di Mario Ciaccia - 17 March 2023

Turismo: i paesi fantasma della Basilicata

Paesi che, per varie ragioni, sono stati abbandonati e, pur essendo svuotati della loro vita, conservano un certo fascino: parliamo di Craco, Borgo Taccone e Campomaggiore Vecchio, tre villaggi della Basilicata con diverse storie alle spalle. Abbiamo imbastito un itinerario per collegarli attraversando campagne a loro volta desolate ma bellissime e, ovviamente, toccando Matera

Patrimonio dell’Unesco

Pensate a quanto sia incredibile la storia di Matera che, fino agli anni Novanta, era considerata una città “paria”, di cui vergognarsi, per gli stessi motivi che in seguito l’hanno portata ad essere così apprezzata e famosa da diventare persino il set di film holliwoodiani come La Passione di Cristo di Mel Gibson (2004) o No time to die della saga 007 (2019), dove un fotomontaggio ha saldato alla città il ponte di Gravina in Puglia, che però è stata scandalosamente dimenticata nei titoli di coda.

In realtà Matera ha sempre attratto chi si rendeva conto della sua eccezionalità di luogo abitato, ininterrottamente, fin dalla preistoria (che è il motivo per cui l’UNESCO, nel ‘93, l’ha inserita nei luoghi patrimonio dell’Umanità), anche se quei Sassi, ovvero grotte calcaree, abitati promiscuamente da uomini, maiali e capre facevano storcere il naso ai più. E ce n’era motivo, visto l’impressionante elenco di malattie, soprattutto infettive, che affliggevano la popolazione. Nel romanzo Cristo s’è fermato ad Eboli, Carlo Levi parla di quando sua sorella, nel 1935, ha visitato Matera, uscendone sconvolta. Il leader comunista Palmiro Togliatti lo lesse, restandone turbato a sua volta, così nel 1948 andò a toccare con mano la situazione. Matera era una vergogna nazionale, un ghetto da tenere nascosto al resto degli italiani, occorreva fare qualcosa. Nel 1952, così, una legge speciale portò allo sfollamento dei Sassi e alla costruzione di quartieri nuovi, sia dentro Matera stessa, sia nelle campagne vicine: Borgo Venusio, Picciano, La Martella, Borgo Taccone sono stati creati dal nulla per quel motivo. In tutto, 17.000 persone furono costrette ad andarsene. Anche Adriano Olivetti, uno dei fautori della “nuova Ivrea”, partecipò ai progetti.

Come New York

I miei genitori appartenevano alla categoria delle persone attratte dal valore storico di Matera, per cui mi ci portarono in visita, negli anni Settanta, ma fu uno shock. Sembrava che non ci fossero altri turisti oltre a noi e torme di ragazzini urlanti ci assaltarono, al grido di “O ci prendete come guide, o vi roviniamo la macchina”. Pessima esperienza, fama di Bronx italiano meritata. Ma negli anni 90, proprio quando il sindaco Rudolph Giuliani ripuliva New York dal degrado e dalla violenza, a Matera qualcuno faceva lo stesso, facendo diventare i due quartieri dei Sassi dei salotti splendenti, tanto che oggi quella città è una delle più belle d’Europa.

E i nostri ritorni in Basilicata sono avvenuti in motocicletta, scoprendo che si tratta di una regione meravigliosa, forse unica, da girare con le due ruote. Perché, come del resto tutta l’Italia, ha tante strade piene di curve perfette per divertirsi in moto, così come tanti luoghi interessanti da visitare e una cucina tipica che va gustata; ma qui c’è anche il fascino del deserto. Non intendiamo quello canonico con le dune di sabbia, però la regione presenta una demografia fatta di piccoli paesi isolati in mezzo a una natura selvaggia, affascinante.

Ad aumentare questa indefinita sensazione di desolazione, c’è il fatto che diversi di questi paesi sono stati abbandonati. In alcuni casi i motivi sono evidenti, in altri no. La campagna è fertile, il posto è bello, le case sono a posto, ma sono vuote, la gente se n’è andata. È una cosa negativa, è drammatica, ma non siamo ipocriti: se serie tv come Walking Dead hanno successo è perché gli esseri umani, volenti o nolenti, sono affascinati dai luoghi dove prosperava la Vita, ma poi se n’è andata. Sono sbigottiti, sperano che le cose tornino a posto, ma si sentono attratti, vogliono andare in quei posti. Prima del conflitto, Černobyl’ era una delle mete turistiche più note dell’Ucraina. Prima del disastro nucleare, nessun viaggiatore sentiva il bisogno di andare laggiù… Ed è questo che proviamo in diverse zone della Basilicata, per esempio a Craco, a Campomaggiore Vecchio o nei dintorni del Castello di Monteserico.

Due in uno

Per cui, sapete che cosa vi proponiamo? Un giro in moto che, in un giorno solo, vi faccia toccare tutti e tre quei luoghi fantasma, un anello di 280 km, distanza tipica di una girata con tante soste. Ma, prima, prendetevi un paio di giorni per girarvi tutta Matera, sia in moto sia a piedi, su e giù per i vicoli dei Sassi Caveoso e Barisano, senza perdervi anche le chiese rupestri che si trovano dall’altra parte della gravina. Questa città è imperdibile, la consideriamo una delle più belle del Mondo e, non a caso, nel 2019 è stata nominata Capitale Europea della Cultura, insieme alla bulgara Plovdiv. Si potrebbe raccontarla come un vulcano dentro il cui cratere hanno fatto piovere, a casaccio, casette medioevali una sopra l’altra fino a riempirlo (il Barisano), per poi fare altrettanto lungo una delle sue pendici (il Caveoso). Non è zona vulcanica, ma carsica, però l’effetto è quello. Spettacolo puro, sembra di essere a teatro. E la via Madonna delle Virtù, mozzafiato, è aperta al traffico motociclistico, ma non alle auto. A meno che non si tratti dell’Aston Martin DB5 di James Bond, che sgomma qui dentro nel film No time to die. Invece la moto non si può usare per raggiungere il Belvedere Guerricchio, un balconcino da Romeo e Giulietta affacciato sul Barisano, una di quelle cose per cui arrivate ed esclamate: “Oooooh!”. Già che siete lì, fatevi un giro dentro il Palombaro Lungo, che è la principale cisterna della città: terminata nel 1882, sfruttava le grotte sotterranee per accumulare l’acqua piovana e quella di tre sorgenti.

Stiamo quindi parlando di costruire corridoi e passaggi sotto terra a scopo idrico, ovvero la causa iniziale dei problemi che hanno portato Craco alla rovina totale. La prima cosa che colpisce di quest’ultimo paese è l’aspetto: si trova letteralmente nel mezzo del Nulla. La via che ci arriva, da Matera, per chilometri e chilometri non tocca centri abitati. Si lascia la città con una superstrada che fa già venire gola per via degli sterrati che si vedono dai viadotti. Si esce a Ferrandina e, da questo paese in poi, basta, zero, per 34 km non ci sono più centri abitati, neanche una casetta.

Macerie e cavalli neri

Si sale e si scende in un paesaggio da cowboy, con calanchi ingentiliti da prati in fiore. D’improvviso ecco Craco, in cima a una rupe, bellissima. Non era un paese di contadinacci, questo. Aveva palazzi eleganti e ci colpisce questo lusso in una posizione così isolata. Il paese era nato come rifugio di greci che arrivavano dal mare Ionio, dove imperversava la malaria. Ha iniziato a prosperare quando era sotto ai normanni. Sono stati proprio i lavori alla rete idrica a far sprofondare il pavimento della piazza centrale, nel 1963. L’elenco degli eventi che hanno portato alla fuga di tutti e 2.000 gli abitanti comprende anche l’alluvione del 1972 e il terremoto del 1980. Come già dicevamo a proposito di Černobyl’, una volta svuotato del tutto ed andato in malora Craco è diventato un’attrazione turistica. Ed è giusto: tra i vari disastri che hanno colpito questo paese, almeno risparmiamogli l’oblio. S’era creato un sistema di visite guidate a pagamento, controllate, con guide e caschetti per tutti i visitatori, ma di recente anche questa cosa è venuta meno, a causa dell’ulteriore rischio di crolli. Così tutto il paese è stato circondato da un’inferriata. È possibile arrivarci e guardarlo: sembra che sia stato bombardato pesantemente. Non c’è proprio nessuno, per cui immaginate la nostra sorpresa quando, dalle rovine, abbiamo visto emergere un superbo cavallo nero, al galoppo...


Craco non è l’unico paese nato come luogo per salvarsi dalla malaria. 25 km più a ovest, ovviamente in cima ad una rupe, c’è Stigliano, alto 900 m sul mare, quota che lo rendeva così salubre da essere stato capoluogo di provincia, nel 1528 e nel 1643. Ci si arriva con una strada fantastica, dal punto di vista delle pedane per terra. Anche qui la popolazione sta diminuendo, sia pure in maniera meno drammatica che a Craco, visto che non ci sono frane. Per tentare di arginare il fenomeno e creare un senso di appartenenza, a Stigliano, dal 2017, ogni settembre si svolge un contest di artisti, appARTEngo, che ricoprono le facciate delle case di murali, veramente belli... e strani. Il più bizzarro si trova in via Cialdini ed è la foto seppiata di anziani del posto, mischiata a scritte che si intravedono qua e là. Ci abbiamo messo un po’ a capire che si tratta di due opere differenti, una delle quali realizzata coprendo l’altra, finché il tempo non ha fatto riemergere quella sottostante… In ogni caso, arrivando dalla desolazione mortale di Craco l’ingresso dentro Stigliano allarga il cuore, perché è il tipico paesino del Sud Italia dove la gente sta in strada a guardare cosa succede, per passare il tempo. E immaginiamo che siano contenti di vedere dei motociclisti che si fermano per guardare i murali.

Ma perché Dolomiti?

Dai calanchi siamo passati a un paesaggio più boschivo, ma è dopo Stigliano che il percorso assume un aspetto tipicamente montano, superando tre valichi alti poco sopra i mille metri sul mare. Il secondo di questi si trova dentro il Bosco di Montepiano, una foresta di cerri molto fitta, dove viene voglia di fermarsi aspettando qualche miracolo, tipo vedere degli gnomi parlare con Bambi. Quando si esce dal bosco c’è la vista su Pietrapertosa, il Comune più alto della Basilicata (1.088 m dichiarati: in realtà, tutto il paese sta sotto ai 1.000 tranne il castello, posto in cima ad uno scoglio alto 1.051 m). La prima visione è già impressionante, anche se il paese è lontano e il paesaggio è deturpato da un ecomostro che qualche scellerato ha costruito al confine meridionale dell’abitato. Bisogna entrare e fermarsi nel punto in cui hanno piazzato una cornice in stile fotografico per le foto ricordo. Da lì si gode la vista unica di un paesino medioevale in groppa a rocce tondeggianti, a forma di cresta di drago. Uno spettacolo unico al Mondo, eppure qualcuno ha avuto la bella idea di chiamare queste montagne “Piccole Dolomiti Lucane”. Non c’entrano nulla con le montagne altoatesine, non sono le parenti povere, hanno una loro spiccata personalità e si meritavano un nome diverso.

Sotto il paese c’è un canyon e, dall’altra parte, sorge un paese del tutto simile come concetto (vivere in groppa a un drago), Castelmezzano. La strada che collega i due paesi si avventura nel canyon, è lunga circa 11 km ma è ufficialmente chiusa al traffico, con tanto di sbarra, a causa di una frana. Per arrivare a Castelmezzano, quindi, occorre fare un giro più lungo (17 km), che percorre le pendici del Monte Caperino (1.455 m) raggiungendo i 1.180 m. Frana o non frana, ve l’avremmo consigliata comunque, per via delle visioni panoramiche straordinarie su entrambi i paesi. Qui ci sono pochi tra ristoranti e alberghi, ma vale la pena fermarsi per esplorare quelle rocce (ci sono vie ferrate), o per provare l’ebbrezza di ciò che gli inglesi chiamano zipline e noi italiani, più romanticamente, volo dell’angelo. Si può fare sia all’andata sia al ritorno, appesi a un cavo di metallo come panni stesi ad asciugare, con la differenza che sfreccerete a 110 km/h in un senso e 120 nell’altro.

La città dell’utopia

Si scende nella Valle del Basento con una strada molto divertente e risaliamo il versante opposto per arrivare a un doppio paese a scacchiera, composto da Campomaggiore Nuovo e Campomaggiore Vecchio. In origine era un accampamento romano che si trasformò in paese vero e proprio. Durante il Medio Evo venne dominato prima dagli arabi, poi dai bizantini e infine dai normanni. Ma quando poi, dalla Francia, arrivarono gli Angiò, il paese venne raso al suolo e gli abitanti furono massacrati. Dopo secoli di oblio, quando in loco vivevano appena 80 persone, nel 1673 Re Filippo IV di Spagna concesse la zona al conte Rendina che, in cambio, avrebbe dovuto ripopolarla. Venne affidato uno studio di paese ideale a un architetto allievo di Luigi Vanvitelli (colui che aveva progettato la Reggia di Caserta), chiamato Giovanni Patturelli. Nel 1741, sedici famiglie si riunirono in quella che venne chiamata la Piazza dei Voti, per dare inizio alla costruzione del paese. Chiunque avesse accettato di venire a vivere qui avrebbe avuto, gratis, casa e terreno agricolo, in cambio di una sudditanza di tipo feudale. Nel giro di 90 anni, a Campomaggiore prosperavano 1.525 persone. Cuore del paese era la Piazza dei Voti, in cui una candida chiesa fronteggiava il palazzo Rendina, sede del feudatario, dotato di un orto botanico. C’erano la stazione ferroviaria, un grande lavatoio comune, la caserma dei Carabinieri Reali e un cimitero. Le casette avevano i tetti rossi ed erano circondate da alberi di fico. Nelle campagne circostanti crescevano grano, ulivi, uva e fichi. Si viveva bene, a Campomaggiore.

Eppure…

Il 10 febbraio del 1885 una bufera di neve durata quattro giorni, alternata a pioggia battente, provocò uno smottamento del paese, che si spostò scivolando verso valle sul terreno acquitrinoso, con le case che crollavano una dopo l’altra. Il destino fu lo stesso di Craco: l’abbandono totale.

Il paese è stato però ricostruito, con gli stessi principi urbanistici e una pianta simile, a 2 km in linea d’aria, su un’altura posta a una quota di 250 m superiore. Il paese vecchio, come Craco, è meta di un turismo di tipo “chernobiliano”: per salvarlo dall’oblio è stato dotato di installazioni artistiche, 12 pannelli esplicativi a fumetti e messaggi audio del poeta Davide Rondoni. La sera i ruderi vengono illuminati ad hoc. A Campomaggiore Nuovo c’è il Museo dell’Utopia.

Ancora spettri

Seguono altri 25 km di su e giù collinari prima di arrivare al paese di Tolve che, tanto per cambiare, è stato edificato in cima a una collina. Dista 70 km in linea d’aria dai tre mari: Adriatico, Ionio e Tirreno. Vi si trova la villa del Moltone, di origine greca antica, uno dei più antichi edifici della Storia ad essere dotato di un bagno con impianto di scarico. Nel medioevo era un borgo fortificato. Poco distante si trova una delle dieci basi dei missili nucleari Jupiter, piazzate in Puglia e Basilicata tra il 1959 e il ‘63. Oggi è una meta turistica per appassionati di Guerra Fredda.

Altri 21 km “vuoti” (ma con due distributori di benzina) e si arriva al terzo villaggio fantasma, anche se in realtà è il preludio di un’intera zona abbandonata, fino a Gravina di Puglia. Solo che non ci sono state delle frane a scacciare le persone: siamo in una zona fertile, con case a posto, ma abbandonate come se ci fosse stata un’epidemia letale, o un attacco con gas tossici. Quindi si provano sensazioni diverse: un conto è un Nulla dove la strada asfaltata scorre in mezzo alla natura e un conto è un altro Nulla dove di case ce ne sono tante, ma tutte abbandonate. Inoltre l’asfalto da Borgo Taccone, fino alla diga del Lago di Serra del Corvo, è disastrato, come se ci fossero cadute sopra delle bombe, tanto che con le maxienduro ci siamo divertiti come quando affrontiamo le strade sterrate. Borgo Taccone è uno dei “villaggi ideali” realizzati negli anni Cinquanta per ospitare gli sfollati dei Sassi di Matera. Era stato creato da zero, dedicato a gente che avrebbe dovuto lavorare i campi delle colline adiacenti. Le abitazioni erano delle villette tutte uguali e c’erano una scuola, un ospedale, una caserma dei carabinieri e la stazione ferroviaria. Rispetto a Campomaggiore, mancava solo il palazzo comunale, insomma.

Come mai è stato abbandonato? La solita frana? No, questa volta è successo che la mancanza di comfort moderni abbia portato la gente a stufarsi già negli anni Sessanta, fino allo svuotamento totale del paese nei Settanta. Per l’acqua ci volevano le autobotti, per l’energia elettrica i gruppi elettrogeni, per il cibo bisognava fare un sacco di chilometri a caccia della rivendita più vicina. La novità è che esiste una volontà di tornare a popolare questo posto. Quando abbiamo visto una giovane mamma col passeggino, che camminava davanti alle case vuote, abbiamo pensato (coerentemente) a un fantasma. Invece si tratta di una famiglia che ha deciso di stabilirsi qui, con la speranza che ne arrivino altre. In fondo, la campagna là fuori continua ad essere fertile.

Il Castello muto

Inizia la parte che preferiamo. Perché queste stradine distrutte, dove ogni tanto si trova una casa colonica anni Cinquanta abbandonata, con archi per ingentilirne la forma a cubo, attraversano una regione di colline tondeggianti (verdi in primavera, gialle d’estate) che ricordano le Highland scozzesi. Sembra una terra dimenticata, eppure la strada che sale al castello di Monteserico da ovest è stata asfaltata di fresco. Siamo in cima a un colle alto 550 m sul mare, con una sconfinata vista a 360° su un mare mosso di colline occupate, qua e là, da queste casette cubiche abbandonate. Inizialmente si trattava di una torre di avvistamento, eretta dai longobardi nell’840 d.C. La posizione è strategica, perché da qui si poteva vedere un lungo tratto della Via Appia che collegava Roma a Brindisi. In caso di avvistamenti sospetti (tipo un enorme esercito bellicoso) venivano accesi dei fuochi visibili da un altro castello, quello di Garagnone (oggi ridotto a un rudere), che dominava la via Appia dalla parte opposta della valle del Bradano e che dista 14 km in linea d’aria, in direzione nord est.

Due secoli più tardi, i normanni realizzarono la cinta di mura difensive. Nel 1041 subì un tentativo di conquista nell’ambito della famosa battaglia di Montepeloso tra normanni/longobardi e binzantini, persa da questi ultimi, che dovettero cedere la città di Acerenza. Nel corso dei secoli è poi stato distrutto, quindi è diventato una masseria con tanto di forno. Nel 1918 vi è venuta a vivere una famosa attrice del cinema muto, di cui gira la leggenda che amasse girare per le campagne circostanti completamente nuda. Nel 1989, il maniero è stato acquistato da Comune di Genzano di Lucania, che l’ha restaurato tra il 2002 e il 2012. Attualmente si può visitare su prenotazione, tramite il Comune di Genzano, che vi manda apposta una guida con tanto di chiavi. Gira anche la leggenda di un tunnel che raggiungerebbe chissà quale lontanissimo posto... Si prosegue in questo strano ambiente (case abbandonate, strade spesso disastrate) oltre il Lago di Serra del Corvo, fino a passare sotto il ponte della ferrovia Altamura-Potenza: e al di là, di colpo, ecco la Vita, sotto forma della bellissima Gravina di Puglia, dove non si può non fermarsi per ammirare almeno il ponte di Madonna della Stella, che è un po’ il simbolo della città. Chiedetelo a 007…

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