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16 June 2010

Bikers Classic 2010: quattro giorni con i guzzisti

Quattro gironi di viaggio da Mandello del Lario (Lecco) a Francorchamps (Blegio) e ritorno con la Moto Guzzi, per vedere la Bikers Classic.

GIORNO 1

Lione (FRANCIA) 10 giugno 2010 – GIORNO 1 Arrivo a Mandello del Lario (Lecco) poco prima delle otto del mattino, con qualche minuto di anticipo sull’appuntamento: giusto il tempo di un caffè al bar di un distributore con esposto in vetrina un Falcone color avorio, che sembra appena uscito dalla fabbrica. Tutto qui profuma di Moto Guzzi, dall’omonimo circolo canottieri al cartello posto sotto il nome del comune che recita “città dei motori”. Incontriamo il gruppo davanti al cancello della sede storica al 57 di via Parodi, tutti già in fibrillazione per il viaggio che ci attende. Già, perché siamo qui per accodarci ai fedelissimi guzzisti, coordinati dal Moto Guzzi World Club, che assisteranno alla Bikers Classic, la seconda prova del Campionato del Mondo di moto storiche che si svolgerà nel fine settimana sul mitico circuito di Spa-Francorchamps. Il programma della Bikers Classic prevede, oltre alla 4 ore di Endurance in cui si sfideranno 11 team Moto Guzzi, la sfilata delle più famose Moto Guzzi da competizione, dalla Bialbero 350 del 1953 alla 8 Cilindri del 1956. Per tutti i possessori delle due ruote di Mandello sarà anche possibile fare 2 tornate dei 7 km di asfalto che compongono il circuito. Il programma è davvero ricco, e i nostri compagni di viaggio non vedono l’ora di mettersi in movimento, anche perché oggi ci attendono più di 500 km. Raggiungeremo infatti Lione, per la nostra prima tappa di avvicinamento verso il Belgio; lì faremo visita al concessionario Moto Guzzi “Nomade 69”, dove incontreremo altri guzzisti transalpini che si uniranno al nostro gruppo. Dopo una breve presentazione, si monta in sella. Ci sono delle Norge, delle Stelvio, una V11 e una Griso Special Edition. In un angolo due piccole V7, una Classic e una Cafè Classic destinate agli accompagnatori. La più sportiva è l’unica rimasta. Tra lo stupore generale partiamo in anticipo rispetto al programma e raggiungiamo Milano, per poi imboccare l’autostrada verso Torino. A 130 all’ora il motore della Cafè Classic frulla allegro a 5.000 giri. Noi lo siamo un po’meno, anche perché a causa delle vibrazioni, alla prima sosta caffè-benzina a Novara abbiamo già perso la sensibilità di ogni parte del corpo che è stata a contatto con la moto. Proponiamo quindi uno scambio all’altro accompagnatore, non entusiasta della sua cavalcatura, e ci accomodiamo sulla V7 Classic. Bastano pochi chilometri per renderci conto che la posizione di guida ci si addice maggiormente e che il propulsore sembra trasmettere meno vibrazioni sia sulle pedane, sia sul manubrio; chi guida ora la Cafè Classic ha le stesse nostre sensazioni: ognuno ha trovato la giusta compagna di viaggio. Visto che il tempo sembra tenere, decidiamo di abbandonare l’autostrada a Susa, per attraversare il confine con la Francia al valico del Moncenisio (2.083 mt s.l.m.). Curva dopo curva la temperatura scende rapidamente fino a toccare gli 8 gradi, dai 28 a cui eravamo abituati in pianura. Il freddo è intenso, ma non ci impedisce di godere del panorama delle montagne e dei mille rivoli d’acqua che scendono dai fianchi dei declivi. Dopo esserci arrampicati sugli ultimi tornanti del valico ci accomodiamo a tavola per il pranzo, consistita in un piatto di carne e patate fritte per tutti. La discesa sul versante francese è molto più dolce, e un timido sole fa capolino per pochi minuti, bucando il tetto plumbeo che ci aveva accompagnato fin da Torino. Raggiungiamo di nuovo l’autostrada. Lo stillicidio di barriere di pagamento francesi, sistemate a pochi chilometri l’una dall’altra, è una fonte di distrazione che spezza la monotonia dei rettilinei autostradali. Il percorso fino a Lione è lungo, e la sonnolenza dovuta alla digestione si fa decisamente sentire tanto che siamo costretti a fare una sosta caffè extra per non addormentarci. Il paesaggio scorre veloce davanti alla visiera, e poco dopo Chambéry una intensa fragranza di lavanda riempie il casco. Subito cerco qualche campo con i caratteristici fiori viola, ma non ne vedo. Si possono immaginare gli odori? Arriviamo a Lione in pieno drive-time di rientro, ma riusciamo comunque a restare compatti e a non perdere la nostra guida fino a destinazione al concessionario “Nomade 69”, dove sotto ad un gazebo che espone lo stemma Moto Guzzi, ci attendono un buffet e i nuovi compagni di viaggio che rivedremo il giorno seguente. Sotto qualche goccia di pioggia arriviamo in albergo, ceniamo e poi dritti a letto: domani ci attendono altri 450 km fino a Metz, con tappa a Digione per raccogliere altri aquilotti. A fine giornata mi ha stupito la facilità con la quale la piccola V7 mi ha fatto percorrere tutta quella strada, trattando bene i miei polsi, la mia schiena e soprattutto il mio didietro.

GIORNO 2

Metz (FRANCIA) 11 giugno 2010 GIORNO 2 – Stamattina le facce di tutti cominciano ad essere un po’stanche, ma non sentiamo nessuno lamentarsi. Senza perdere tempo, alle otto in punto siamo in sella alle nostre Moto Guzzi e ci tuffiamo nel traffico di Lione, in pieno drive-time del mattino: evidentemente la lezione di ieri non ci è bastata. Ma come per volersi far perdonare del caos, la città ci regala il panorama stupendo delle case che si affacciano sul fiume e delle laboriose chiatte che solcano il Rodano. Tentiamo di fare una fotografia, ma il traffico insistente ci spinge giù dal ponte. Niente da fare. Tanto per vedere un po’ di panorama oggi non imbocchiamo subito l’autostrada, ma seguiamo la viabilità ordinaria fino a Màcon, la porta sud della Borgogna: siamo nella zona dove si producono i migliori vini di Francia (e ce ne accorgeremo presto…). Facciamo una breve sosta caffè in riva al fiume Saona vedendo sullo sfondo il profilo dei monti del Beaujolais. Poi torniamo subito in sella, perché anche oggi i chilometri che ci aspettano saranno quasi 500. Visto che il tempo stringe, imbocchiamo subito l’autostrada fino a Beaune, dove ammiriamo lo splendido Hôtel-Dieu, un antico ospedale gestito da religiose fondato nella prima metà del 1400. Ma Beaune è più nota per essere la capitale del vino di Borgogna, dove i negozietti di prodotti vinicoli e le enoteche fioriscono ad ogni angolo. Non a caso proprio qui, nella sala principale dell’Hôtel-Dieu, ogni terza domenica di novembre fin dal 1851 si tiene un’asta benefica in cui sono messe all’incanto le più pregiate bottiglie della Borgogna. Arriviamo a Digione per l’ora di pranzo, accolti con ospitalità squisita dal titolare dal titolare del concessionario Moto Guzzi “Idée Moto”, che con la destra ci stringe la mano, e con la sinistra brandisce una magnum di Crémant della Borgogna. Se il buongiorno si vede dal mattino, un buon pranzo si vede dall’aperitivo. Vengono serviti salumi, formaggi, cous-cous e specialità regionali, tutti ottimi e in quantità industriali, naturalmente annaffiati da generose quantità di eccellente vino rosso di Borgogna. Tutta la compagnia è infatti più che allegra, compreso l’intero staff del concessionario: qualcuno infatti mette in moto una Griso kittata all’interno del salone e sgasa a più non posso. Questo ci suggerisce di prenderci una mezz’ora di pausa extra per smaltire almeno un po’ i fumi dell’alcool. Ne approfittiamo per appropriarci dell’officina e dare una controllata alle moto: qualche etto d’olio da rabboccare, specchietti da stringere, una frizione da registrare, roba da poco. Salutati i nostri amici, rimontiamo in sella (con una certa fatica dobbiamo dire) e puntiamo di nuovo le ruote verso nord. I 250 km di autostrada che ci separano da Metz scorrono veloci e attraversiamo le colline vinifere di Borgogna, sotto un cielo blu tappezzato da migliaia di nuvolette. Arriviamo nella capitale della Lorena nel tardo pomeriggio, sempre a cavallo della piccola V7. Ormai dovremmo anche smettere di chiamarla piccola, visto che i 1.000 km fino a qui li ha macinati senza un colpo di tosse, senza un problema, senza farci soffrire troppo. La stanchezza accumulata nei due giorni di viaggio comincia a farsi sentire, ma una volta preso possesso della stanza d’albergo non possiamo esimerci dal visitare almeno la cattedrale gotica di Santo Stefano e le sue 6.500 vetrate, tra cui alcune disegnate anche da Marc Chagall. Cena veloce e poi tutti a letto. Tutti tranne io, naturalmente. Altrimenti, chi terrebbe questo diario?

GIORNO 3

Circuito di Spa-Francorchamps (BELGIO) 12 giugno 2010 – Questa mattina ce la possiamo prendere un po’ più comoda, visto che la capitale della Lorena e il cuore delle Ardenne sono separati solo da poco più di 200 km. Prima di lasciare Metz però, è d’obbligo una foto di gruppo ai piedi della cattedrale, giusto il tempo per bloccare il traffico nella piazza principale proprio nel giorno del mercato. La strada verso il Belgio è un trionfo di collinette e di prati verdi dove il bestiame pascola libero, uno spettacolo ormai difficile da vedere dalle nostre parti. Solo il cielo oggi è un po’ più grigio del solito, ma fino ad ora siamo sempre stati fortunati. Fin troppo. Come colpiti da un presagio, decidiamo di affidare al furgone di appoggio la nostra attrezzatura fotografica. Facciamo bene, perchè a soli 5 km dal circuito veniamo sferzati da un potente acquazzone, che poi si trasformerà in una pioggia insistente che ci darà pace solo nel tardo pomeriggio, giusto in tempo per l’inizio della gara. Bagnati come pulcini ci fermiamo a ritirare i pass, e mostrando ai cancelli i braccialetti lasciapassare, accediamo all’area dei paddock destinata ai possessori di Moto Guzzi. L’esperienza del circuito è capace di coinvolgere tutti i sensi. Le immagini possono raccontare dei 35.000 spettatori, delle ginocchia dei piloti che spazzolano il cordolo interno dell’Eau Rouge e della schiera di motociclette e di sidecar di tutte le epoche. Ma l’odore dell’olio bruciato e dei panini con le salsicce della zona, l’urlo dei motori a due tempi, la passione della gente e la perfezione delle carene in lamiera battuta sono cose che si possono vivere solo sul posto. In generale l’atmosfera è molto rilassata, tanto che gli appassionati godono della possibilità di gironzolare per la pit-lane e di vedere da molto vicino i mezzi e i team al lavoro: questo è senza dubbio un grande valore aggiunto e un segno distintivo molto apprezzato della Bikers Classic. Mentre ci aggiriamo per i paddock, scopriamo pure che questo tipo di eventi ben si presta anche alla ricerca di ricambi e cimeli, vista la grande quantità di bancarelle che vendono di tutto per tutte le moto. Molto visitata anche l’esposizione delle vecchie Moto Guzzi da competizione, tra le quali abbiamo potuto ammirare una rara 8 cilindri del 1956. Ma la moto più fotografata dell’esposizione è stata senza dubbio il prototipo della Le Mans già visto all’ultimo EICMA, quello rosso per intenderci. Chissà che non sia la volta buona… Il pezzo forte della giornata è stato senza dubbio la 4 ore di Endurance, a cui prendono parte 50 equipaggi, tutti con moto costruite prima del 1980. La partenza era prevista per le 20, quando per fortuna la pioggia aveva già cessato di scendere, e ce ne siamo gustati tutte le fasi da una tribunetta laterale del vecchio rettilineo principale, per l’occasione riportato al suo storico uso. Lo start vecchio stile è davvero uno spettacolo nello spettacolo, con i piloti in piedi schierati sul lato sinistro della pista e le moto sistemate sull’altro. Al segnale dato con la bandiera nazionale belga, tutti scattano verso i mezzi poi una spinta e via, giù a cannone verso l’Eau Rouge. Dopo una mezz’ora decidiamo che è ora di riempirci la pancia, visto che e mezzogiorno c’è stato solo il tempo di gustare un panino e una porzione di patate fritte. Per i soli Guzzisti è stato organizzato un succulento barbecue privato, nel ristorante adiacente la curva più famosa e spettacolare del circuito. Durante la cena vediamo passare i piloti attraverso una vetrata panoramica, con i motori che ruggiscono su per la salita e i fari che sciabolano tra i tronchi del bosco circostante: da pelle d’oca. Come ulteriore motivo d’orgoglio per i guzzisti segnaliamo che la gara è stata vinta dagli spagnoli Segarra e Segarra, proprio su una Moto Guzzi Le Mans 1000 del 1980, mentre il primo equipaggio italiano composto da Sardi e Zaccarelli, sempre su Moto Guzzi ma del 1975, si è piazzato all’ottavo posto. Al nostro rientro in albergo, ad una decina di chilometri dal circuito, notiamo ancora accesa la luce del bar ed entriamo, alla ricerca di una delle famose birre belghe che, si sa, sono come le ciliegie: una tira l’altra. La compagnia è buona, la birra anche e facciamo tardi. La pagherrmo domani, al risveglio. Già lo sappiamo.

GIORNO 4

Mandello del Lario (LECCO) 13 giugno 2010 – Nonostante la baraccata della sera precedente Ci svegliamo carichi e in forma, pronti per affrontare l’ultimo giorno di questo viaggio. Stasera saremo di nuovo al punto di partenza, davanti alla sede storica della Moto Guzzi a Mandello. Ma prima avremo il privilegio di unirci a tutti i guzzisti per una parata lunga due giri del circuito. La mattinata, baciata da uno splendido sole, scorre veloce, anche perché l’attesa è tutta per il momento in cui entreremo in pista. Passeggiamo ancora per i box, e ci imbattiamo nelle “vecchie glorie” delle competizioni, pronte ad inanellare qualche giro sulle moto con cui hanno scritto alcune delle più belle pagine della storia del motociclismo. Tra gli italiani presenti, due nomi che non hanno bisogni di presentazioni: Mario Lega e Giacomo Agostini. Finalmente arriva il momento tanto atteso. Dal parcheggio si sente il rombo dei bicilindrici di Mandello. Un fiume di Moto Guzzi preme al cancello d’ingresso della pista. Anche noi facciamo parte del gruppo, sempre in sella alla nostra fida V7, di cui ormai conosciamo ogni più piccolo pregio, difetto e rumorino. L’emozione è tanta, inutile nasconderlo. Qualche momento di attesa sotto il sole cocente e poi siamo in pista. Altro che parata! Qui si corre, eccome. Nei rettilinei spremiamo tutti i puledri della V7, ma dopo i 170 all’ora la safety-car ci distacca inesorabilmente. I due giri volano, ma ogni curva si è incisa nella nostra memoria. La Les Combes, la Stavelot, la Source, la mitica e temuta (e adesso capiamo perché) combinazione Eau Rouge-Raidillon non sono più solo dei nomi; dopo aver percorso i suoi 7 km di asfalto, abbiamo finalmente capito perché Spa-Francorchamps è considerata una delle piste più difficili del mondo. Sono quasi le due del pomeriggio quando lasciamo a malincuore il circuito e mettiamo le ruote verso casa. L’itinerario ci porterà verso sud, dal Belgio a Saarbrücken in Germania, per poi continuare in Francia verso Strasburgo. Proseguiremo sempre più giù, passando per Colmar e Mulhouse, fino a Basilea, in Svizzera. Taglieremo in due la Confederazione Elvetica per il lungo fino a Como, dove prenderemo la statale per Lecco e poi su per la sponda orientale del lago fino a destinazione, per un totale previsto di 794 km. Il pomeriggio passa abbastanza liscio, se si esclude che ci siamo persi come dei pollo a Saarbrücken (in nostra difesa possiamo dire che eravamo sprovvisti sia di navigatore, sia di cartina, ma forse sarebbe meglio tacere certi dettagli…) e che siamo dovuti uscire dall’autostrada alla disperata ricerca di un po’ di benzina, con la spia della riserva minacciosa e l’orecchio teso a percepire il primo tossicchiare del motore, segno inequivocabile che da lì a poco ci sarebbe toccato spingere. Ma perché le aree di servizio autostradali in Germania sono più rare di una vincita al Superenalotto? Il brutto tempo arriva appena prima di Basilea: acqua, tanta acqua, che ci porteremo dietro per 300 km, fino al confine con il Belpaese. La ciliegina sulla torta è però la statale che da Como va verso Lecco, deserta a quell’ora della notte e con delle curvette davvero divertenti. Arriviamo davanti ai cancelli di via Parodi 57 che è quasi l’una, con il contakm che segna 857 grazie alle deviazioni inaspettate. Di strada ne abbiamo fatta tanta oggi, ma dobbiamo dire che la V7 è stata una buona compagna di viaggio. Qualche indolenzimento c’è, ma con un tour-de-force come questo anche con la più comoda delle tourer avremmo probabilmente sofferto un po’. In questi quattro giorni abbiamo potuto vedere da vicino il grande amore dei guzzisti per il Marchio: possono criticarlo, raccontare le disavventure e i difetti delle loro cavalcature, lamentarsi di alcune scelte poco felici della Casa. Ma alla fine risalgono sempre sulle moto con l’aquila sul serbatoio, nel più perfetto stile del “guzzista masochista”. Sono loro l’anima della Moto Guzzi, più viva che mai nel nostro paese come all’estero.

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