di Mario Ciaccia - 29 March 2023

120 anni e 30 km/h, il compleanno del MC Leonessa d'Italia 1903

Il festeggiamento dell'evento ha compreso una mostra motociclistica interessantissima, all'interno del Museo della Mille Miglia: moto dei primi del secolo, dakariane e persino il Mosquito più veloce del Mondo

Se cercate sul web qual è il più antico Moto Club d'Italia notereste che sono diversi quelli a fregiarsi di tale titolo, ma sembra che i più antichi siano il MC Como, fondato il 14 giugno del 1903 ed il MC Leonessa d'Italia 1903, nato a Brescia il 21 marzo 1903. Inizialmente era un club di ciclisti, però: le motociclette sono arrivate soltanto nel 1910. Il 21 marzo del 2023 il sodalizio ha compiuto 120 anni e li ha festeggiati nella sua sede, il Museo Mille Miglia di Brescia. Sarebbe bello raccontare la storia di questo club, ma ci hanno già provato loro 20 anni fa, con un libro di 222 pagine (Il Motociclismo sportivo bresciano, di Claudia Franzoni e Davide Pollini), per cui non lo farò. Ci sono troppe cose da dire. Considerate che Brescia si trova a confine tra la Pianura Padana e le montagne, a pari distanza tra strade epiche come lo Stelvio e il Gavia e la Romagna (la terra dei mutor), a breve distanza dalle Valli Bergamasche... Qua è successo di tutto, tra gare di velocità, regolarità, cross e trial; molti campioni di moto sono nati a Brescia e provincia e c'erano pure interessantissime fabbriche di motociclette da strada e fuoristrada. Posso solo mettere qualcuna delle foto che si trovano in quel libro.

La festa dei 120 anni s'è tenuta nel Museo della Mille Miglia, che espone auto e cimeli della mitica gara in senso cronologico. Come cerimonia è stata semplice, ma efficace. L'attuale Presidente del MC Leonessa d'Italia, Donato Benetti, grande appassionato di moto BMW, ha raccontato che lui considerava un mito il moto club in questione e che frequentava Bruno Birbes perché aveva acquistato una delle BMW 1000 con cui il pilota bresciano aveva corso alcuni dei suoi Faraoni. Quando gli hanno proposto di diventare presidente, lui ha accettato, è riuscito a far spostare la sede nel Museo della Mille Miglia e ha anche riorganizzato la 12 Ore della Franciacorta.

Già, inizio sfacciatamente dalle dakariane perché sono la mia passione, ma c'erano delle vere chicche anche tra le altre moto. Ci arriveremo.

Nel 1990 Bruno Birbes, ormai sulla via per appendere il casco al chiodo, in quanto manager del team Assomoto decide di preparare, insieme a Silvio Fatichi, quattro Gilera RC600R per la Dakar '91. A parte gli ufficiali Medardo e Mandelli, c'erano diversi privati italiani al via con quelle moto, come i torinesi Winkler e Quaglino e i bresciani Canella e Surini. Una di queste RC600 venne rubata da un disgraziato, un italiano che seguiva la gara col camper, si portava via le moto abbandonate dai piloti feriti o distratti e poi le rivendeva ai piloti stessi. Chiedeva 2.000 franchi francesi. Un altra, abbandonata sulla pista a seguito di un ritiro, sparì nel Nulla finché, nel 1993, un ragazzo locale non si presentò con quella moto al bivacco e chiese se qualcuno aveva ricambi, perché ne aveva bisogno.

L'anno successivo, Birbes e l'Assomoto decidono di competere nelle categorie marathon e silhouette inferiori ai 500 cc, preparando due moto completamente diverse: la Suzuki DR350S e la Kawasaki KLE500. La Suzukina era monocilindrica, la Kawa bicilindrica e pesava, di serie, 55 kg più della DR. Inoltre aveva una luce a terra di quasi 10 cm inferiore. Era molto più impacciata nel fuoristrada tecnico ma molto più veloce e resistente nei tratti scorrevoli. La DR era stata presentata nel 1990 e io la considerai, per svariate ragioni, la moto totale per eccellenza. Aveva un tranquillo motore da turismo, resistente e parco nei consumi, che richiedeva poca manutenzione e si poteva usare per fare qualsiasi cosa: andarci tutti i giorni al lavoro, fare tirate autostradali, affrontare mulattiere bergamasche e persino la Dakar. Aveva sospensioni da ben 280 mm di corsa alla ruota, ma la sella era relativamente bassa da terra. Ero talmente convinto delle sue doti che ne comprai una e ci percorsi 130.000 km in giro per l'Europa, trovando conferma di tutte le buone cose che pensavo di lei. Per questo, vedendo al via Beppe Canella su quella moto, ebbi un orgasmo, anche se devo ammettere che una moderna KTM 450 dakariana ha ben altro sex appeal. E poi, proprio perché la conosco bene, mi domando come diavolo facessero a scalare le dune con un motore così fiacco. Già, perché erano tanti i privati che correvano la Dakar con la DR350, moto che permetteva di risparmiare tanti soldi e chili legati alla benzina e di stressare poco le mousse. Per un privato, arrivare a fine tappa con poca manutenzione da fare era una manna. Ancora oggi ci sono cultori delle DR350 che le cercano, le trovano, le pagano tanto, le mettono a posto e se le godono.

E veniamo alla Kawasaki KLE500, una delle classiche moto "meste ma oneste", nel senso che non emozionano molto ma vanno bene, costano poco e non si rompono mai. Negli anni Duemila Kawasaki ce le dava spesso, erano dei multi indistruttibili che ci facevano arrivare ovunque. Ne usammo una per andarci in Turchia, in 5.000 km spesso polverosi non ci fu neanche una vite da stringere. All'epoca la sua unica rivale era la Honda Transalp, poi è sparita e adesso, corsi e ricorsi della Storia, quella delle endurone bicilindriche da 500 cc è diventata una delle categorie più affollate. Forte di questa fama, Birbes ne ha preparate un po' per correre tanto nella marathon (dove si possono cambiare le molle, ma non le sospensioni) quanto nella silhouette (dove ha montato una forcella da 48 mm). Nel 1992 Maletti e Surini riuscirono ad arrivare a Dakar al 19° e 20° posto, vincendo le categorie marathon e silhouette.

La Dakar '93 fu un disastro e costò la testa al suo organizzatore, Gilbert Sabine, l'incapace papà di Thierry. Vennero organizzate tappe massacranti, col non dichiarato, ma evidente, scopo di far ritirare il maggior numero di piloti. Ne arrivarono soltanto 12. Canella e Maletti vennero squalificati per avere finito una tappa sotto alla pioggia, dopo che era stata annullata la prova speciale, arrivando soltanto alle 13 del giorno dopo. Il team Assomoto è andato avanti fino al 1997, ma in seguito altri piloti di Brescia e dintorni, spesso militanti nel MC Leonessa, hanno affrontato rally per così dire "africani" (ormai per tali si intendono quelli lunghi, a tappe e in zone desertiche, fossero anche in Sudamerica o Asia...). Parliamo di Botturi, Metelli, Bertoldi, Cominardi, Internò, sperando di non starne dimenticando qualcuno. Durante la Festa per 120 anni era esposta anche la moto con cui Internò ha tentato la Dakar 2021, finendola quasi subito a causa di una caduta.

Bene, ora basta Dakar (peccato). Cambiamo genere. Andiamo a Bonneville, sul Lago Salato, Utah dove, da milioni di anni, vengono tentati i record di velocità massima. Il record assoluto, oltre 1.200 km/h, ottenuto da una... "automobile" dotata di due motori Rolls-Royce a iniezione, in realtà è stato raggiunto su un altro lago salato, nel Black Rock Desert in Nevada, ma non fa nulla, anche a Bonneville sono riusciti a superare i 1.000 km/h. Ebbene, al bresciano Pietro Zanetti è venuto lo sghiribizzo di costruire una moto con cui battere il record mondiale di velocità massima, nel 2018. Questa storia, forse, è ancora più romantica di quella - vera - raccontata nel film Indian - La grande sfida dove Anthony Hopkins interpreta Burt James Munro, un 68 enne neozelandese che, nel 1967, raggiunse i 323 km/h con una vecchia Indian modificata da lui. Pietro ha puntato tutto sul Garelli Mosquito, il celebre motore ausiliario per biciclette, con trasmissione a rullo, che motorizzò gli italiani alla fine della guerra, affrancandoli dalla schiavitù dei pedali, come diceva la pubblicità. Disponibile nelle versioni da 38 e 48 cc, anche con variatore, nella versione più "spinta" raggiungeva i 45 km/h, ma Zanetti aveva elaborato il motore da 48 cc ed aveva raggiunto i 61 km/h. Il telaio su cui montarlo, come sempre in caso di leggende di questo tipo, è stato trovato dentro una cascina, in stato di totale abbandono.

Quindi, un veicolo che in Italia raggiunge i 61 km/h come mai a Bonneville fa solo i 30? Eh, il motivo c'è: non si corre su asfalto, ma su un lago salato. La ruota posteriore tirava su schifezze che hanno finito per rovinare il contatto tra pneumatico e rullo, facendo andare il povero Pigizeta ancora più piano. Quindi come mai i 30 km/h, a portata di qualsiasi ciclista muscolare, sono considerati un record? Beh, pare che nessuno, fino al 2018, si sia mai presentato con un ciclomotore a rullo. La cosa strana è che se andaste in rete e cliccaste cose tipo "Pietro Zanetti Mosquito Bonneville", leggereste che lui, il 28 agosto, avrebbe raggiunto i 40 km/h e vedreste, dalle foto, che cavalcava una Pigizeta molto più "bicicletta" di quella esposta a Brescia. Boh? Se carta canta, quell'attestato, per di più esposto alla mostra, dovrebbe essere più affidabile delle notizie in rete.

Ma adesso passiamo al fuoristrada, iniziando dalla Gilerona di Domenico Fenocchio.

Alla mostra erano esposte anche moto stradali antiche, antichissime. Del resto, quando hai 120 anni, di storia del motociclismo ne ha vista tanta, da vicino... Già nei primi anni del Novecento i soci del MC Leonessa d'Italia 1903 si davano da fare esplorando le vallate a nord di Brescia e gareggiando tra loro.

Era esposta anche qualche moto moderna, compresa una cross elettrica, o la BMW R 100 GS Paris-Dakar con cui Miriam Orlandi, viaggiatrice affiliata al MC Leonessa 1903, ha attraversato l'intero continente americano. Ma ne proponiamo soltanto due.

Chiudo con un ricordo personale: nel 2016, prima di ripristinare la 12 Ore della Franciacorta, il MC Leonessa 1903 ha organizzato un evento appartenente al filone adventouring, ovvero la Vallesabbia Classic. Bruno Birbes, essendo entusiasta della Hardalpitour, in cui vedeva una sorta di tappa della Dakar spostata sulle Alpi, aveva proposto di farla in notturna.

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