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di Luca Nagini
13 September 2019

Come nasce una Triumph? La nostra visita all'azienda

In visita a Hinckley per raccontare come nasce una Triumph, dallo sketch su carta alla produzione di serie. E scopriamo che la qualità e la cura dei dettagli si cerca sin dall'inizio, quando un nuovo modello è ancora solo una serie di disegni

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Se c’è un Marchio che si riconosce per le linee pulite ed eleganti delle proprie moto, è sicuramente Triumph. Nella gamma attuale della Casa inglese, troviamo modelli che puntano molto sull’elevata qualità, su finiture di pregio e su un design ricercato in ogni particolare. Il recente rinnovamento dei modelli della famiglia Bonneville è forse l’esempio più lampante. Una visita nella sede Triumph, ad Hinckley, ci ha permesso di conoscere i segreti dei motori destinati alla Moto2 e di assistere di persona come nascono le moto, dal primo bozzetto alla catena di montaggio.

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Su tutte le Triumph, le parti meccaniche sono in bella vista; a partire dal motore che diventa elemento integrante del design. La forma dei carter, la fitta alettatura di raffreddamento sui cilindri, la disposizione dei tubi degli impianti di raffreddamento, la posizione dei cablaggi elettrici: tutto viene deciso in fase di progetto per valorizzare alcuni aspetti e nascondere alla vista tutto quello che non è gradito. Passate davanti alla vetrina di un concessionario Triumph e verificate: vedete forse fili o cavi esposti? Sono dettagli che contano. Ma pensiamo anche ai telai di moto come Speed o Street Triple: sembrano una struttura in tubi curvi, in realtà si tratta di un’unica fusione di alluminio. Durante la nostra visita alla factory di Hinkley, i nostri interlocutori sono Stuart Wood e Steve Sargent, rispettivamente Chief Engineer e Chief Product Officer di Triumph. Nella stanza dove conduciamo l’intervista è presente una Scrambler 1200 XC: quale esempio migliore per prendere in esame i dettagli curati (ne avevamo già parlato durante il primo test, Motociclismo 02/2019)? Date un’occhiata alle curvature dei collettori di scarico che escono dal motore: non solo hanno un raggio variabile, ma si “attorcigliano” come se fossero cavatappi. E non è finita. Dove sono i catalizzatori, elemento più ostico da nascondere alla vista su tutte le moto moderne? Sono “annegati” dentro i tubi di scarico stessi, che presentano una doppia camera interna (in pratica, due tubi concentrici, uno dentro l’altro). Ma, dall’esterno, non si vede nulla.

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Fino ad ora abbiamo parlato solo di teoria, ma la nostra visita a Hinckley passa anche dal museo Triumph (aperto a tutti), che integra una parte didattica per consentire di capire come è sviluppato un nuovo modello. Quando il progetto per una nuova moto è stato definito, viene realizzato un primo “manichino” artigianale, con componenti non metallici, ma in clay. Questa argilla è modellata e rimaneggiata, fino ad ottenere un risultato estetico che soddisfi tutte le richieste avanzate in fase progettuale. I componenti più complessi, anche quelli meccanici, sono stampati in 3D e serviranno anche come modello per la produzione di serie. A questo punto un primo prototipo viene messo in strada. O meglio, in pista: i primi passi vengono compiuti in circuito dove la moto, ancora in fase embrionale, dispone di molte regolazioni su ciclistica ed ergonomia. In questa fase vengono provati vari assetti, con diverse quote ciclistiche, differenti posizioni di sella, manubrio e pedane. Questo perché la progettazione a computer, pur molto precisa e raffinata, non può sostituire il giudizio umano per approvare le soluzioni migliori. Ecco allora che la moto può essere allestita in versione definitiva, pronta per essere messa in produzione, ma c’è ancora un importantissimo lavoro da svolgere: i test su strada, con i primi prototipi-definitivi, dotati di una strumentazione aggiuntiva che monitora una grande varietà di dati. Ovviamente sono svolti estenuanti long-test (Triumph utilizza soprattutto le strade spagnole), per mettere in luce eventuali problemi che possono insorgere solo dopo svariate migliaia di chilometri.

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Nella fabbrica di Hinckley lavorano circa 850 operai, impiegati nella realizzazione dei componenti meccanici più complessi e nell’assemblaggio dei modelli di alta gamma. Triumph ha aperto fabbriche anche in India, Thailandia e Brasile, che lavorano con la stessa qualità produttiva inglese. Nella linea di montaggio, si assemblano tutti i componenti che arrivano dai diversi stabilimenti nel mondo, oltre all’assemblaggio del motore completo. Noi abbiamo avuto modo di assistere alla produzione delle Tiger 1200, accompagnati da Jamie Looker, Chief Operating Officer. Partiamo proprio dall’assemblaggio motore: ogni passaggio è schedato e memorizzato, per risalire ad eventuali difetti, e ogni accoppiamento viene eseguito con attrezzi multi-funzioni digitali, che calibrano alla perfezione la coppia di serraggio di ogni vite, senza possibilità di errore. In questa sede sono anche lavorati l’albero motore, forse l’elemento meccanico più complesso e difficile da realizzare. Ci dicono che partendo da un pezzo di acciaio forgiato grezzo, vengono eseguiti diversi passaggi su macchine automatiche a controllo numerico – torni e frese – fino ad ottenere il pezzo perfettamente rifinito e bilanciato. L’impianto elettrico viene pre-assemblato, perché su questo modello è particolarmente evoluto (sulla Tiger 1200 XCA abbiamo le sospensioni elettroniche semiattive, piattaforma inerziale e molti sensori di controllo, fari supplementari e sella riscaldata, solo per citare alcune particolarità). A proposito di sospensioni elettroniche: Triumph usa materiale WP, ma tutta la logica di funzionamento è sviluppata internamente qui a Hinckley.

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Lungo la linea di montaggio, sono eseguiti controlli qualità a campione. Come ultimo passaggio, la nostra visita approda al reparto verniciatura. Contrariamente ad altre stazioni della catena di montaggio, qui nulla è automatizzato, è il regno della manualità: le forme delle carene e dei serbatoi sono estremamente complesse, e cambiano totalmente da modello a modello. Come in una sala operatoria, tutto è perfettamente pulito e sigillato; nella cabina di verniciatura non deve entrare neanche un granello di polvere. Ai componenti della carrozzeria vengono applicate due mani di vernice, dallo spessore di 25 micron l’una (un micron è la millesima parte di un millimetro), poi uno strato di trasparente protettivo. Quindi sono posate le decalcomanie e, per finire, una seconda mano di trasparente. Ma attenzione, se avete guardato con cura il serbatoio di una Triumph Bonneville, avrete sicuramente notato che tutti i filetti non sono adesivi. Per tracciarli, ci sono solamente due operai specializzati, che li dipingono rigorosamente a mano libera, secondo la tecnica del pinstriping: un pennello sottile a setole lunghe, che viene utilizzato con mano ferma e leggera. Basta una pressione appena più calcata per far allargare le setole, con conseguente deformazione della linea. Ci vuole grande maestria e abilità. Per dare valore a questa lavorazione, ogni serbatoio cela la firma dell’artista che l’ha eseguito: togliete la sella e la troverete alla base posteriore.

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