di Marco Gualdani - 26 January 2022

Petrucci e la Dakar: “Ho avuto paura, freddo, dolore. Ma tornerei, non c’è cosa più bella”

Ospite della Nolan Group, Danilo Petrucci ha raccontato la sua Dakar e nuovi aneddoti della sua esperienza nel rally più duro al mondo

Rientrato in Italia ormai da giorni, Danilo Petrucci sta vivendo il suo momento magico post Dakar. L’inseparabile azienda di caschi bergamasca Nolan ha indetto una conferenza stampa in cui Danilo ha raccontato qualche nuovo aspetto di quella che ha definito: “Un’esperienza durissima, ma che ti fa sentire libero. Non c’è cosa più bella per un appassionato di andare in moto in quei posti lì”.

Petrucci ha stupito tutti, tranne sé stesso. L’intero settore l’aveva caldamente invitato a non esagerare, ma l’indole del pilota non si può imbrigliare. “Mi ha chiamato persino Gigi Dall’Igna (direttore di Ducati Corse) per dirmi di stare molto attento. Dopo la gara mi ha fatto presente che è andata meglio facendo quello che ho fatto. Per una volta ci siamo trovati d’accordo (ride)”.

E ha ragione; era l’unico modo per lasciare il segno.

Sono molto felice che questa avventura mi abbia reso così originale agli occhi di tutti. Sarei dovuto andare lì per guardare i panorami, ma se l’avessi fatto oggi non sarei stato qui insieme a voi”.

Questo nonostante la paura.

Ne ho avuta tanta, in tante occasioni. Sono caduto molte volte, ho avuto problemi alla moto. La paura alla Dakar è quella che ti fa stare fuori dai guai. In caso di incidente sei da solo nel deserto e questo mi terrorizzava. Ho osservato tanto i migliori; per andare come vanno loro devi valutare veramente poco la tua vita”.

I problemi non sono mancati, dall’inizio alla fine. Prima un infortunio alla vigilia della gara, poi la positività al Covid a poche ore dalla partenza. Sembrava proprio che dovesse starne fuori. Poi è partito, ma già al secondo giorno un problema alla moto lo ha estromesso dalla gara. Da quel momento Danilo ha cambiato passo, riuscendo a vincere la tappa 5, entrando nella storia come il primo pilota a vincere una gara in MotoGP e una tappa alla Dakar.

Rispetto al Mugello è stato molto diverso. Lì c’era un sacco di gente, alla Dakar ero solo. Ho saputo di aver vinto soltanto nel tardo pomeriggio, dopo che Price è stato penalizzato. Io ero in Ambasciata per rifare il passaporto che avevo perso assieme agli altri documenti, le carte di credito e il telefono. È stata una bella emozione, ma vissuta totalmente in solitaria”.

Arrivata dopo che tutto sembrava finito, quando la moto ti ha lasciato a piedi.

Erano le 8,40 di mattina, stava andando tutto bene. Sono passato dal serbatoio posteriore a quello anteriore e la moto si è spenta. Così ho pensato che il problema fosse la pompa della benzina di quel serbatoio e ho travasato la benzina in quello dietro, ma non è comunque più partita. Ho controllato i fusibili ed erano a posto. Ho cambiato tutto quello che potevo, ma niente: connettori, candela, tutto quello che sapevo fare. Per fortuna la KTM Rally è stata progettata per essere estremamente semplice negli interventi. Ma non ho trovato soluzione. Sono venuti a prendermi verso le 10 e mi hanno trasferito in una zona di attesa fino alle 15. Sono stato tutto il tempo da solo, ero sveglio dalle 3 di mattina. E dovevamo fare ancora 450 km per tornare al bivacco... Una volta lì abbiamo trovato il fusibile bruciato, ma quando l’ho controllato io era a posto. Il problema è venuto fuori altre due volte nei giorni successivi e alla fine abbiamo dovuto cambiare tutto l’impianto elettrico. È stata una cosa che non era mai successa. Col senno di poi è stato un bene che mi sia trovato fuori gara, perché ho pensato solo a correre tappa per tappa, ero più tranquillo. Anche se dopo i primi risultati un po’ di pressione l’ho sentita comunque”.

Com’è guidare la KTM Rally nel deserto?

È un carro armato, una roba bestiale. Ha la stabilità di una moto da pista e la maneggevolezza di una da cross. Vedi i sassi, ma non li senti… E più vai forte e più lei sta ferma. Essendo alla prima esperienza ho scelto un set-up più adatto ai tratti veloci, per renderla più stabile, sicura e prevedibile; non era il massimo sulle dune, ma ho proferito così. La cosa particolare è la differenza di frenata con il pieno di benzina. Capita che arrivi alla fine del trasferimento scarico, fai il pieno e parti per la speciale: e alla prima frenata arrivi lungo… Devi stare attento”.

Qualche volta hai anche picchiato duro.

La caduta peggiore è stata quella del penultimo giorno. C’era un tronco a terra, pensavo di superarlo facilmente invece dietro ha scalciato e mi ha sparato in aria. Ho avuto il tempo di capire che mi stavo facendo male. L’airbag si è attivato e sono caduto sulla spalla, dopo mi è anche finita la moto addosso. Con l’adrenalina del momento sono ripartito, ma la clavicola ha avuto un forte trauma. Per fortuna non serve l’operazione, ma solo un po’ di riposo”.

C’est la Dakar, si diceva.

Una gara bellissima, ma anche crudele. Puoi anche vanificare tutto in un attimo. In MotoGP puoi forzare una staccata, puoi approfittare di un errore di un avversario per infilarti. Alla Dakar devi combattere contro il tuo istinto; magari devi affrontare una serie di scollinamenti e sai che rischiando potresti recuperare qualcosa agli altri, ma non sai cosa c’è dietro ogni gobba e devi stare calmo. Un giorno mi è capitato di andare veramente bene, ho fatto più di 300 km senza fare un errore, andavo via come un treno; mi sono anche fatto i complimenti da solo. Poi sono arrivato all’imbocco di un canyon e ho sbagliato strada, perdendo un quarto d’ora; ho buttato via tutto il lavoro fatto fino a lì, per niente. È una gara in cui non puoi controllare tutto e lo devi accettare, anche se è difficile”.

In quella tappa hai anche litigato con un altro pilota…

Quando mi sono accorto di aver sbagliato sono tornato indietro, ma non trovavo il waypoint. L’ho chiesto a un francese che mi ha fatto vedere sulla sua strumentazione che lui ci era riuscito. Gli ho chiesto un aiuto e lui ha alzato le spalle. Ero già nervoso, a quel punto mi sono incazzato come un puma. Ho trovato il waypoint e mi sono giurato di andarlo a prendere. A circa 10 km al traguardo l’ho visto, l’ho passato e l’ho mandato a quel paese. Dopo è venuto da me a chiedermi scusa, un po’ incredulo. Gli ho fatto notare che avrebbe anche potuto aiutarmi, ma lui non capiva di cosa stessi parlando. Era un altro… ho sbagliato…”.

L’esperienza con la moto da cross ti ha aiutato?

“Molto, anche se io non sono certo un pilota che potrebbe vincere un Italiano, figuriamoci il Mondiale. Ma la tecnica imparata fin da bambino è stata molto utile. Il vantaggio l’ho avuto nel trovare sempre il posto giusto sopra la moto, in modo da poter superare gli ostacoli senza prendere rischi. È una qualità che mi ha aiutato tanto anche in MotoGP, per trovare la giusta messa a punto. Per quanto riguarda la fatica, invece, è stato alterno. Ci sono stati momenti in cui si andava a tutto gas per oltre 20 minuti e lì non fai fatica per niente; al contrario affrontare le dune è stato peggio che fare una gara di MotoGP”.

Togliamo gli accordi, le possibilità, programmi e ingaggi. Il Danilo uomo la vorrebbe rifare una Dakar?

Sto ancora facendo fatica a riprendermi, vorrei solo mangiare e dormire in questi giorni. Ma da motociclista andare in quei posti con la moto e sentirti così libero è la più bella sensazione che uno possa provare. Quando sei lì non vedi l’ora di tornare a casa, stai in moto tantissime ore, copri distanze che per noi sono assurde, ti svegli alle 3 di mattina e ti ritrovi a guidare al freddo e al buio per 250 km. Completamente da solo. Il trasferimento della mattina è come la goccia cinese, ti fa diventare pazzo. Io mi ero portato anche la carta di credito, ma non è servita a niente, non c’era nulla. Eppure già adesso sto sentendo la voglia di riprovarci. Perché è proprio bello guidare la moto lì. Quello che vorrei è poterla preparare nel modo giusto, arrivare più consapevole. Sono partito un po’ alla cieca, ho fatto solo sette giorni sulla moto prima della gara e sapevo molto poco. Ora un’idea me la sono fatta e vorrei ritornare per capire il mio livello rispetto agli altri. Anche se quando vai per fare risultato inevitabilmente ti diverti di meno”.

Quanto abbigliamento hai usato?

“Non molto. Ho cambiato il casco a metà gara, ma per scrupolo. Ogni giorno lavavo gli interni a mano o in lavatrice e sarebbe tranquillamente arrivato alla fine. L’abbigliamento si rovina solo nella parte superiore, perché la poca vegetazione che trovi è fatta di arbusti con delle spine giganti, capaci di sfondarti anche i paramani. Quando le prendi dentro ti tagliano giacca e magliette. I pantaloni, invece, li ho dovuti cambiare dopo la quinta tappa, perché si era rotta la chiusura. Me ne sono accorto perché mi sono alzato in piedi per fare la pipì e li avevo calati”.

La pipì?

Sì, ho scoperto solo quando sono partito che sarebbe stata un problema. Ci sono diversi metodi, ma non li direi adesso…”.

Già, adesso è il momento di pensare al ritorno in Ducati per affrontare la SBK americana. Una scelta che apre ancora nuovi capitoli per il ternano; arrivare al Mondiale SBK? O cavalcare un eventuale ritorno di fiamma nel mondo offroad? Magari con la Rossa. Magari.

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