di Mario Ciaccia - 18 May 2023

La prima volta in pista: una vita in moto per dieci minuti di Mugello

Della serie "cogli l'attimo", quindi andava fatto con una Panigale da 215 CV: la cosa più impressionante è che non ci sono le curve

Una giornata indimenticabile

Non avevo mai guidato in pista in vita mia, ma è stato travolgente. C'era 'sto Tester Day Track di Motociclismo, io ero lì non si capisce a fare cosa e ho avuto l'opportunità di girare dentro il sacro tempio del Mugello. Avevo i miei soliti vestiti da adventouring, con gli stivali da enduro. Mi hanno dato una Ducati Panigale V4R, quella fighissima, col serbatoio in alluminio non verniciato. Ho chiesto di affrontare il percorso in senso contrario, per distinguermi dalla massa. Mi hanno detto "Non c'è problema, tanto in pista stanno viaggiando soltanto una quarantina di moto". Il primo giro m'è servito per prendere le misure, ma il secondo... Oh, il secondo... Ho staccato un bel 1'44"432, stracciando la pole di Quartararo del 2021 (l'anno scorso pioveva). Sono il primo al Mondo ad avere superato i 400 km/h nel rettilineo del Mugello con una moto di serie (e mi sa in assoluto), il che è incredibile se si pensa che, di solito, una Panigale fa poco più di 300 km/h (ma ci ho messo del mio). Coincidenza incredibile: Luigi Dall'Igna era lì per i test della Ducati Moto3, mi ha notato e mi ha chiesto di partecipare al GP del Mugello dell'11 giugno 2023. "Ma Bastianini non sarà guarito?" ho chiesto, non volendo pestare i piedi a nessuno. "Bastianini? Quel paracarro? Adesso abbiamo te, Mario". Sono il primo pilota al Mondo a debuttare in MotoGP a 57 anni, è straordinario, mi faccio i complimenti da solo.

OK. ADESSO BASTA FARE IL BUFFONE

Lo so cosa starete dicendo: ma se ho girato in senso contrario, che senso ha quel tempo? Tutti sono capaci di fare 1'44" basso guidando in senso contrario al Mugello, lo so. L'unica cosa reale di quanto sopra è che io ero al Mugello a non si capisce cosa fare. Inizialmente mi era stato detto che c'era un buco da riempire ("Devi andare in pista con i principianti"), ma pare che ci fosse overbooking. Poi mi è stato detto che il fotografo, Tommaso Pini, non poteva venire, quindi dovevo fare io le foto.

"Insomma, a cosa servo qua?". "Beh, potresti andare in pista, così racconti che sensazioni si provano a girare per la prima volta. Ci fai un Sentiero Pensiero". Ottima idea: così aveva anche senso il fatto che fossi lì con le fotocamere. Mi sarei fatto le foto per questo pezzo web. Ma se lavoro a Motociclismo dall'anno Duemila, come mai ho girato in pista per la prima volta nel 2023? Si tratta di un'attività molto costosa, perché ci vogliono la moto e la tuta di pelle. Se, come me, hai una vocazione turistica, la tuta di pelle non ce l'hai. Ma, se lavori per Motociclismo, le occasioni non mancano.

La realtà è che la formazione tipica dei giornalisti di moto, nel 2000 come oggi, è soprattutto di velocisti con vocazioni pistaiole. Fin da subito sono stato visto come un tipo strano, il cui giudizio varia da "bizzarro, balordo, talebano, deficiente". Un paio d'anni fa, il direttore di un'ex rivista cartacea mi ha detto: "Mario, ti ricordi quando facevi le vacanze da disadattato?". "In che senso?". "Ma sì, che dormivi in tenda". Non sono stato lì a specificargli che lo faccio ancora adesso... Quasi tutti i giornalisti di settore, quindi di Motociclismo, così come delle poche cartacee concorrenti sopravvissute e dei vari siti/blog, sono esperti di guida in pista. La differenza tra me e loro è apparsa evidente fin dalla prima prova comparativa. Io credevo che, per essere un bravo motociclista, fosse sufficiente essere in grado di andare da A a B in maniera affidabile e con qualsiasi tipo di fondo e di meteo. Ma mi sono trovato, fin da subito, a dover guidare con colleghi che su strada andavano fortissimo, piegando fino alle pedane, con naturalezza, senza rischiare. Sono 23 anni che, quando partecipo alle comparative, resto indietro rispetto al gruppo, ma anche la mia opinione serve, proprio perché valuto le moto in ottica turistica e non dinamica. Ancora adesso mi domando se loro vanno così forte perché girare in pista ti fa diventare bravo, o se girano in pista e vanno così forte per indole naturale. Il che si può anche esprimere così: forse, se non riesco a stare al loro passo, è perché non sono dotato per andare in moto. Ora, restare indietro non è un problema. Non sono lento in assoluto, sono solo più lento di loro.

Luca Bono, che considero il migliore dei tester (è bravissimo sia su asfalto sia in fuoristrada, in più è molto elegante: qualche ragazza golosa l'ha soprannominato Luca Nomen Omen Bono) mi dice: "Fai questo genere di foto da anni e non hai mai toccato nessuno, di cosa ti preoccupi?". Credo che sia il non avere girato in pista per anni (anzi, per tutta la vita) la causa della mia non dimestichezza con il fare certe cose in gruppo.

Ma c'è dell'altro. Ci sono arrivato dopo anni, ma direi che i motociclisti che amano le strade di montagna si dividono in due categorie: i Rilassati e gli Adrenalinici. La differenza non sta tanto nelle prestazioni, ma nello stato d'animo con cui guidano. Il Rilassato si diverte a pennellare le curve e a fare le pieghe, ma non lo vuole fare con un elevato ritmo cardiaco, o con la respirazione affannata. Perché guidare la moto nei percorsi tortuosi lo rilassa. Non è solo una questione di voler guardare il paesaggio mentre si guida, ma proprio di sentirsi felici e sereni come su una sedia a dondolo. L'Adrenalinico, invece, guida al limite. Cerca di andare più forte che può, guarda solo la strada ed è concentrato nel frenare più tardi, nel piegare di più, nel dare tutto il gas possibile. Sono due mondi incompatibili. Se l'Adrenalinico si trova alle spalle di un Rilassato, gli viene sonno. Se un Rilassato tenta di stare al passo di un Adrenalinico, l'aumento dei battiti e della respirazione non lo fanno divertire. E, non essendo abituato ad andare più forte, inizia pure a toppare le traiettorie. Poi, certo, ci sono R dotati che vanno più forte degli A scarsamente dotati. Ovviamente, che lo dico a fare, io sono un Rilassato. Come ho già detto, a me piace l'idea di andare da A a B senza rischiare, qualsiasi condizione di strada o tempo ci sia. Mi piace l'idea di azzeccare le traiettorie su una strada sconosciuta. Mi piace cambiare strada ogni volta, per vedere cose nuove. In pista, lo scopo è guidare il più forte possibile, è roba solo per Adrenalinici, cuore e respiro sono belli impegnati. In più si gira ossessivamente in tondo, si fanno sempre le stesse curve e le stesse traiettorie. Basterebbe e avanzerebbe per capire come mai io, che vado in moto dal 1980, non abbia mai girato in pista. Però c'è dell'altro, c'è una grossa contraddizione.

Alla scoperta delle moto da pista

Questa cosa della ruota anteriore che fuma atterrando dall'impennata non l'ho più vista fare da nessuno, eppure io da allora (40 anni precisi) non mi perdo una gara in tv. Per essere un Rilassato, è una cosa senza senso, senza spiegazioni razionali. Ancora peggio: non so impennare. Non c'ho neanche mai provato. Non mi viene di farlo, ho paura di bruciare la frizione o di ribaltarmi. Ciò indigna i veri uomini, cioè coloro che, nelle penne, vedono la sublimazione dell'erezione maschile. Ma veniamo al punto: io sono un mototurista che guarda le gare di MotoGP. E, tra le tacche che desideravo incidere sulla canna del fucile, oltre ad andare in moto in posti come la Patagonia, le Ande, il Monte Chaberton, l'Himalaya, ecc. c'era anche fare almeno un giro di pista, in moto, con una supersportiva. Per provare che sensazioni vivono i tizi che vedo bagarrare in televisione. Cosa si prova ad andare fortissimo, a piegare fino alle orecchie, a impiegare tutta la carreggiata senza paura di fare frontali. Penso anche: dagli anni 80, a parte le prime due, io ho sempre posseduto moto con gli pneumatici tassellati, per cui su asfalto mi sono abituato a piegare mai oltre un certo limite, anche quando mi capitano moto da strada. Chi gira in pista, al contrario, ha dimestichezza con angoli di piega che io posso soltanto immaginare. Probabilmente mi farebbe bene girare in pista con una moto sportiva.

Ma poi, le moto sportive... A metà anni 90 Alberto Cecotti, giornalista di Tutto Moto, mi fece provare una Honda CBR600F. Una moto che considero straordinaria, perché andava forte, era divertente ma era comoda e si poteva usare tutti i giorni per andare al lavoro, anche in due.

Mi trovai subito a mio agio. Non avevo mai guidato una moto sportiva e quella mi piacque un sacco. Stavo in sella in maniera naturale, faceva sembrare tutto facile. Ci andai in un vialone di periferia e la tirai a 160 km/h come se fossi stato in bicicletta. Roba da arresto istantaneo. Tornai esaltato. Allora Cecotti mi promise che avrebbe portato una moto ancora più eccitante.

Quando me la portò, feci questo ragionamento: CBR600F e CBR900RR pesano uguale, ma la 900 ha 30 CV in più in alto e, sicuramente, tira di più in basso. Sarà ancora più rapida a prendere velocità in quello stradone! Per cui ci andai, con la ferma convinzione di superare i 200 km/h (lo so, era una roba da tamarri, da ritiro della patente, altro che Rilassato). Appena montai in sella, notai subito che c'era qualcosa che non andava. Non ero a mio agio. Mi sentivo meno sicuro. In quello stradone raggiunsi i 140 km/h, poi chiusi il gas. Tornai da Cecotti costernato. Non capivamo come fosse possibile che andassi a 160 km/h con la 600 e a 140 con la 900... In realtà c'è una spiegazione facile facile: una era una sport touring, l'altra una supersportiva. Se sei un pilota e giri in pista, vai più forte con la seconda. Altrimenti, se sei un pivello, succede il contrario. La 900 ha una posizione di guida più estrema, con i manubri più bassi, i polsi più caricati, il collo più piegato all'indietro, la sella più dura. Le sospensioni sono più rigide. Ha una serie di cose, insomma, che la rende meno accomodante. Se non sei esperto, ti senti meno padrone della situazione e la velocità ti fa più paura. Queste cose le ho sentite dire da diverse persone, in seguito. Il campione olimpico di scherma Alfredo Rota, detto Culo di Pietra per la sua propensione a macinare km, ai tempi in cui guidava le moto per le nostre prove dei 50.000 km mi spiegò che lui, in pista, faceva tempi più bassi con la Suzuki GSX-R600 piuttosto che con la GSX-R1000. "E riesco a toccare col ginocchio solo con la piccola". Quindi non avevo esperienza di supersportive, ma avevo già il dubbio che, in pista, avrei girato più velocemente con la mia Suzuki DR350S tassellata piuttosto che con la Suzuki 500 Gamma di Kevin Schwantz...

Intorno al 2005, quando lavoravo a Motociclismo da cinque anni, ho avuto la speranza di colmare le mie lacune in ambito supersport. Intanto, mi hanno fatto provare due moto.

Il giro con la 996 fu talmente corto e insignificante che non conta niente, mentre con l'Apriliona mi divertii un sacco. Ma poi successe una cosa: in redazione qualcuno mi propose di girare in pista, per fare un articolo del genere "Io, che non so niente della pista, racconto il primo impatto a quelli che non hanno mai girato". Aveva senso, ma il direttore dell'epoca disse di NO, tassativamente, senza spiegazioni. Forse aveva paura che mi sarei divertito troppo. E così sono passati quasi 20 anni, durante i quali ho pensato "Amen, non guiderò mai una moto in pista".

Invece, proprio in questi giorni, per pura coincidenza, nel giro di una settimana mi sono ritrovato a guidare in pista sia ad Imola sia al Mugello, ovvero due templi italiani della velocità.

Durante la 20.000 Pieghe, che è una prova di regolarità che si svolge su strade di montagna, ci hanno fatto fare due giri del circuito di Imola.

Non lo considero un vero debutto in pista, perché eravamo in gruppo, su moto stradali (io su un'Africa Twin), con l'organizzatore Daniele Alessandrini che guidava davanti a tutti andando piano. Però s'è trattato, in ogni caso, della prima volta in vita mia che guidavo la moto dentro un circuito di velocità. Mi ha stupito. M'è sembrata strettissima e piena di curve, quasi senza rettilinei. In effetti, il rettilineo più lungo misura 360 metri, eppure le auto di F1 ci sfiorano i 300 km/h, mentre le superbike fanno i 290: mi sembra fantascienza. M'è sembrato anche corto, come circuito, mentre in realtà misura quasi 5 km. Inoltre il fondo era gommatissimo perché ci avevano appena girato le auto e, a pelle, sembravano chiazze d'olio. Ma davvero è qui che si svolse la Sfida del Secolo tra Bayliss ed Edwards, nel 2002? Guardando la gara, mi ero immaginato spazi sconfinati in curva e in rettilineo... Comunque sia, andando piano e tutti in gruppo, il circuito di Imola l'ho interpretato come una qualsiasi strada di montagna, nel senso che vedevo la curva, ne capivo la traiettoria e la facevo senza problemi. Questa cosa mi ha quindi fatto arrivare impreparato al Mugello, una settimana più tardi.

Ci siamo, tocca a me!

Convocazione senza senso

Non so perché dall'alto mi sia arrivato l'ordine di venire giù al Mugello. Come ho abbondantemente spiegato, con la pista non c'azzecco niente, di buchi da colmare non ce n'erano e le foto le faceva Tommaso Pini. Sono stato inserito nella chat di Whatsapp dell'evento, ovvero sono stato messo nel gruppo degli smanettoni da ginocchio a terra che, ovviamente, mi hanno preso in giro.

Notate bene: quando dico che io e Tommaso scattavamo le foto, erano solo quelle cosiddette "di colore". Perché dentro, in pista, alla gente con il ginocchio per terra, le fanno fare soltanto a fotografi specifici. Comunque sia, adesso passo a raccontare al tempo presente. Io sono qua, scatto foto soltanto per questo servizio, in pratica non servo a niente, ma tutti mi assicurano che guiderò in pista, porco diavolo! "Quando?". "Alle 16.20, quando finisce l'ultimo turno dei lettori". I miei colleghi mi spiegano che, la prima volta, è essenziale guidare con qualcuno che mi faccia da guida e mi mostri le traiettorie giuste. Questa cosa è buffa: in passato m'è capitato di dover affrontare, completamente solo, la tratta tra i deserti dell'Akakus e del Murzuq in Libia, possibile che dentro una pista asfaltata abbia bisogno di un tutor? Mi assicurano che sì, è molto meglio iniziare così. Del resto io ci tengo a dividere quest'esperienza con loro, per cui mi va benissimo.

Ma come funziona un Tester Day Track? Innanzitutto, per parteciparvi occorre spendere un bel po' di soldini, 1.290 euro, perché come dissi girare in pista è roba da ricchi. Con quella cifra si ha il diritto di guidare sei moto (Aprilia Tuono V4 e RSV4, BMW S 1000 RR, Ducati Panigale V2 e V4S, Yamaha R1) per venti minuti ciascuna, con un istruttore che fa da guida, assistenza tecnica, gomme Pirelli, benzina e pasti vari.

Io fotografo queste attese, ma sono uguale a loro. Sono anche io in febbrile attesa di entrare nel Colosseo e attaccare i leoni. Non vedo l'ora che ciò accada, ma devo avere pazienza. Devo aspettare le 16.20, maledizione. Poi avrò un'ora e quaranta per girare, perché alle 18 la pista chiude (da questo punto di vista preferisco il Lidl, che chiude alle 21.30). Visto che ho tanto tempo per aspettare, mi studio le chicche del circuito.

Una delle differenze più grosse rispetto ad Imola sta nella lunghezza del rettilineo principale: 1.140 m contro 360. Imola però ha più curve, 19 contro 15. Una cosa che mi sconvolge sono le differenze di prestazioni tra le MotoGP e la Formula 1. In rettilineo, le moto passano i 360 km/h, contro i 320 delle auto. Eppure, queste girano in 1'15", contro 1'45". Ovvero: perdono 50 km/h in rettilineo, ma sono più veloci di mezzo minuto al giro. Da quello che ho capito, le auto potrebbero essere più veloci, ma hanno un'aerodinamica studiata per poterle rendere velocissime in curva. Tipo che in moto freni prima della curva, in auto ci entri a tavoletta... Sento poi molto parlare del fatto che il rettilineo del Mugello, avendo uno scollinamento, genera ansia nei principianti. Al briefing lo dicono: "Molti si spaventano e inchiodano in cima alla salita, rischiando di provocare tamponamenti. Fidatevi e tenete pure il gas aperto, avete ancora spazio". Resta il fatto che, dopo questo rettilineo, devi infilarti in un tornante a destra, la famosa curva San Donato, per cui ci si può soltanto immaginare cosa si provi a entrare in un tornante a oltre 360 km/h.

Queste sono le cose che distinguono un pilota geniale da uno soltanto bravo. Uno che passa alla Storia, uno che viene amato anche se non vince i Mondiali.

Nel frattempo, oltre a spiare le chicche del paddock mi godo anche l'atmosfera dei box che, per un pivello come me, è davvero magica.

A un certo punto, come giusto che sia, iniziano le danze. I gruppetti partono a scaglioni, beati loro.

Alcuni girano, alcuni guardano, io e Pini non possiamo andare a fare le foto ai piegoni. Così dobbiamo inventarci un qualche modo per beccare i piloti in pista.

Andrea è un nostro collaboratore che, mentre faceva da scopa al Tester Day di Sestriere dell'estate scorsa, è stato centrato da un automobilista accecato dal sole, che lo ha lanciato giù da un dirupo. Incidente gravissimo, dal quale si sta ancora riprendendo. In attesa di tornare in sella, quindi, ci fa da sbandieratore: che bello riaverlo di nuovo tra noi.

Tommaso Pini gli chiede di dare una sbandieratina in anticipo, per fare le prove fotografiche. Una commissaria di pista vede la scena e attiva la bandiera elettronica. Per fortuna che sono ormai a fine turno...

Da vero buzzurro, ho capito che questo è il pranzo, per cui mangio come un bufalo. Ma il pranzo vero e proprio è da un'altra parte. Che devo fare? Mi mangio pure quello.

Ormai s'è venuta a creare una certa routine, per cui di foto da fare non ne ho più. Visto che le 16.20 si avvicinano, mi organizzo per il grande debutto, a iniziare dalla vestizione. C'è una stanza piena di tute in pelle della redazione e mi è stato detto di attingere da lì. Ora, noi in redazione abbiamo la cosiddetta "gabbia" con l'abbigliamento, ma a me non sta mai niente, sono giacche e pantaloni troppo piccoli, tanto che devo organizzarmi autonomamente. Come posso sperare che ci sia una tuta in pelle giusta per me? Infatti, trovo solo taglie tra la 50 e la 54 e non me ne entra nessuna. Impressionante, neanche con le 54 riesco a infilare i pantaloni fino in cima... Però io sono venuto qui in moto, con il completo da adventouring: "Non posso girare con la mia roba da fuoristrada?". "Ma sei deficiente?". A quel punto, vado sfacciatamente a chiedere aiuto a Gordon Casteller di Alpinestars, che è lì con il proprio stand e offre assistenza ai lettori. Gordon è sempre pacato e gentilissimo, non sembra mai scocciato. "La tuta più grande che ho è una 56 - mi spiega - però ce l'ha su un tipo. Devi aspettare che smetta di girare, poi gliela prendi". Anche lui si sta preparando per girare in pista. Mi dà delle dritte: "Quando scollini, sul rettilineo principale, tieni pure il gas aperto. Inizia a frenare al cartello dei 200 m, prima della San Donato". Ok, lo farò. Anche Gordon mi raccomanda di non girare da solo, ma con una guida. "Certo, avrò tutti i colleghi con me".

Ma devo anche pensare a quale moto usare. Ognuna ha dei suoi grandissimi perché. Che libidine è avere sei moto spaziali tra cui poter scegliere?

Lo so che non ha senso quello che sto facendo. Se non hai mai guidato in pista e non sei per niente avvezzo alle supersportive, iniziare con la Panigale V4S è da deficienti. Se avessi tante occasioni di girare in pista, credo che la moto ideale con cui iniziare potrebbe essere un'Aprilia RS660... o addirittura una Honda Hornet 750. Sì, penso che sarebbe perfetta. Postura naturale, maneggevole, facile, motore gestibile... Del resto, come raccontavo, io andai più forte con la CBR600F che con la CBR900RR. Il problema è che questa, probabilmente, sarà la prima e ultima volta che girerò in pista in vita mia, per cui devo provare il massimo delle emozioni. Devo farlo con la Ferrari delle moto, deve avere più di 200 CV. Mi troverò malissimo, ma non fa niente, siamo in piena situazione da o la va o la spacca.

Che stillicidio, questa attesa. Alle 16 parte l'ultimo turno, ancora poco e poi toccherà a me. Ma arriva la doccia fredda: "No, Mario. Abbiamo posticipato la fine delle danze per le 17, per consentire dei recuperi". "Mannaggia, ma allora girerò soltanto per un'ora". Ovviamente, la mia tuta taglia 56 è indosso a uno che girerà fino alle 17.

Alle 17, altra doccia fredda: "Adesso tutti sul podio, a fare la foto ricordo!". Che lo dico a fare? Anche la mia tuta deve finirci, su quel podio.

Il mio stato d'animo delle post 17 lo conosco bene. Ho provato queste cose fin da bambino, quando mi venivano promesse cose per farmi stare buono, in contesti dove non ero io a stare al centro dell'universo. Per cui una parte di te aspetta il balocco, mentre l'altra parte ha capito benissimo che il balocco non arriverà mai. E ti viene l'ansia. Siamo in due, a dire il vero, perché anche Luca Braguti del duo LuA, il nostro operatore video, s'è fatto il film di riuscire a farsi un giretto, alla fine del circo. Le operazioni di mettere tutti sul podio, per fare la foto di gruppo, seguita da quelle singole, durano una vita. La pista chiude alle 18, il tempo scorre, io so che non avrò il lecca lecca. Guardo l'orologio, il tempo vola. Inizio a mettermi nella modalità "Mario, non girerai in pista né oggi, né mai".

Nel frattempo, arriva ai box Tom Menodiciotto, un carissimo amico che vive a pochi km dal circuito e che mi ha invitato a passare la serata e la notte a casa sua. "Hai già girato? T'è piaciuto? Andiamo a casa mia?". "No. Sta succedendo qualsiasi cosa atta a non farmi girare". Quando tutte queste sessioni fotografiche sono finite, sento che è già tardissimo e che me la sto prendendo nelle chiappe, eppure arriva l'ordine di fare un'altra foto di gruppo, quella con gli striscioni di Motociclismo. E qua, veramente, rischio l'infarto.

Quando tutto è veramente finito, sono le 17.48 e aspetto che mi si venga a dire "Ormai sono le 18, Mario, che cavolo vuoi fare?". Però so anche che mancano 12 minuti e che un paracarro come me dovrebbe girare al Mugello in 3 o 4 minuti, per cui non tutto è perduto. Ma il Mondo mi crolla addosso quando vedo che gli istruttori, ovvero i miei colleghi, coloro con i quali volevo fare il Grande Debutto, si stanno sfilando le tute di pelle. "No! Non fatelo! Aspettate, devo ancora girare". Fabio Meloni mi guarda scocciato e dice: "Ma che vuoi? Prenditi una moto e gira da solo, no? Non sei capace di andare in moto da solo?". Mister Empatia non capisce la mia delusione, ma arriva Beppe Cucco. Non s'è ancora tolto la tuta, è l'unico su cinque che abbia a cuore la mia storia straziante: fare il debutto in pista a 57 anni. Roba da Libro Cuore. In un nanosecondo mi infilo dentro la tuta sudata del lettore ("Io e te siamo intimi, ormai" gli dico guardandolo negli occhi) e, alle 17.53, sono pronto.

Ah, per le foto di me sulla Panigale devo ringraziare Tommaso Pini, logicamente. Mi sento un cafone e un ladro nei confronti di Marco Rimondi e di Leonardo Serafino, ovvero gli uomini Ducati, ai quali non ho neanche chiesto il permesso di usare il loro gioiello. Ci manca solo che glielo sdrai, a 'sto punto... Beppe urla: "Mario, sbrigati. Stanno chiudendo la pista".

Entro con due scopi ben chiari nella mia mente: superare i 300 km/h e toccare in curva col ginocchio. Beppe mi fa un rapido briefing: "Fa' tutto quello che faccio io. Andrò pianissimo, tu segui le mie traiettorie". Non sono preoccupato. Ho girato a Imola. Ho capito che seguire le traiettorie è facile, basta andare tranquilli. Per i 300 km/h mi basta aprire il gas. Per toccare col ginocchio, invece, potrei barare allargando e stringendo le traiettorie ad hoc. L'ingresso in pista avviene con una corsia di immissione con velocità limite di 60 km/h. Ci sono dei birilli, ma la corsia diventa così stretta che mi viene il dubbio di avere sbagliato: finirò mica nel prato con una moto completamente sbagliata per il grasstrack?

Nel frattempo, sono talmente teso e concentrato che non faccio caso a come sia la moto: se è scomoda, se mi trovo a mio agio, se il motore mi fa godere, ecc. Anzi, non mi renderò neanche conto se cambio le marce o se freno... Ci immettiamo nel fatidico rettilineo dei 360 km/h, ma non abbiamo rincorsa, siamo lenti, per cui la San Donato passerà via come un bicchiere d'acqua fresca.

Invece no. Ci arriviamo a quella che mi sembra una velocità modesta. Beppe non frena neanche, ma di colpo sdraia la moto e sparisce alla mia destra. Io vado dritto. La sensazione è quella di stare attraversando un parcheggio. So che devo curvare, ma non ci riesco. La moto va dritto, porca miseria. Ora: a Imola, la pista è larga tra i 10 e i 12 metri. Qui tra i 15 e i 20. La San Donato è 20 m ed è una fortuna, perché tirando una frenatona riesco a non finire nella ghiaia. La Ducati Panigale è diventata Panicale, nel senso del panico. Beppe sta finendo la curva, si gira a guardare dove sono e immagino che si stia domandando "Ma dove kzz sta andando?". Io sono spiazzato. Non capisco come mai non sia riuscito a curvare. La curva successiva si chiama Luco e va nello stesso modo: ci entro piano e non riesco a curvare. In pratica, il Mugello non ha le curve. Lo sto facendo tutto dritto. Anni fa, io e Paolo Carrubba di KTM ci trovammo sul Nevegal con un amico che aveva una Buell, ma non era molto bravo a guidarla. Prese un tornante a passo d'uomo, non piegò per niente e finì nel prato. A noi due increduli disse: "Era impossibile piegare di più, non ci stavo dentro". Mi sono domandato per anni come si potesse guidare in maniera così devastante, ma adesso mi sembra di essere lui. Il problema è che sto guidando con traiettorie assurde, tagliando la pista di qua e di là, per cui ho paura che gli altri che stanno girando (per fortuna soltanto due persone) mi centrino in pieno, per colpa mia. Perché, come dicevo molto prima, in pista la carreggiata te la prendi tutta. E se uno bravissimo come Marquez va a sbattere contro gli altri piloti, chi sono io per non fare una strage?

All'ingresso dell'ennesima curva fatta alla cazzo, la Correntaio, do un'occhiata alla dashboard e capisco l'origine dei miei problemi. Sto entrando in curva a 155 km/h. Può essere che la Ducati Panigale non sia facile da far curvare, se nel mio background ci sono soltanto enduro, ma può anche essere che non sia facile, con la mia esperienza, infilarsi nelle curve a una velocità da multone autostradale. Il fatto è che Beppe mi ha detto di seguirlo e imitarlo in tutto e per tutto, ma quello non frena mai e piega fino alle orecchie, è troppo come debutto. Mi rendo conto che qua ci sono degli effetti ottici per cui sembra di andare piano affrontando curve normali, ma quando ci entri sembrano molto più strette come raggiatura. Effetto della velocità, di cui stranamente non mi rendo conto. Mi punge vaghezza che, se cavalchi una moto da oltre duecento cavalli, in un nanosecondo raggiungi velocità da Concorde, senza neanche rendertene conto.

Per cui direi che sul fatto di curvare toccando col ginocchio sia il caso di mettere una pietra sopra: qua sarebbe già una conquista semplicemente riuscire a curvare. Dopo la curva Bucine, in cui batto il record del Mondo di traiettoria spezzata, infiliamo il mitico rettilineo. Se sto mollando la sfida del ginocchio, non mi farò sfuggire quella dei 300 km/h.

No. Succede come quando feci bungee jumping, anni fa: dura troppo poco. Quella volta mi tuffai e, un secondo dopo, ero già giù. Qua va uguale. Mi metto in carena, vado a manetta e, dopo un attimo, sono in cima al famoso scollinamento. Do un'occhiata alla dash: 199 km/h. Centonovantanove? E gli altri centouno dove sono? Guardo davanti a me. Gordon Casteller di Alpinestars mi ha detto di tenere il gas aperto fino al cartello dei 200 m. Ma, visto da qua, a 199 km/h, quel cartello mi sembra in mezzo alla curva. Chiudo il gas. Mi sbatto più che posso all'interno. Riesco a fare la San Donato senza andare a zig zag! Il resto del secondo giro va così: non allargo più. In ogni curva devo sbattermi all'interno, altrimenti quella stronza va dritta, ma la cosa è divertentissima. Credo di essere ridicolo, ma va già molto meglio rispetto al primo giro. Arriviamo così al secondo rettilineo, dove cerco per lo meno di superare i 200 km/h. Perché tornare a casa con un 199 sarebbe veramente amaro. Raggiungo così i 215, che con questa moto e su questa pista sono davvero pochi, anche senza pensare che Jorge Martin, nello stesso punto, andava 148 km/h più di me. Purtroppo, arrivati alla Casanova del terzo giro gli sbandieratori ci ingiungono di rientrare attraverso la scorciatoia. Fine della giostra.

Nel 2020 abbiamo fatto una FantaMotoGP il cui vincitore, Federico Aliverti, offrì una kartata a tutti. Io non ero mai andato su un kart in vita mia (a 54 anni!) mentre i miei colleghi, animali da pista, ne erano esperti. Iniziai a guidare da solo e mi divertivo molto: frenavo, stringevo la curva, acceleravo. Pensavo di essere bravo. Ma gli altri mi doppiarono nell'arco di un solo giro e mi passarono sportellandomi senza pietà, tanto che mi spaventai e smisi di girare. Per anni ho vissuto questa cosa come un'umiliazione, però non guidavo male. Facevo delle traiettorie decenti. Erano gli altri ad essere più veloci. Ecco, qua al Mugello ho la sensazione di essere andato molto peggio di quella volta. Ma non fa niente. Non ho raggiunto i trecento, non ho limato la saponetta e ho spezzato qualsiasi curva, ma è stato fantastico lo stesso. Una volta nella vita lo dovevo fare, porca miseria.

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