più generosi dei nostri, non accusano alcun calo di prestazioni percepibile. Noi invece siamo ebbri di aria rarefatta e guida grintosa. La pausa però dura poco: il sole è presto coperto da nubi scure cariche di pioggia che ci corrono rapide incontro. Imbocchiamo la discesa e acceleriamo il ritmo per non fermarci ad indossare le tute impermeabili, ma la pioggia ci coglie diversi chilometri prima di raggiungere Bormio. L’asfalto bagnato, in discesa, non fa paura.
Le tre cruiser sono salde in curva e nelle staccate prima dei tornanti di rado entra in azione l’ABS. La Scout, con una frenata più pronta, lo richiama in azione più spesso, allungando un po’ gli spazi d’arresto. La Low Rider, nonostante il peso maggiore da rallentare, decelera in sicurezza. Tuttavia il posteriore, un po’ troppo spugnoso, richiede di essere premuto a fondo. Ottima la Speedmaster, unica del gruppo a poter fare affidamento su un doppio disco anteriore: se c’è da frenare forte, lei è maestra, tra le tre. Così raggiungiamo presto Bormio; troviamo un riparo sotto la tettoia di un benzinaio e ci fermiamo aspettando che il temporale si plachi. Insieme a noi, una dozzina buona di altri biker, italiani e stranieri, fanno lo stesso. E nell’attesa ammirano le nostre tre moto, chiedendoci lumi sulla dinamica di ciascuna. L’Harley-Davidson è sempre al centro dell’attenzione: con quel motore imponente e cromatissimo, con la sua splendida verniciatura imperlata di pioggia, è un monumento al concetto stesso di cruiser. Anche Indian e Triumph suscitano tanta curiosità. La Scout non è così curata come le compagne: la qualità di certi componenti (freni, leve, blocchetti elettrici, supporti frecce…) è un po’ povera, ma quel telaio in alluminio pressofuso e quel motore senza alettature parlano di prestazioni elevate anche da ferma. La Speedmaster, elegantissima, con finiture di gran pregio e ottima dotazione (l’unica con leve regolabili, sella apribile e attrezzi, luci diurne, elettronica raffinata), non sembra nemmeno una 1200, tanto è compatta rispetto alle altre due. Quando lo sveliamo ai biker curiosi, rimangono colpiti e le girano attorno con rinnovato interesse. Intanto il temporale è sospinto dal vento giù verso valle, trascinandosi dietro il suo fardello di lampi, tuoni e rovesci.
Ci rimettiamo in sella e puntiamo verso Valdidentro che ancora piove, ma le gocce sulla visiera si fanno sempre più rade. Dopo qualche chilometro quasi in piano, inizia la salita verso il lago di Cancano con i suoi venti tornanti che si arrampicano sul fianco della montagna fino allo stretto valico a guardia del quale troneggiano le Torri di Fraele, costruzioni quattrocentesche che sembrano uscite da un racconto di Tolkien. Il cielo ancora scuro di nubi è lo sfondo perfetto per una storia di orchi e hobbit, e non ci stupiremmo di vedere un nano armato di ascia in mezzo alla strada per sbarraci il passo. Ma tutto è deserto e ci godiamo la salita – e la frescura – ammirando il paesaggio. Sull’asfalto scivoloso andiamo cauti con la Harley: il grintoso V-twin dà tutto e subito. Capita che la gomma dietro perda un po’ di aderenza nelle aperture più repentine nei tornanti. La Indian si gestisce con più facilità, avendo una coppia meno robusta e più diluita. Gli americani proprio non ne vogliono sapere di controlli elettronici... Con Triumph nemmeno ci pensiamo: mappa Rain (che ingentilisce l'erogazione, ma non toglie potenza) e traction control inserito ci consentono di guidare a cuor leggero anche in queste condizioni e mettono una pezza al leggero effetto on/off nella prima parte di apertura del gas.

Ritratto di signora

Ormai al termine della seconda giornata di prova, le nostre tre moto sembrano assumere sembianze umane. Con i loro motori, le loro ciclistiche, i loro caratteri, ciascuna ci ha raccontato qualcosa di sé in questo ambiente alpino, e le immaginiamo personificate. La Harley-Davidson è una ricca signora borghese, una villeggiante un po’ ciarliera, di quelle che amano farsi notare anche nelle gite in montagna con abiti dai colori sgargianti e gioielli preziosi. Non ha il piede sempre saldo durante le escursioni, ma compensa con polmoni generosi. La Indian è la ragazza della valle: ossa sane, muscoli tonici e carattere un po’ rude. Quando c’è da andar su e giù per i monti ha un bel passo, cui le altre fanno fatica a stare dietro. Bada alla sostanza, col rischio però di sembrare trascurata. Se valorizzasse il viso con un po’ di rimmel, magari sciogliesse i capelli e indossasse i tacchi, metterebbe in ombra tutte le altre. La Triumph è la nobile elegante, ma non snob. Quando passa, ci si gira a guardarla, senza che sia vistosa. Voce squillante che risuona in jodel perfetti e grinta da esploratrice. Ma mai un capello fuoriposto sotto il basco da dandy un po’ inclinato, né una goccia di sudore macchia la sahariana attillata. Voi di quale delle tre vi innamorereste? E con quale partireste per un viaggio? Testa e cuore non sempre combaciano, come rivelerà la scheda di valutazione che il Test Team dovrà stilare a fine prova. Pregi e difetti di ciascuna sono quasi tutti ben chiari ora, ma la classifica la faranno i numeri, perché tutte e tre le moto sanno conquistare con caratteristiche diverse.

Bollenti spiriti

All’alba del terzo giorno non aspettiamo troppo a ripartire: il sole scalda già in mattinata e la strada che dobbiamo percorrere - la Statale 38 che corre sul fondo della Valtellina, accanto alle acque tranquille dell’Adda - è trafficata e rovente. Il twin Harley è una bella stufa che irradia calore sulle gambe; specie il cilindro posteriore, così vicino all’interno coscia, può diventare un tormento nella lenta marcia imposta dagli ingorghi. Indian scalda meno. Almeno finché il termostato fa partire la ventola del radiatore: allora sembra di avere un grosso phon acceso sugli stinchi. Discorso simile, ma meno fastidioso, in sella alla Triumph. La neve residua sulle vette intorno a noi sembra un miraggio: dopo Sondrio e Morbegno costeggeremo il Lario fino alla sua estremità sud-occidentale e le temperature potranno solo salire in questa soleggiata giornata estiva. Decidiamo dunque di prenderci un’ultima boccata di fresco deviando in Val Chiavenna e rifugiandoci in un crotto, un anfratto naturale con temperatura costante intorno agli 8 °C. In questa zona abbondano e molti sono adibiti a ristoranti. Un bel modo per godersi il pasto senza sudare. Ma non ci fermiamo troppo a lungo: il viaggio non è ancora finito e abbiamo tutto il lago di Como da costeggiare prima di concludere la nostra prova.
Piona, Dervio, Bellano, Mandello, Lecco: la costa orientale del Lario è un susseguirsi di borghi di rara bellezza degni di una sosta. La strada che li unisce si snoda sinuosa seguendo il profilo delle montagne che affondano i loro fianchi nell’acqua: curve cieche e carreggiata stretta tra roccia e lago non ci consentono sorpassi sicuri. Teniamo dunque il passo – lento – delle auto che ci precedono. Un tormento, direte voi. Invece no. Il bello di queste moto – le cruiser in genere e queste tre nello specifico – è che ti fanno godere anche andando a spasso. Le abbiamo messe alla frusta per tre giorni, limando senza pietà le pedane e tirando i motori allo spasimo. Ma ora siamo pienamente immersi nel mood cruiser, che è fatto di andature serene, piacevoli, rilassate, comode. E con tanto stile. Cruise vuol dire crociera: abbiamo navigato tra i monti ed ora vogliamo farlo sul serio. Al porto di Varenna la facciamo anche noi, ci imbarchiamo sul traghetto fino a Bellagio. Lasciamo riposare le tre protagoniste prima degli ultimi chilometri fino a Como e Cernobbio, il paese lariano dove ogni primavera il Concorso d’Eleganza di Villa d’Este elegge la moto d’epoca più raffinata. Ora però tocca a noi eleggere la vincitrice: la classifica del Test Team è stilata nel tempo della traversata sul lago: a terra approda regina della comparativa la Triumph Bonneville Speedmaster. È lei la più equilibrata e coinvolgente cruiser del 2018.
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