di Marco Riccardi - 01 May 2022

I fratelli Castiglioni

Animati da grandissima passione per le moto e le corse, i fratelli varesini hanno vivacizzato ed eccitato il mondo della motocicletta dal 1978 al 2011. Al vertice delle due ruote italiane, i Castiglioni sono stati protagonisti di entusiasmanti risultati nell’industria e nello sport, ma pure di drammatiche “cadute”

I primi anni

Gianfranco era il più vecchio, Claudio il più giovane; Gianfranco era un ariete, non si fermava davanti a nulla, Claudio aveva le moto nel sangue e sapeva realizzare vere opere d’arte. Insieme a tecnici dalla straordinaria esperienza, a talenti unici nella meccanica e nello stile (uno per tutti Massimo Tamburini), hanno costruito vere icone.

Anche il maggiore dei due fratelli - Gianfranco - ci ha lasciati, dopo lunga malattia, lo scorso 10 novembre, mentre Claudio non è più tra noi dal 2011. Li dividevano cinque anni di età, ma avevano in comune una straordinaria passione per la moto e ancora di più per le competizioni. Venivano da un mondo che aveva la meccanica sulla pelle: l’industria di famiglia che si occupava di minuterie metalliche, la Cagiva ovvero CAstiglioni GIovanni VArese.

I fratelli lombardi entrano nel Motomondiale nel 1977 sponsorizzando il team Life di Alberto Pagani, figlio di Nello, iridato della 125 nel 1949 con la Mondial. Il pilota è Marco Lucchinelli, la moto è una Suzuki 500 quattro cilindri. Nel 1978 Pagani decide di non andare oltre con le gare e l’intero materiale della squadra viene rilevato dai Castiglioni. Si organizza una struttura, dove si ritrovano un gruppo di tecnici ex Aermacchi e MV Agusta. Lucchinelli si piazzerà al nono posto, con il miglior risultato di un terzo gradino del podio al Nazioni al Mugello. Il 1978 è pure l’anno che segna la svolta di Cagiva: il 2 ottobre dalle ceneri di Aermacchi (che poi erano sempre quelle raccolte da Harley-Davidson nel 1972 dallo scorporo dall’azienda aeronautica), nasce una nuovo Marchio delle due ruote.

Sarebbe meglio dire che i Castiglioni più che subentrare alla Harley, “salvano” letteralmente la fabbrica della Schiranna – e i suoi lavoratori (circa 150 dipendenti) - da una irreversibile chiusura. La produzione spinge inizialmente sul fuoristrada e viene costruita una 250 2T da Regolarità (102 kg, 34 CV) che presenta sul serbatoio entrambi i marchi H-D e Cagiva, ma alla fine del 1979 il logo americano scompare del tutto. I Castiglioni investono nell’ammodernamento delle strutture della fabbrica e nello sviluppo di nuovi modelli.

L’aggiornamento di gamma si basa su motori 2T monocilindrici, da 125 e 350 cc, ma ai fratelloni di occuparsi di moto da cross e stradali 125 non basta. Si vuole andare a competere direttamente con i giapponesi, così viene siglato nel 1983 un accordo settennale con la Ducati per la fornitura dei motori bicilindrici ad L da 350 a 1.000 cc, con un potenziale di 14.000 propulsori per il 1986. Contemporaneamente a Bologna si cessa la produzione delle moto (circa 5.000 pezzi all’anno), ma solo due anni dopo il pacchetto di maggioranza dell’azienda di Borgo Panigale passa dalla Finmeccanica a Cagiva: siamo al via di una nuova stagione di grandi moto bolognesi. Nuovamente si può dire che l’intervento dei Castiglioni è stato fondamentale per la sopravvivenza di una fabbrica, perché la Ducati sarebbe cessata di esistere.

Gli Ottanta, i Novanta e i Duemila

Con i motori disegnati dall’ingegner Taglioni nascono le Cagiva Alazzura 350 e 650 e poi l’Elefant della stessa cilindrata, una moto che spianerà la strada verso i successi dakariani. Ma sono sempre le 125 stradali ad essere le più vendute. Ricorda Gianfranco Castiglioni: “Quando la Cagiva realizzava una motocicletta nuova, questa doveva sempre ambire ad ottenere lo scettro della relativa categoria di appartenenza. Era così per tutti i nostri prodotti ed infatti l’Aletta Oro 125 fu molto ben accolta dal pubblico. Il nome le venne dato da mio fratello Claudio e richiamava direttamente le competizioni: Ala d’Oro erano le monocilindriche da corsa della Aermacchi Harley-Davidson.

Gli anni Ottanta furono decisivi per la nostra azienda. Nel 1985 avevamo aumentato il nostro fatturato e acquisito la Ducati, scelta coraggiosa per il tempo, ma io e mio fratello volevamo ridare lustro ad un Marchio di notevole importanza nel settore delle due ruote”. Si va in salita, ma pure in discesa. Sono anni decisivi nella produzione di Ducati e Cagiva (alle quali si affianca Husqvarna nel 1986 e poi Moto Morini un anno dopo), situazione che fa dire al maggiore dei fratelli: “Nel 1986 eravamo l’unica azienda al di fuori del Giappone in grado di presentare una gamma di 18 modelli e versioni in tutte le cilindrate”.

Una situazione esaltante che si riverbera pure sulle corse: il cross infiamma con due titoli nella 125 1985 (Vehkonen) e 1986 (Strijbos), due le Parigi-Dakar con Orioli nel 1990 e 1994, nel 1990 Roche con la Ducati 851 vince il primo dei 14 titoli piloti che a Bologna arrivano dalla SBK. Nel 1992 Eddie Lawson trionfa per bravura e coraggio in Ungheria e porta a casa il primo GP 500 per Cagiva. Nello stesso anno Claudio Castiglioni corona il sogno di riportare all’onor del mondo il marchio MV Agusta. Ma con un mercato della moto altalenante e dai sempre maggiori costi per realizzare nuove moto arriva la crisi anche per i Castiglioni: devono vendere nel 1995 quello che è diventato il gioiello di famiglia; la Ducati viene acquisita per il 51% dalla TPG, un fondo americano che gestisce i soldi dei pensionati USA.

Questa operazione crea anche una rottura tra i due fratelli perché Gianfranco non voleva vendere la Ducati mentre Claudio, che vuol probabilmente valorizzare al massimo la “sua” MV Agusta, spinge per la cessione agli americani. Così Gianfranco va per la sua strada, che passa per il gruppo Casti e l’acquisizione di altre aziende, ma conosce anche momenti difficili perché l’imprenditore varesino ha problemi con la magistratura quando viene accusato di frode fiscale. Castiglioni junior continua per conto suo e nel 1997 mostra a tutti la F4 750 disegnata da Tamburini, una supersportiva emozionante che incorpora l’anima di Claudio. La crisi finanziaria imperversa e nel 2007 c’è la vendita di Husqvarna a BMW, comprese le strutture produttive di Cassinetta di Lugagnano. Il Marchio MV attrae moltissimo la Harley-Davidson che vede un naturale completamento delle sue bicilindriche con le “quattro” della Schiranna: H-D nel 2008 si prende il 100% delle azioni per 70 milioni di euro, un importo che annulla anche i 45 milioni di debiti di MV con le banche. Claudio Castiglioni si rinfranca: “Ero una tigre in gabbia, oggi sono libero e ho voglia di azzannare. E poi ho in mente una moto che se la farò, andrà fino... fino alla luna. Sono un pazzo che ogni tanto ragiona, e ragiona bene”.

Ma la presenza di H-D (che aveva lasciato il lago di Varese quasi 30 anni prima) dura solo due anni, quando in agosto i vertici di Milwaukee decidono improvvisamente di rimettere la MV in mano a Claudio e al figlio Giovanni. Quel “pazzo”, dallo straordinario talento per la motocicletta, muore il 17 agosto del 2011.

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