di Alfredo Verdicchio - 03 December 2022

"Circa 1.000 bozzetti per arrivare alla Hornet definitiva"

Il senior designer di Honda Italia, Giovanni Dovis, racconta tutto quello che è stato il processo creativo per arrivare alla Honda Hornet 750. Ci racconta cos'è rimasto della nuova Hornet, quali frontiere stilistiche può aprire e quanto lavoro c'è stato dietro ad un ritorno di un nome così importante per la Casa dell'Ala Dorata

Per la nuova Hornet, Honda si è rivolta all'R&D italiano?

“Come di prassi il concorso interno, se così vogliamo definirlo, c’è sempre. Il miglior bozzetto non esce mai dopo il primo ma dopo tanti sviluppi. Noi come R&D ci interfacciamo col Giappone continuamente. In primis, dato un determinato concept che può andare dallo scooter a una off, facciamo un diretto confronto e scambio di bozzetti con i designer anche perché il prodotto ha una valenza globale. A seconda dell’andamento dell’investimento, della base tecnica ed altri componenti, si arriva al punto e man mano il designer, che non è un artista ma un progettista, che deve sottostare a determinati dettami tecnici, affina sempre più la parte stilistica. Insomma è un lavoro di team, anche perché senza una squadra di sviluppo nulla è possibile. Tieni conto che il progetto Hornet prende vita a marzo 2020 in piena pandemia, è stato ancor di più importante il team. La difficoltà è stata quella di comunicare con i tecnici Honda in Giappone, di capire dalle immagini le dimensioni e i volumi delle varie superfici delle parti della moto. In questo è venuto in aiuto sì il 3D ma anche le immagini. Sembrava di parlare al buio. La fotografia sembrerà arcaica ma è stata fondamentale per capire a tutto tondo il modello in clay e in questo i giapponesi sono stati eccelsi”.

Quando si pensa a un modello nuovo, che tipo di input si riceve dalla Casa Madre? E quanto pesa la tecnica?

“Gli sketch che abbiamo divulgato all’inizio erano proprio i primissimi ed è per questo che si possono notare diverse soluzioni stilistiche e anche ciclistiche. Al primo mese di disegni probabilmente la base tecnica è già stata decisa al 50% ma poi quello che davvero conta è la richiesta del cliente: perché devi sapere che tutto parte da una ricerca di mercato sviluppata su tutti i Paesi - perché ormai il prodotto è globale - che prende in considerazione le richieste proprie del cliente tipo di Honda. Per quanto riguarda il progetto Hornet, quando il nostro team dell’R&D ha saputo della base tecnica su cui si sarebbe poi disegnata la nuova versione siamo stati molto contenti dell’approccio non conservativo ma innovativo, vista soprattutto la storia che contraddistingue questa moto. Il fatto che il motore non sia più un quattro cilindri va a rispondere alle richieste del nuovo cliente Honda, che non è più quello del 98, anche se poi non sono cambiati i principi fondamentali, quindi prestazioni e divertimento. Insomma, una ‘Hornet dei tempi moderni’ come affermato dal capo tecnico giapponese”.

Perché allora chiamarla ancora Hornet?

“Perché no? Quando la guiderai ti renderai conto che questa moto poteva chiamarsi solo Hornet, anche se bicilindrica. L’approccio verso la moto è lo stesso avuto con la prima versione, ma con una visione moderna. Il bicilindrico è la soluzione più adatta a creare una moto prestante e fisicamente compatta, che risponde alle richieste del mercato. Oltre la fatto che in listino abbiamo ancora la CB650F, una quattro cilindri che ha ancora un suo pubblico importante.

È prevista la nascita di una “famiglia” Hornet? E se sì, che implicazioni porta con sé da un punto di vista stilistico?

“È ancora presto per parlare di un famiglia, mentre per quanto riguarda la parte stilistica non è sempre noto da subito se da una moto verranno poi derivate versioni più piccole o più grandi. Questo dipende anche dal successo di mercato perché realizzare da subito varie cilindrate implica un investimento molto importante che non sai se poi avrà un ritorno. Ad esempio, il successo inaspettato dell’X-ADV ha spinto alla realizzazione prima di un 125 e poi anche una cilindrata di mezzo che ha poi portato alla nascita dell’ADV 350, realizzato sulla base tecnica del Forza 350. Un impegno per il designer non indifferente. Detta comunque legge la ricerca di mercato, quindi le richieste del cliente”.

Cosa più ti piace della nuova Hornet?

“Premettendo che non giudico il mio lavoro, dico che la moto è interessantissima, a partire dalla base tecnica che mi intriga. Sono contento su come si è evoluto il progetto stilistico dai primi bozzetti a come è la moto. Sono tanti i dettagli che mi piacciono e soprattutto mi convincono i volumi: la Hornet non è sgonfia nelle superfici. Essendo una moto totalmente inedita, è una moto da vedere, da toccare. E da provare”.

A cosa vi siete ispirati per il design? Cos’avete tenuto della vecchia Hornet?

“Mi sono ispirato al calabrone, specie nella forma dei convogliatori anteriori (che tra l’altro ricordano vagamente delle ali aerodinamiche, ndr), che riprendono le ali anteriori protese in avanti quando il calabrone rimane sospeso nell’aria, in posizione. E poi ho puntato molto sulla semplicità, togliendo piuttosto che aggiungendo. Ho cercato di evitare l’overdesign, soprattutto quello proposto dalle nuove Case. Abbiamo puntato su un certo tipo di minimalismo, con linee taglienti ma allo stesso tempo pulite, non esagerate. Perché il cliente Honda non è esasperato, tamarro. Rispetto alla prima Hornet, dove era la meccanica a farla da padrona, qui sarà più il serbatoio, anche perché la meccanica è meno preponderante”.

Quanti bozzetti avete disegnato? Quanto tempo richiede la parte creativa?

“Nel complesso, per arrivare a una forma definitiva possiamo dire che ci vogliono mediamente tre mesi, in cui vengono prodotti davvero tanti disegni, anche perché tante volte non piacciono. Comunque, direi almeno un migliaio”.

Il design della nuova Hornet può essere l’inizio di un cambio stilistico?

“Nì. Nel senso che da una parte è bello rinnovare e innovare, ma è anche vero che nello stile tutto viene preso con il contagocce. Di certo la Hornet porterà qualcosa, non così forte da essere trasformativo mentre di spunto, sì”.

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