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Claudio e il giro del mondo senza fine (in Moto Guzzi)

Partito nel 2008 per le Americhe in sella alla sua California di terza mano Claudio Giovenzana è tutt’ora in giro per il mondo. Durante questi cinque anni è diventato un fotografo professionista e si è appassionato alla scrittura che, secondo lui, è la quintessenza del viaggio

Claudio e il giro del mondo senza fine (in moto guzzi)

Dopo aver conosciuto Totò Le MotòGionata Nencini e Simone Cannizzo, oggi parliamo di e con un altro "traveller": Claudio Giovenzana

 

Durante un viaggio in Marocco, attraversando l’Atlante in bus, Claudio ha cominciato a pensare quanto sarebbe stato “folle” e bello lasciare tutto e partire. Stava leggendo un libro di Giorgio Bettinelli e, guardando dal finestrino un tramonto che si consumava sulla linea perpetua delle montagne, cominciò a domandarsi: “Perché anch’io non posso girare il mondo?”. Lo ispiravano anche altri scrittori come Terzani, Fallaci, Bettinelli, Kapucinsky, Sepulveda, Chatwin, Cacucci: “Gente che in un mondo diverso, in un’epoca diversa ha sciolto gli ormeggi per dar fondo al proprio desiderio nomade per noia, per ricerca personale, per vocazione alla divulgazione, per caso”. Col tempo la fantasia è diventata decisione: si è fatto prendere come “garzone” nella concessionaria Moto Guzzi Millepercento (Verano Brianza) per imparare a mettere le mani sulla moto e ha comprato una California di terza mano ad un prezzo imbattibile (scoprendo in seguito che era incidentata). Ha spedito poi la moto tramite container a Neuark, vicino a NewYork e ha iniziato il suo viaggio: dagli USA verso il Canada attraversandolo verso Ovest per poi discendere lungo la West Coast e le Montagne Rocciose. L’idea iniziale era quella di attraversare le tre Americhe ma, dopo 5 anni, è ancora in Messico: qui si è innamorato e ha cambiato le sue traiettorie diventando “reporter” e viaggiando per conoscere i Paesi più che per percorrerli: “Mentre il mio blog veniva aggiornato sporadicamente e qualcuno pensava che non viaggiassi più, ho fatto 70.000 km, passando dalle pendici dei vulcani ai deserti, collaborando con realtà come Greenpeace, il governo Messicano e la Croce Rossa”.  Il suo obbiettivo era ed è un giro del mondo che duri anche tutta la vita. Non ha fretta né missioni a cronometro da compiere: “I miei progetti sono lasciare il Messico (che dopo decine di migliaia di km non lo sento più come una terra di frontiera), realizzare un blog in inglese per farmi conoscere internazionalmente, riprendere a scrivere. Credo che la scrittura sia la quintessenza del viaggio, non la mollo anche se credo che non mi darà da mangiare. Soprattutto voglio continuare ad evolvermi come fotografo e videomaker… Ho preso sempre più in considerazione la macchina fotografica come veicolo transculturale, rapido e moderno per raccontare a chiunque qualsiasi cosa”. Nel 2008, quando era in strada da poco, ebbro di entusiasmo ma ricolmo di dubbi sul suo futuro, grazie all’amico velista e (giramondo pure lui ) Edo Passarella, alcuni suoi scatti finirono nelle mani del direttore di National Geographic Channel, che gli propose di fare parte del loro staff e condividere il suo materiale attraverso i loro canali. Fu così che le sue foto (guardate la nostra gallery per qualche esempio) divennero il complemento di questo viaggio in moto che, mese dopo mese, anno dopo anno, è diventato la sua vita (www.longwalk.it).

 

 

Partiamo dall'inizio di tutto: tu sei uno psicologo e per te il viaggio è un'opportunità per studiare l'uomo. Che cosa hai scoperto in questi anni lontano da casa?

Domanda alla quale non so rispondere: avrei bisogno di 10 collane di 8 volumi. Ho riconosciuto per certi versi nel detto“tutto il mondo è paese” una piccola verità che mi fa credere che l’uomo e la sua ricerca della felicità sia abbastanza simile in tanti posti del mondo. Ma ho osservato anche notevoli differenze nelle priorità date ai valori che determinano la nostra vita. Attualmente mi trovo una realtà carente di tantissime cose, tra cui le più importanti sono cultura, sicurezza ed educazione eppure è uno dei Paesi più felici del mondo. Questo fa pensare molto.

 

Perché hai scelto l’Ovest?

Perché, tolta la spedizione in container, mi sembrava la scelta più facile per via delle minori richieste burocratiche e della cultura di Usa ed America latina, che sento più vicine. Per l’Africa e l’Asia ero demoralizzato dalla richiesta di visti, carnet, barriera linguistica, distanza culturale.

 

Esattamente qual è stato il tuo percorso nelle Americhe?

Sono partito da Newark, vicino a New York, e sono andato a Nord entrando in Canada alle cascate del Niagara, ho attraversato il Canada sino alle Rocky Mountains, poco prima di Vancouver e sono rientrato negli Usa nel Montana per poi raggiungere la costa della California. Ho fatto frontiera con il Messico a Tijuana e poi in Messico. Poi ho iniziato a viaggiare "in cerchio”: partivo dal centro del Messico ed esploravo gli Stati adiacenti sempre più lontani, tornavo dalla mia bella, a Guanajuato, scrivevo pubblicavo, battevo cassa e ripartivo. Poi sono iniziate collaborazioni con istituzioni varie come Croce Rossa, Greenpeace Governo Federale ed istituzioni incaricate di gestire aree protette che mi hanno spinto in svariati posti specializzandomi più nella fotografia che nella parola scritta.

 

Che cosa ti ha trattenuto in Messico?

Mi ha trattenuto l’aver incontrato Olga (la sua compagna ndr) ed un collaborazione con una rivista che mi ha permesso di fare quello che tanto desideravo, “l’articolista” (definire noi motoviaggiatori come reporter mi sembra eccessivo). Poi i libri di Cacucci mi hanno messo tanta curiosità e mi hanno fatto rendere conto che il mio sguardo era quello frettoloso di un mangiachilometri e quindi ho rallentato il ritmo e pensato a conoscere più in profondità il Paese che mi ospitava. Il Messico all’inizio è stata una base felice per sperimentarmi in una nuova vita di viaggiatore e fotografo. Nessuna partita IVA da aprire, nessun affitto stellare da pagare… Un Paese dove sono stato pezzente dall’inizio, ma con dignità, felicità e potenzialità di fare e divenire. Poi la mia situazione economica e quella professionale sono decisamente migliorate mentre è peggiorato il mio rapporto col Paese.

 

Che cosa oggi, in Messico, ti spinge a ripartire?

Ho vissuto esperienze forti, non sto ora a narrarle, ma l’ondata di violenza che sta colpendo il Paese ha colpito me, Olga, i nostri amici. Nondimeno sono stufo di una cultura del “mañana” dove puntualità e qualità sembrano circostanze eccezionali piuttosto che standard ai quali la gente ambisce. C’è chi, come certi narratori, è venuto qui per cercare un Messico virtuoso pieno di artisti e rivoluzionari e chi, come me, si è lasciato trasportare dai venti, dalla curiosità e dalla necessità incontrando anche quella società sedentaria, piatta negli ideali come nella cultura che mai cambierà ne apporterà nulla a nessuno. Oltre a questo ho visto la tendenza a sistemare le cose sottobanco e per sotterfugi… dai vertici della politica sino all’uomo della strada. E poi mi hanno rubato tutto, e quando dico tutto intendo proprio TUTTO quello che di materiale avevo nella vita (esclusa la moto)… Questo è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso. Mi perdonino le tante persone buone, operose ed oneste che costituiscono "La Resistance” del Paese. Ma adesso si riparte.

 

Negli anni che ti sei fermato in Messico ti sentivi in viaggio o in qualche modo avevi trovato una nuova casa?

Sì, mi sentivo in viaggio, ho sempre vissuto con una borsa piena di vestiti come casa, ed un altra piena di attrezzatura come ufficio. Ho sempre avuto l’idea che tutto dovesse ficcarsi nella moto per poter partire più agilmente possibile. Ho vissuto in diversi posti senza mai sentirmi a casa. Magari solo una fumosa ipotesi di venirci un domani a vivere. Anche se in Messico ho la residenza anagrafica non pianifico qui un futuro, voglio continuare a spostarmi ed andarmene più a Sud.

 

Dove sei ora?

In questo momento sono a Mahahual, Quintana Roo, un bel posto di mare che ospita un festival culturale internazionale alla sua sola seconda edizione. Esporrò 40 delle mie foto. Qui con me ci saranno scrittori, scultori, fotografi, registi… Cerco ossigeno per la mente ed ispirazione per le mie passioni.

 

Quale sarà la tua prossima meta?

Finito il festival, prima di ritornare in Italia per i mesi estivi, dovrò spendere qui ancora una buona manciata di settimane. Non so se andare a Cuba, girovagare in Centro America o tornare in Messico centrale a finire un promo per la Croce Rossa. Dopo la pausa italiana, a meno che non si profilino all’orizzonte incredibili opportunità, pianifico di rientrare in Messico ed andare verso Sud, questa volta fermandomi meno a lungo, tenendo un ritmo di viaggio più serrato.

 

In questi anni il viaggio è diventata la tua professione: scrivi reportage, fai foto, video... È cambiato lo spirito con cui ti muovi da quando è diventato il tuo lavoro? Ha perso di poesia? Riesci a viverci?

Ricorderò tutta la vita l’emozione della partenza, dei primi mesi e dei primi km: emozioni fresche descritte nel mio libro “Transcanada” (acquistabile sul suo sito www.longwalk.it ndr). Questo primo contatto con la libertà non può per definizione durare. Certe emozioni, inclusi certi livelli intensi di felicità, non possono essere eterne, si possono rinnovare e ripresentarsi ma non saranno mai la colonna sonora del viaggio. Sì! Confesso di aver in parte perso la poesia iniziale: talvolta la stasi forzata e il lavoro mi hanno rimesso addosso un po’ di quello stress che pensavo di aver abbandonato in Italia. Alle volte mi sono annoiato aspettando che le cose succedessero, altre mi sono adirato come mi adiravo a Milano, anche se accadeva sotto un sole tropicale. Allo stato attuale non sono più economicamente sul lastrico, vendo bene foto e video e lo faccio da nomade digitale: posso essere ovunque e guadagno molto meglio di quando ero in Italia. Questo è costato durissimo lavoro e qualche episodio di perdizione ed infelicità. Non cambierei la mia condizione attuale per la poesia o la magia di quando iniziai nel 2008 con tanta ingenuità e sogni ma senza soldi, lavoro, talento e inquadramento.

 

Come è cambiata la figura del viaggiatore? C'è ancora spazio per l'esplorazione?

Come dicono gli eschimesi, le uniche dimensioni che sono rimaste per l’esplorazione sono SOPRA e SOTTO e DENTRO. Sopra nello spazio, sotto negli abissi dell’Oceano e dentro di NOI. Sembra retorica New Age ma sono convinto che questa qualifichi il come viaggiamo, il cosa cerchiamo. Oggi proliferano i modi di viaggiare, nascono nuovi record ma anche nuove idee… ho conosciuto chi viaggia a piedi, chi offrendo microcrediti alle persone bisognose, chi sulle tracce di stili musicali, chi facendosi ospitare ogni notte, chi lo fa a tutta velocità e nel minor tempo possibile e chi evitando gli asfalti percorre solo praterie, steppa o deserti. Insomma, oggi se parli con un inglese, uno statunitense o un australiano e dici che fai il giro del mondo ti fa sentire che sei solo un pirla come un altro. Se fai un’impresa non sei in automatico un pioniere, un innovatore, un eroe o una persona migliore. Sei uno come tanti che guarda il diverso, si trastulla con l’esotico e cerca mete lontane per conoscere e crescere. È il “come lo fai” che genera uno spazio di esplorazione. Io, dopo 5 anni, ho ancora tanti dubbi, segno che la mia personalità cambia come cambia la geografia. All’inizio ero partito raccogliendo storie di ricerca della felicità, poi sono diventato fotografo, videomaker, ho scritto un libro, ho rifatto lo psicologo con i bambini di una comunità di minatori, ho avuto un improvviso amore per la filosofia, ho fatto il militante Greenpeace come aveva fatto Luis Sepulveda agli esordi . Ultimamente sto pensando che dovrei provare il giornalismo: dopo che leggi la Fallaci e Terzani viene facile questo prurito. Stavo per andare in Michoacan a conoscere gente che si è levata in armi cacciando dalla sua terra tutti i narcos e la polizia corrotta, un fenomeno di rivoluzione armata in nuce. Là un ragazzo motociclista gringo è misteriosamente sparito e nessuno sa più nulla da un mese. Forse è morto… avrei potuto essere io al suo post. Quindi ho spento questo desiderio, ho preso la moto per macinare km ed andare ad un festival culturale dimenticandomi un poco di queste febbri giornalistiche. Ma, poi, conoscendo il presidente del festival, che in Italia era stato uno dei dirigenti del Partito Comunista negli anni di piombo e ha conosciuto Moro e Pasolini, mi è ritornata la voglia di fare giornalismo. Insomma, mi scuso per la confusione, è solo che vorrei far capire quanto un viaggio possa fare un viaggiatore, costruire un nuovo spazio di esplorazione, stortare una personalità e lanciarla verso nuove avventure. Il viaggio provoca tensioni interne, voglia di diventare, imitare, provare… Intanto la persona si fa, si rimescola, si trasforma e con lei i suoi scritti, il suo contributo al mondo, la sua arte, il suo lavoro, la sua dialettica. Il Come fa l’esplorazione. Ma se troviamo ancora un buco inesplorato nel pianeta dove ficcarvi con un taccuino o una telecamera, vi prego, andiamoci!

 

Qui da noi è un proliferare di globe-trotter: tanti vorrebbero farne la loro professione, pochi, in realtà, ci riescono. Chi, secondo te, è in grado di fare la differenza, di lasciare il segno?

Chi capisce la differenza tra liberarsi DA qualcosa ed essere liberi DI fare qualcosa. Il globe-trotter cerca una rottura di catene ed una libertà tanto piena di energia quanto adolescenziale e forse immatura. Quando ti sei Liberato Dalla tua realtà godi e ti senti pieno di vita, ma a questo, con i mesi o gli anni, deve seguire un progetto dove lo spazio di liberta viene riempito DI qualcosa. Ci vuole un progetto, una struttura, un piano, una strategia, una ipotesi ed ovviamente anche una professione. Un globe-trotter può essere uno che si sposta dal punto A al punto B per centinaia di volte e torna al punto di origine... bene, ha girato il mondo, ed allora? È forse questa una professione? Ha forse lasciato un segno particolare? Direi di no, ha accumulato esperienze, ma devi costruire una identità, anche professionale, per farne un lavoro. Puoi girare il mondo facendo il camionista e trasportando qualcosa, ma allora devi imparare l’arte di guidare. Puoi girare il mondo producendoo articoli, allora devi essere capace di scrivere e farti conoscere. Puoi girare il mondo facendo il testimonial, allora devi conoscere molto bene i canali su cui vuoi passare un messaggio: html, social network, trans media, blogging, SEO e parlare bene l’inglese. Puoi farlo facendo foto e video, ma allora devi applicarti e non basta fare due sorrisi mentre ti autoscatti di fronte al cartello che reca il nome di una Paese lontano lontano. Insomma, è un bel sogno pensare di partire, girare il mondo con pochissimi soldi e poi quando torni vedi la Feltrinelli che ti aspetta al traguardo con gli striscioni ed il contratto in mano per il tuo Libro, pronto per una prima tiratura di 50.000 copie. Io consiglierei di partire per un’istanza personale di curiosità, di ricerca, di ispirazione, di rottura, magari anche di semplice fuga. Poi, strada facendo, si esplorano possibilità di prolungare questo stile di vita che, pian piano, diventa una professione. Vuoi lasciare il segno? Gira il mondo in un modo unico.

 

Puoi dare 3 consigli a chi si accinge a girare il mondo?

Tre qualità: curiosità, adattabilità, umiltà 

 

Puoi dare 3 consigli a chi vuole diventare un fotoreporter?

Tieniti più che puoi una macchina al collo e gioca per tante ore con tanti soggetti diversi. Guarda riviste, mostre, capisci che il bello non è solo soggettivo ma ha basi innate studiate da Leonardo da Vinci in avanti. Poi gioca ancora, mitraglia di scatti, buttali, rifalli. Cambia posto, portati appresso uno che gli piace questo gioco e gioca con lui. Esci la sera senza idea che ci sia nulla di buono da fotografare, ma portati la macchina e fatti prendere da quel dettaglio o da quella scena viste mille volte.

 

Le tre foto migliori che hai fatto e le tre che non sei riuscito a fare ma che rimangono indelebili nei tuoi ricordi?

Sono più le foto perse che quelle portate a casa. Sicuramente alcune delle migliori che consideravo tali anni fa oggi sarebbero la mia vergogna. Consiglio di vedere qui lavori che OGGI considero buoni

 

Fra i tuoi ispiratori c'è Giorgio Bettinelli. È stato e rimane un riferimento per molti, anche perché non c’è un gran ricambio di "modelli". Perché ci sono così pochi scrittori di viaggio in moto?

Perché si curano più dell’arte del viaggiare che di quella del raccontare, ma le due vanno a braccetto e se ci è venuta voglia di viaggiare leggendo libri significa che chi li ha scritti ha considerato parimenti importante raccontare e vivere. Certo per alcuni la scrittura rimane solo una dimensione interiore, emotiva e preverbale, insomma privata. Vinicio Capossela, quando commemorava Giorgio diceva: “La vera rotta di Giorgio era la carta” era lo scrivere dopo la fotografia, consente di maneggiare la bellezza del vissuto una seconda volta. Quando è morto Giorgio sono stato molto triste e mi sono avvicinato ad un suo amico: ci siamo parlati e gli ho chiesto tanto di questo vespista così carismatico che ho incontrato di persona solo una volta. Abbiamo convenuto che Giorgio era un talento ma non uno scrittore così eccelso. Personalmente credo fosse un insieme di caratteristiche peculiari: antieroico, scanzonato e un po’ musico, poliglotta, scrittore, uomo di cultura. Se, però, analizziamo ogni singola sua inclinazione il giudizio va ridimensionato: come scrittore non fu meglio di molti altri che lo fanno di professione, come fotografo… lasciamo perdere; come viaggiatore è forse superato da chi, oggi, viaggia con mezzi molto più sfigati di un 150 cc. Se oggi girasse il mondo in Vespa sarebbe qualcosa di visto e rivisto. Ma al suo tempo fu geniale, innovativo. Gli devo molto, in particolare una scintilla che nel momento giusto mi ha acceso il desiderio dell’Altrove. Lo considero grande sopratutto perché era una persona affamata di vita, conoscenza, poesia, ideali. Anche se faceva km come un pazzo cercava la cultura dei Paesi che visitava, le lingue ed il modo per raccontarli. Poche persone hanno colto il disagio e l’instabilità che lo condannavano a questo perenne movimento. Per tutti era un idolo positivo, ma provate a leggere tra le righe dei suoi libri, magari l’ultimo. Torniamo a noi: ricordiamoci che il motoviaggiatore può essere uno che va dal punto A al punto B in moto. Fine della storia. Eppure suona esotico e fico, quindi gli diamo una connotazione magica, attraente, avventurosa, pionieristica, densa, profonda, innovativa, coraggiosa, esaltante… mentre se diciamo “pendolare” non suona fico, ma anche lui va da un punto A a un punto B. Chi prende in mano la moto talvolta non è interessato o capace di prendere in mano la penna. La moto non ci da nessuna qualità umana o talento in più. È un mezzo certo meno invasivo, inquinante, più aperto al mondo di altri, permette di raccoglier tanta materia prima ma poi processarla, raffinarla per diffonderla con la scrittura è una lunga strada, ma non di asfalto. 

 

Viaggi sempre con la tua Guzzi California di terza mano? Non senti il bisogno di cambiarla?

No, ho scoperto due mesi fa che all’inizio del viaggio pensando di regolare il minimo della moto sputtanavo regolarmente la vite di registro dei corpi farfallati con il risultato che ho avuto il cilindro di sinistra che tirava più di quello di destra per 5 anni e 70.000 km. Adesso li ho regolati con il vacuometro ed ho la moto che tira che è una meraviglia, mi sembra nuova, sono felice e non voglio cambiarla. Se mi farò un altro giro del mondo magari mi prendo una Guzzi più moderna, potrei cambiare marca sì, ma non accetto di non conoscere la meccanica del mio veicolo.

 

Hai sentito cosa è successo in Ucraina? Normalmente segui cosa accade nel mondo?

Sì, mentre lavoro sulle foto-video sento sempre podcast con notizie internazionali ed anche italiane. 

 

Sai chi è Renzi?

Sì.

 

Che idea hanno degli italiani in America? Ci descrivono sempre con spaghetti, pizza, mandolino?

L’idea è “spaghetti pizza mandolino”, ma si sono aggiunti anche Berlusconi ed il “bunga bunga”. Siamo generalmente ben accetti e visti come ignorantoni simpatici ed alla mano. Non abbiamo una fedina penale sporca per i Paesi da questa parte del mondo.

 

Quale errore non rifaresti?

Fermarmi troppo tempo in un posto e permettere alla noia di sopraffarmi.

 

Qual è stato il momento più brutto che hai affrontato in viaggio?

Il furto di tutta la mia attrezzatura (7.000 euro), gli ultimi anni di sacrifico della mia vita.

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