08 March 2010

La mia prima volta: Enrica Selvini, crossista per caso, racconta la sua esperienza

Non chiamatela Barbie. È vestita di rosa, ha un kit di attrezzi per il fuoristrada con le piume, ma aveva anche tanta voglia di correre e lo ha fatto nella sua prima gara di cross country.

L’AMBIENTAMENTO

AFFRONTARE LA BUROCRAZIA Per partecipare a una gara non basta far una colazione abbondante: bisogna iscriversi. L’organizzatore mi assegna il numero di gara - il 58 - e mi consegna un oggetto dal nome affascinante, di cui ignoravo l’esistenza: il transponder, un sistema di cronometraggio che rileverà automaticamente i miei tempi. Mi viene voglia, all’istante, di scrivere un lungo trattato contro l’arroganza della tecnologia moderna e la totale mancanza di privacy, ma Vittorio mi ricorda che devo fare qualcosa di più importante. Oggi guiderò la Yamaha, che è molto più alta di quanto vorrei e l’unico modo che ho per avviarla è l’odioso pedale, mai incontrato prima. Cerco di darmi un tono, mentre mi agito sul kick, ma rimpiango subito il pulsante elettrico della mia moto da enduro. In casi come questo, capisco quanto conti l’esperienza di chi, come Vitto, conosce i piccoli segreti che separano un pilota vero da un aspirante tale: dopo avermi osservato con aria corrucciata e divertita, prende la mia mano destra, che pochi istanti prima si accaniva sull’acceleratore, e la mette sul manubrio. Come per magia, smetto di ingolfare la moto, do una pedalata secca e la accendo al volo. Ai miei occhi, Vittorio ha appena acquistato il fascino di James Bond. Ai suoi occhi, invece, io risulto probabilmente una persona alla quale c’è molto da insegnare. Così, fa un lungo sospiro, sorride e si prepara a tranquillizzarmi sulla tipologia di percorso (facilissimo! Divertente! Stupendo!) e a spiegarmi il regolamento di gara. Che decida di seguirlo o meno, mi rendo conto della necessità di non creare troppo disagio agli altri piloti, nonostante ne abbia tutte le possibilità. Le regole sono poche, ma chiare: ascoltare il briefing, che si terrà pochi istanti prima del giro di prova, fare rifornimento ai box ogni quaranta minuti circa, per evitare di rimanere a secco in mezzo al nulla, spegnere la moto durante il rifornimento, fare attenzione alle segnalazioni dei suoi meccanici, che si offrono di darmi una mano e ai giri mancanti. Devo correre per due ore e far il numero più alto possibile di passaggi. Sembra facile! Poi, con fare paterno, Vittorio mi regola le sospensioni della moto. Così, dice, anche una pischella peso piuma come me dovrebbe essere in grado di guidare senza problemi. Improvvisamente, sono contentissima di essere sul punto di partecipare alla mia prima gara. Che sia di cross country o di sci nautico fa poca differenza, le tante esortazioni hanno decisamente fatto centro e io non vedo l’ora di cominciare.

AFFRONTARE LA BUROCRAZIA

AFFRONTARE LA BUROCRAZIA Per partecipare a una gara non basta far una colazione abbondante: bisogna iscriversi. L’organizzatore mi assegna il numero di gara - il 58 - e mi consegna un oggetto dal nome affascinante, di cui ignoravo l’esistenza: il transponder, un sistema di cronometraggio che rileverà automaticamente i miei tempi. Mi viene voglia, all’istante, di scrivere un lungo trattato contro l’arroganza della tecnologia moderna e la totale mancanza di privacy, ma Vittorio mi ricorda che devo fare qualcosa di più importante. Oggi guiderò la Yamaha, che è molto più alta di quanto vorrei e l’unico modo che ho per avviarla è l’odioso pedale, mai incontrato prima. Cerco di darmi un tono, mentre mi agito sul kick, ma rimpiango subito il pulsante elettrico della mia moto da enduro. In casi come questo, capisco quanto conti l’esperienza di chi, come Vitto, conosce i piccoli segreti che separano un pilota vero da un aspirante tale: dopo avermi osservato con aria corrucciata e divertita, prende la mia mano destra, che pochi istanti prima si accaniva sull’acceleratore, e la mette sul manubrio. Come per magia, smetto di ingolfare la moto, do una pedalata secca e la accendo al volo. Ai miei occhi, Vittorio ha appena acquistato il fascino di James Bond. Ai suoi occhi, invece, io risulto probabilmente una persona alla quale c’è molto da insegnare. Così, fa un lungo sospiro, sorride e si prepara a tranquillizzarmi sulla tipologia di percorso (facilissimo! Divertente! Stupendo!) e a spiegarmi il regolamento di gara. Che decida di seguirlo o meno, mi rendo conto della necessità di non creare troppo disagio agli altri piloti, nonostante ne abbia tutte le possibilità. Le regole sono poche, ma chiare: ascoltare il briefing, che si terrà pochi istanti prima del giro di prova, fare rifornimento ai box ogni quaranta minuti circa, per evitare di rimanere a secco in mezzo al nulla, spegnere la moto durante il rifornimento, fare attenzione alle segnalazioni dei suoi meccanici, che si offrono di darmi una mano e ai giri mancanti. Devo correre per due ore e far il numero più alto possibile di passaggi. Sembra facile! Poi, con fare paterno, Vittorio mi regola le sospensioni della moto. Così, dice, anche una pischella peso piuma come me dovrebbe essere in grado di guidare senza problemi. Improvvisamente, sono contentissima di essere sul punto di partecipare alla mia prima gara. Che sia di cross country o di sci nautico fa poca differenza, le tante esortazioni hanno decisamente fatto centro e io non vedo l’ora di cominciare.

PREPARAZIONE FISICA E PSICHICA

PREPARAZIONE FISICA E PSICHICA Ora che tutto è pronto, posso dare inizio alla mia preparazione personale alla gara, fisica e psicologica. Faccio due passi nel campo da cross e do un occhio al terreno: la pista sembra abbastanza dura, ma la pioggia l’ha resa leggermente spumosa (spumosa???, ndr). Tra i sassolini, proprio dopo una prima curva stretta, c’è un insetto, un cervo volante, che passeggia. Per evitare che venga schiacciato dalle moto, lo sposto nei cespugli. Ho così compiuto la mia buona azione quotidiana, il che porterà sicuramente fortuna. Ed ecco risolta la parte psicologico-scaramantica. Poi, torno al furgone e tiro fuori i miei attrezzi da pilota, per la preparazione fisica. Una crema idratante per evitare che la polvere mi secchi la pelle, un po’ di cipria per coprire le occhiaie (non voglio che tutti capiscano che non ho chiuso occhio per la paura). Per entrare del tutto nel ruolo, sfodero infine una serie di cacciaviti improbabili, colorati e decorati con piume di struzzo. Le persone intorno a me sembrano perplesse, ma non possono che apprezzare il mio kit da off-road. Così, per un attimo mi dimentico totalmente di essere andata a Faenza per una gara di cross country e mi lancio in un lungo e tortuoso discorso sull’incredibile fascino e varietà di oggetti che mi piacerebbe sfoggiare in pista. I miei interlocutori ci mettono ben cinque minuti a interrompermi. L’altoparlante sta invitando i piloti a recarsi nell’area di rifornimento per il briefing e per fare un giro di perlustrazione. Si chiede a tutti di andare piano, di prestare attenzione al terreno, che nel sottobosco è ancora bagnato e scivoloso proprio nel punto in cui costeggia pericolosamente un fiume. Trovo sia un suggerimento di estrema importanza, almeno per me. Mi ricordo le mille, divertenti (o meglio, ridicole) cadute che mi hanno portato fin qui. Spesso, erano proprio dovute a una valutazione errata della tipologia di terreno, a un approccio approssimativo e a una totale incapacità di dosare il gas. Attaccarsi all’acceleratore quando si va in panico è decisamente il primo vizio da togliersi e sarebbe un vero peccato finire nel fiume durante il giro di prova. Bene, si parte.

GIRO DI PROVA

GIRO DI PROVA Non cado, non scivolo, non accelero, praticamente neanche respiro. Il giro di prova dà ragione alla presentazione di Vittorio: il circuito è semplice, divertente e scorrevole. Curve a serpentina e a gomito, discese e salite ripide ma fattibili. Sicuramente un percorso affrontabile in modo totalmente diverso a seconda del tipo di pilota e di preparazione fisica ma, soprattutto per quel che mi riguarda, adatto anche ai debuttanti come me. Mi spiegano che il tracciato è stato studiato e preparato in circa venti giorni, comprende molta parte del campo da cross di Faenza - dove, come è noto, si corre anche il Mondiale - e la zona collinare sovrastante. Non ci sono passaggi particolarmente difficili, ma devo dire che la fatica si fa subito sentire. Anche una persona con poca esperienza sarebbe in grado di chiudere il giro divertendosi: la vera difficoltà sembra proprio essere quella di reggere per due ore di fila, fermandosi il meno possibile. Faccio il mio primo giro e mi rilasso: la paura mi è del tutto passata. Anche quando incontro, per la prima volta in vita mia, le cosiddette whoops, non mi lascio spaventare. Ho visto molte volte, anche dal vivo, i piloti più esperti passarle a gas spalancato, volarci sopra sfiorandole con la sola ruota posteriore, come se fosse un gioco da ragazzi. Io mi limito a copiarle, spostando il peso come si deve, e accontentandomi di questo. Proprio perché non vanto un’esperienza decennale, so bene che strafare non porta a nulla: molto meglio rendersi conto dei propri limiti e cercare di migliorare il proprio passo volta per volta, senza bruciare le tappe. In effetti, questo è stato lo spirito con cui ho affrontato gran parte della gara… almeno finché non ho visto lui, Fabrizio Grioni, il fotografo venuto lì a Faenza anche per me. In quel caso può succedere, ed è effettivamente successo, che l’esaltazione e l’egocentrismo prendano il sopravvento e, con una serie di impennate del tutto fuori luogo, l’esordiente, che poi sono io, perda totalmente il senso della misura, saltando a caso le whoops e tentando di finire in braccio al fotografo, a cui in fondo voleva solo regalare un bello scatto. Un piccolo colpo di testa, senza conseguenze per nessuno, è sempre il benvenuto.

ATTIMI DI DEFAILLANCE

ATTIMI DI DEFAILLANCE  Sono a un metro dall’ingresso all’area rifornimento, in cui devo rientrare. Il primo giro di perlustrazione è finito, la gara inizierà tra pochi minuti e io mi sento benissimo. Sorrido come una bimba mentre, invece di imboccare la stradina chiaramente segnalata che porta al punto in cui si trovano gli altri piloti, vado dritta e, a momenti, finisco contro un cancello. L’euforia fa brutti scherzi, a volte. Freno bruscamente e metto un piede a valle. In quell’istante non ricordo neanche il mio nome, figuriamoci se ricordo che col piede a valle io non tocco per terra. Come da copione, cado. Resto un attimo sdraiata con la mia tutina rosa su sfondo marrone: provo giusto quel pizzico di vergogna che mi impedisce di ricompormi. Mi rialzo e guardo verso il paddock pieno di gente, sicura che i soliti due sbruffoncelli stiano ridendo di me. Mi sbaglio solo sul numero. Sono tutti girati verso di me. I piloti, nonché i loro familiari, i meccanici e i curiosi. Dall’alto, anche il giudice di gara. Tutti mi guardano e ridono. Più tardi un ragazzo mi dirà che, quando ha visto il mio “stile di guida” durante le prove, ha pensato: “Questa non ce la fa”. In effetti, in quel momento l’ho pensato anche io, mi sono nascosta nel casco e ho riso con loro (mentre la mia parte maligna e vendicativa, tipicamente femminile, li infilava a uno a uno nella stiva del Titanic). Fortunatamente il fuoristrada non è una disciplina facilmente prevedibile e, durante una gara, tutto può succedere.

SI PARTE!

SI PARTE! Nonostante ci sia una categoria riservata alle ragazze, nel cross country le donne corrono nella stessa manche dei piloti dell’altro sesso, appartenenti alle seguenti classi: XC beginners, XC junior, XC senior e moto d’epoca, da cross o enduro. I professionisti, invece, gareggiano nel primo pomeriggio, nel turno che ha inizio alle 14:30. Avevo sentito dire che la partenza sarebbe stata in perfetto stile Le Mans, e infatti... Ecco le moto in fila, una accanto all’altra, pericolosamente appoggiate a un bastone di legno e i piloti schierati a qualche metro di distanza, ognuno di fronte al proprio mezzo. Tutti pronti a scattare, correre, saltare in sella, scalciare il kick starter – o, per quanto riguarda gli enduristi, premere il magico pulsante - e sfrecciare via. Le moto sono molto vicine tra loro. Così, decido di cedere il passo agli altri piloti, piuttosto che gettarmi nella bagarre con il rischio di urtare qualcuno o qualcosa e creare un curioso effetto domino. È un retaggio psicologico: quando affronto per la prima volta una cosa, mi sento un incredibile generatore di disastri. E, spesso e volentieri, i fatti mi danno ragione. È ora. Anche se parto con qualche secondo di ritardo, ci sono. La gara è iniziata. Una delle prime cose che mi hanno insegnato gli amici più esperti è riconoscere la tipologia di terreno, in modo da affrontarlo al meglio. A Faenza, quei consigli mi sono tornati molto utili. Nonostante il circuito sia piuttosto omogeneo, non è difficile passare dalla terra al fango, dal fango all’erba, dall’erba alla sabbia nel giro di pochi metri. Per evitare di fare il primo testa coda della giornata, studio bene il percorso. Rallento sull’erba e cerco di capire se sia bagnata o asciutta, alleggerisco l’anteriore nelle pozze di fango, sto in piedi sulle rampe ogni volta che posso. Insomma, mi limito a mettere in pratica gli insegnamenti base.

IN GARA

IN GARA Non ho una percezione chiara del passare del tempo, né della mia preparazione fisica. Due ore sembrano un tempo infinito e immagino che la cosa migliore sia prenderla con calma, amministrare al meglio le proprie energie e restare concentrati. In linea teorica, dovrebbero bastare pochi giri di pista per memorizzare il circuito e prendere confidenza con il tracciato. Solo dopo mi accorgerò che, in fondo, questo è stato il primo errore da me commesso: ho interpretato la gara come se fosse una crociera e, alla fine delle due ore, mi sentivo ancora fresca e scattante. Per quanto mi riguarda è stato sicuramente più importante portare a termine la prova e, infatti, ho fatto solo una breve pausa durante il rifornimento di carburante e acqua, ma avrei dovuto e potuto tirare molto di più. Mi sono risparmiata al punto che, alla fine della gara, non solo avevo ancora voglia di girare, ma avrei retto tranquillamente un’altra ora. Sono abituata alle motocavalcate, che possono durare a lungo e che sono in genere più impegnative per quanto riguarda la difficoltà tecnica e, di conseguenza, la fatica fisica. Del resto, sono proprio gli errori di valutazione che insegnano come affrontare una sfida del genere e che portano a dire: se dovessi rifarla, la rifarei in tutt’altro modo. E io, di errori, a Faenza ne ho fatti parecchi. Per paura di esser urtata da un ipotetico pilota senza controllo, per esempio, seguendo una sorta di codice cavalleresco al contrario, ho fatto passare chiunque. Tutti mi ringraziavano alzando la mano e salutando (ci crediamo, ndr!) e io ero anche piuttosto soddisfatta di tanto consenso e simpatia, che ricambiavo calorosamente. Solo al 115° minuto, un giro prima della fine, quando è spuntata la bandierina a scacchi che, dal vivo, non avevo mai visto, ho capito che tutti quei lasciapassare che avevo elargito in gara erano stati uno spreco. Sarebbe stata un’ottima occasione, per me, per imparare a tirar fuori quell’aggressività di guida che ancora mi manca e che tanto invidio agli altri. Ma in fondo, si sa, chi va piano… va piano. E non sono così sicura che essere aggressivi senza andare a cannone serva a superare qualcuno.

RIFLESSIONI

RIFLESSIONI Dopo due ore e una sola caduta, finisce la mia prima gara di cross country. Anche se non trovo schiere di fan ad aspettarmi all’arrivo, sono molto contenta. Ho raggiunto i risultati che mi ero prefissata: ho fatto una gara accettabile, non ho intralciato nessuno, non ho infangato la tutina rosa di Gualdani e non ho scomodato i soccorsi. Alla fine, affrontare il tutto con calma e concentrazione è stata la scelta migliore, almeno per questa prima volta. Alla prossima, non credo che farò passare chicchessia e sono sicura che non avrò più le fobie che hanno accompagnato i primi giri. Anche se qualcuno potrebbe non trovare un senso nella scelta di affrontare una sfida dove, fin dal principio, si sa che si arriverà tra gli ultimi, sono convinta che un senso, in realtà, ci sia. Confrontarsi con persone più esperte, vederle girare da vicino, o provare a tenere il loro passo, è molto utile. Si capiscono meglio i propri limiti, si impara ad accettarli per migliorarsi. Nel cross country, come in qualsiasi altra disciplina, per perfezionare il proprio stile di guida ci vogliono tempo e fatica, ma anche tanta voglia di osservare e, in un certo senso, lottare. So che avrei potuto fare di meglio. Me ne rendo conto soprattutto dopo aver visto la seconda manche, quella dei professionisti, di chi è abituato a dare il massimo senza badare alla fatica e al dolore. Ammetto che quando ho visto girare quelli della classe XC Pro, Pro lite, Sport A, B e C e XC team, ho capito quanta strada ho davanti e il mio orgoglio ne è uscito un po’ a pezzi, come colpito da un bastone. Ma ne è anche uscito sazio, attirato da una carota. Anzi, da un’intera “crossata” di carote, che mi porterà, col tempo, a ripetere sicuramente l’esperienza. Prima di assistere alla performance dei “grandi”, c’è stata infatti la premiazione delle prime categorie scese in pista, inclusa la mia, la femminile. E in quel momento, senza troppe sorprese, mi hanno dato un incoraggiamento senza prezzo: una coppa che, ogni volta che la riguardo, mi sembra luccicare come l’oro, anche se è fatta di plastica. E sulla targhetta, c’è scritto: Italian Cross Country - 1° classificato- Cat: XC Women. Sono arrivata prima.

EPILOGO – ORE 13:00

EPILOGO – ORE 13:00 Per chiunque voglia entrare nel mondo dell’agonismo, il cross country può rappresentare un buon inizio. E mi rivolgo in particolare alle ragazze, sempre più numerose e sempre più brave, che si avvicinano o si vogliono avvicinare al fuoristrada. Se il vostro scopo è portarvi a casa una coppa, un oggetto su cui inventarsi storie incredibili che, un giorno, vi garantiranno la stima di figli o nipoti, questa è la vostra occasione. Già, perché il mio primo posto nasconde un trucco. La prima classificata della categoria femminile era anche l’unica donna in gara. E la prossima volta, quando sarò più combattiva che mai, spero di potermi confrontare con qualcuna di voi!

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