di Mario Ciaccia - 27 May 2023

Turismo: dalla pianura padana al senese

Quella organizzata dal gruppo "il 6% che va in moto tutto l’anno" è uscita dal solito cliché della mototendata invernale, perché ha proposto anche un anello di fuoristrada lungo 150 km, a portata di tutti nonostante il maltempo. Siamo partiti da Piacenza, abbiamo raggiunto il Passo del Tomarlo e il Centro Croci; abbiamo toccato il mare (Levanto), il Chianti, la Montagnola Senese, e poi siamo risaliti per la sterrata del Santello... o, almeno, ci abbiamo provato

Sei moto su cento ne hanno voglia

Molti anni fa andammo, nel mese di gennaio, sullo Julierpass insieme a un amico che non aveva mai fatto mototurismo invernale. Con i suoi 2.284 m, è una delle più alte località alpine che si possano raggiungere in moto durante la cattivissima stagione.

La gita venne bene, dal nostro punto di vista, perché ci fece gustare gli aspetti che rendono suggestiva la montagna in pieno inverno: il panorama ammantato di bianco, l’aria frizzante, la strada scavata tra due muri di neve, le stalattiti di ghiaccio che pendono dai tetti, il gusto di entrare nei rifugi caldi per mangiare la polenta, il tramonto rosso fuoco, al ritorno, che incendiò la vetta del Piz Roseg (3.937 m). Il nostro amico si presentò bene equipaggiato e non soffrì il freddo, ma il suo debutto nel lato oscuro del mototurismo lo lasciò indifferente. Il suo commento ci gelò più dei dodici gradi sotto lo zero che avevamo trovato sul passo: "Bello, sì, ma non capisco che senso abbia andare lassù d'inverno, con le strade umide o ghiacciate. Fossimo andati al mare, ci saremmo divertiti di più". Ovviamente, non abbiamo saputo cosa rispondere.

La sua era una risposta razionale, cui era difficile obiettare. In moto si sta all'aperto e ci si diverte a fare i piegoni in curva, quindi sembrerebbe avere senso usarla solo se l'aria è calda e l'asfalto è asciutto. Se ti piace andarci d’inverno, è perché ti procura un piacere irrazionale per il quale si è disposti a patire il freddo e la "guida sulle uova". E, come tutte le cose irrazionali, è difficile dare spiegazioni oggettive sul perché andare in moto tutto l'anno, anche dove fa un freddo cane. Ha trovato le stesse difficoltà un nostro compagno di merende quando lo scorso dicembre, al momento di partire per la tendata che raccontiamo in queste pagine, s'è sentito domandare dai genitori "Perché ci vai adesso? Non puoi aspettare la primavera?". Di fronte a domande così semplici e dirette, è dura dare risposte intelligenti. Andare in moto d'inverno è come sentirsi attratti da una persona che non piace alla maggior parte dei vostri amici. Come spiegate loro questa cosa?

Figli dell'Elefanten

Del resto, il raduno in questione è organizzato da un gruppo che riassume nel suo nome l'intero concetto: "Il 6% che va in moto tutto l'anno". Non so come abbiano fatto questo calcolo, ovvero che soltanto sei moto ogni cento andrebbero in giro anche d'inverno, resta il fatto che è il luogo di ritrovo (fisico e virtuale) di chi non sa spiegare quella cosa là ai propri genitori. Anche se, magari, ha un'età tale per cui i suoi genitori non ci sono più.

Tutti, però, giovani e veterani, sanno bene che cosa sia l'Elefantentreffen e che impatto abbia sulla cultura motociclistica. Si tratta di uno degli eventi col più alto rapporto tra "poco senso razionale/grande seguito tra i motociclisti". Nacque nel 1956 come sfida da parte di un giornalista tedesco: "Ma quanti siete, là fuori, ad andare in moto d'inverno? Venite a casa mia, a Stoccarda, nei giorni della merla! Vediamo chi ce la fa" (molto comoda come sfida da parte sua, visto che se ne rimase a casa). L'evento era riservato ai possessori dei sidecar Zündapp Elefant, ma ebbe un successo inaspettato e crebbe in brevissimo tempo tanto che, negli anni Settanta, si registravano 20.000 partecipanti, a bordo di qualsiasi mezzo tra moto e sidecar.

Il programma: viaggiare in moto, raggiungere un luogo pieno di neve (variato quattro volte nel corso degli anni), dormire in tenda per un paio di notti, tornare a casa. Che senso aveva? Eppure, ha avuto un successo micidiale, è uno dei più grossi miti del mondo del mototurismo, è famoso in tutto il Mondo e ha ispirato decine di raduni fatti nello stesso modo, comprese le tre Tendate Invernali All Travellers che abbiamo organizzato tra il 2015 e il 2017 e alle quali partecipava Evan Tedeschi, il ragazzo di Roma che ha fondato il gruppo 6%. Oggi lavora all'estero e non riesce a curare molto questa sua creatura, per cui ha passato la mano a Marco Cappelli, un ligure che possiede un agriturismo in Toscana.

Klondike

Ma forse, nel frattempo, ho trovato una chiave di lettura per spiegare questa passione verso la moto e l'inverno. Quando ero piccolo lessi il romanzo di uno scrittore, che non era Jack London, che parlava della corsa all'oro: si parlava del viaggio in nave da San Francisco, con i vari avventurieri a bordo; dello sbarco in Alaska e della traversata fino al Klondike attraverso il Chilkoot Pass, descritta in toni epici, con quelli che ce la facevano, quelli che soccombevano, quelli che si fermavano a dormire per strada con l'attrezzatura studiata per non congelare… Non sono stato l’unico a esaltarmi leggendo queste cose, che metto sullo stesso piano di altri racconti di sopravvivenza in condizioni estreme come le traversate polari, le scalate himalaiane… o la Dakar.

Ecco, nel suo piccolo, l'Elefantentreffen ha quel fascino lì: la traversata delle Alpi in gennaio, equipaggiati a dovere per non soccombere al freddo, per arrivare in un luogo dove migrano migliaia di motociclisti da tutta Europa. Questo spiega perché abbia ispirato così tante mototendate invernali. In realtà, i ragazzi del 6% esprimono un concetto più esteso: sicuramente sono affascinati dalle atmosfere dei mesi freddi, ma il messaggio che fanno passare è che in moto è bello viaggiare 12 mesi all'anno, con qualsiasi clima e temperatura. Ogni anno, ai primi di dicembre, organizzano il Base Camp, una tendata che si disputa da otto edizioni in Centro Italia. Quest'anno, come nel 2021 e nel 2018, s'è disputato sull'Everest del Chianti, ovvero il Monte San Michele (892 m), in provincia di Firenze. Non è un luogo molto nevoso, per cui questo rende il raduno abbordabile anche da chi non è maniaco dell'inverno. La prima edizione s'è svolta nel febbraio 2016 a Roccamorice (PE). La seconda, nel mese di dicembre 2016, al Castello di Salle (PE). L'anno dopo ad Accumoli (RI), nel 2019 a Trivigliano (FR) e nel 2020 non si è tenuta, causa Covid-19.
Devo però muovere una critica: la sensazione è che la maggior parte di chi fa mototurismo invernale lo faccia soltanto per partecipare a queste tendate. Per raggiungerle fa un trasferimento e non un viaggio. Ovvero, prende l'autostrada e fa il percorso più breve, senza divagazioni. Arriva, monta la tenda e inizia a cucinare. La maggior parte del tempo, a queste tendate, viene passata accanto al fuoco a mangiare, a bere e a chiacchierare, dal venerdì sera al sabato notte. Poi, la domenica, tutti smontano le tende all'alba e tornano a casa, sempre in autostrada. Questa cosa succede anche all'Elefantentreffen e pure alle tendate di Motociclismo All Travellers. A me piace stare intorno al fuoco, ma non per un intero weekend, per cui a questi raduni cerco sempre di abbinare dei viaggi di arrivo e di ritorno a casa interessanti. Applausi, quindi, al gruppo 6%, che ha organizzato un sabato da passare tutto in sella, in giro per il Chianti e oltre, scegliendo tra il giro su asfalto e quello in fuoristrada.
Altra questione: come farle, queste tendate? Dure e pure, ovvero in posti dove non ci sia nulla, oppure appoggiandosi a qualche rifugio/albergo? Nel primo caso sei costretto a dormire in tenda e a mangiare/cucinare all'aperto, il che rende l'evento più sanguigno e genuino. Nel secondo, si allarga l'evento a una platea meno estrema. Lo facevamo anche ai tempi di Motociclismo All Travellers, anche se io ero talebano e storcevo il naso. E lo fanno anche quelli del 6%. Puoi quindi scegliere dove dormire e dove mangiare, visto che c'è la cena sociale aperta a tutti, nel locale ristorante. Io continuo a essere talebano, perché si crea un netto scollamento tra chi sta all'aperto e chi in albergo, però capisco che si riescano ad avere più partecipanti. Inoltre, una volta che c'è il rifugio nulla vieta ai talebani di entrare per farsi un bel tè caldo…

Inverno ed estate

Per arrivare in Toscana abbiamo scelto di fare un viaggetto di contrasti, attraversando gli Appennini e scendendo sul Mar Ligure. Quindi abbiamo puntato sul valico asfaltato più alto che si trova sulla linea… più o meno retta tra Milano e il mare: il Tomarlo (1.485 m), seguito poi dal Cento Croci (1.055 m) e dalla discesa su Levanto.

Sul Tomarlo trovavamo la prima neve dell'inverno: candida, fresca, appena arrivata. È meraviglioso trovarsi in montagna all'inizio dell'inverno, sapendo che hai tutta la "brutta" stagione davanti, con le vacanze di Natale, i pandori, le cioccolate calde. Mentre a Levanto abbiamo assistito a un tramonto spaziale, col cielo tutto rosso, e abbiamo provato il piacere di quando sai che l'estate sta per arrivare (anche se mancano sette mesi), con le vacanze, le cene all'aperto, le fritture di calamari e i bagni in mare. Ecco cosa intendiamo con viaggetto di contrasti. E tutto questo nel giro di poche ore! A Levanto, tra l’altro, è stato inevitabile mangiarci una bella focaccia, con mozzarella di bufala e acciughe. Dopodiché, autostrada fino al Chianti.
Per quanto riguarda l'abbigliamento, sono giunto alla conclusione che su asfalto, soprattutto in autostrada, quando fa freddo sia meglio usare i guanti riscaldati. In fuoristrada, invece, guanti estivi con le manopole riscaldate. Mi trovo molto bene con uno dei rari completi giacca-pantalone prettamente invernali in circolazione, il T.ur J-zero. Nella nuova gamma T.ur presentata ad Eicma manca una proposta da grande freddo, ma sembra che il prossimo autunno il J-Zero avrà un erede.
Su San Michele siamo arrivati nella tarda serata del venerdì 2 dicembre. Pioveva. Accoglienza calorosa (questi eventi sono sempre speciali, dal lato umano) e clima sopportabile (di notte, la minima è andata a quattro gradi sopra lo zero). Ci siamo cucinati i risotti liofilizzati con i fornellini, ma sapevamo che il giorno dopo ci sarebbe stata una gara di chef, col tema "cucina da campeggio".

Che schianti!

Gioco di parole tra Chianti e schianto, inteso nel senso della bellezza e non dell’incidente. Perché questa regione della Toscana è favolosa da girare pure sotto l'acqua e con i colori spenti della cattiva stagione. Tutti e 150 i km del giro in fuoristrada del sabato li abbiamo fatti sotto la pioggia, alternata tra ragionevole e battente. Il giro era stato studiato a puntino per essere affrontabile con il cattivo tempo da gente anche poco esperta, con maxienduro e gomme stradali. Lo ha tracciato un certo Quarta Piena, al quale va tutta la nostra stima, perché è riuscito a soddisfare quasi tutti: ovvero, nonostante fosse facile, era anche divertente. Ha scontentato soltanto chi era alle primissime armi e chi voleva qualcosa di più tecnico.

Come ricordiamo spesso, il fuoristrada in moto è comunque sinonimo di terreni con un'aderenza precaria, per cui quando scriviamo "facile" intendiamo che comunque ci vogliono dei rudimenti di guida al di fuori dell'asfalto. Bisogna cioè avere un minimo di pratica su come si acceleri, freni e curvi sulla ghiaia e sulla terra, cosa non elementare specie per chi inizia già a una certa età e con moto da 200 kg.
Chianti significa colline con boschi o vigneti, toccando pochissimi borghi: i più belli sono stati Volpaia e poi, sconfinando nella Montagnola Senese, Monteriggioni. Dopo una cinquantina di chilometri, nel gruppo c'è stato un ammutinamento. Eravamo divisi tra chi diceva "È bellissimo, in fondo ci stiamo divertendo anche se piove" e chi "Son bagnato fradicio e, anche se non lo fossi, odio la poggia e me ne torno al Camp", per cui ci siamo detti: non lasciamoci così. Troviamo un posticino dove mangiare e poi ciascuno vada per la sua (fuori)strada. Beh, ci abbiamo messo una dozzina di chilometri, prima di trovare qualcosa: una minuscola trattoria dentro un borghettino medioevale delizioso, chiamato San Sano, dove ci hanno offerto una stufa e tanti pici. Dopodiché, aiutati dal fatto che in dicembre ci sono le giornate più corte dell'anno, abbiamo finito il giro col buio, arrivando al Base Camp in tempo per scoprire che nessuno aveva intenzione di partecipare al concorso di cucina da campeggio. Credo che tutti abbiano fatto il nostro ragionamento: noi mangiamo, gli altri cucinano.

Garfagnana ostica
Per tornare a Milano abbiamo avuto un'idea idiota, con la piena consapevolezza che lo sarebbe stata: tentare la traversata degli Appennini tramite la sterrata del Passo del Santello, alto 1.640 m sul mare. Sarebbe stata certamente innevata e noi non avevamo le moto adatte (bicilindriche cariche di bagagli con gomme moderatamente tassellate), ma la neve ci piace così tanto che eravamo disposti a tentare così, tanto per prova, rassegnati a tornare indietro.

Siamo passati da Pistoia, perché avevo le pastiglie del freno posteriore sul ferro e uno degli organizzatori del 6%, Giovanni Nesti, mi ha fatto passare da casa sua, dove aveva il ricambio. Gentile, no? Ma con i raduni invernali va così, son tutti generosi.

Siamo arrivati a Barga alle 16, quasi al tramonto. Lo sterrato era innevato, ma commestibile e siamo arrivati sul passo alle 17. Ma la parte successiva, 6 km fino al Passo di Pradaccio (1.617 m), aveva la neve molto alta. Alle 18 avevamo fatto soltanto 1 km. Di questo... passo, nel migliore dei casi saremmo arrivati al Pradaccio soltanto alle 23. Per cui abbiamo girato le moto, ritornando a Barga alle 19 passate. Seguiva una merendona accanto alla stufa di un bar, che sconfinava nella cena, per cui prendevamo la via di casa soltanto alle 21, trovando una delle piogge più torrenziali mai viste fino a Milano… per chi ci arrivava: perché io facevo fuori i cuscinetti del mozzo posteriore ed ero costretto a fermarmi a Fiorenzuola d'Arda, per poi ripartire l’indomani. Non tutto il male viene per nuocere, perché il meccanico che mi rimetteva in pista, Idea Moto di Roveleto di Cadeo (PC), aveva in vetrina delle chicche come la Benelli 750 Sei, la Suzuki RG500 Gamma e la Honda RC30. Solo per guardare da vicino quei gioielli valeva la pena fare fuori il mozzo…

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