a cura della redazione - 06 May 2022

Piemonte: in moto nel Canavese

Partendo da uno degli anfiteatri glaciali più grandiosi d’Europa esploriamo il territorio del Canavese, facendo perno su Ivrea e addentrandoci in tre vallate molto diverse, fino a conquistare quasi il Colle del Nivolet. La natura della Valle Orco, della Valchiusella e della valle della Dora si mixano meravigliosamente con la storia antica della città e con le vicende moderne della mitica Olivetti

SILICON VALLEY ALL’ITALIANA

Da qualsiasi parte d’Italia arriviate, l’uscita autostradale di Santhià è la più tattica per iniziare un’avventura in questo lembo di Piemonte ancora non troppo conosciuto, il Canavese, un territorio articolato i cui contorni sono stati tracciati intorno a Ivrea, dove il vostro viaggio non seguirà un netto filo rosso, ma sarà un gigantesco rebus dove il gioco consisterà nel memorizzare luoghi e storie. Cosa si vince? Magari una squisita merenda sinoira (una via di mezzo tra la merenda e la cena, con specialità locali), oppure l’invito per salire su un carro di tiratori di arance durante il prossimo carnevale...

Partiamo deviando subito dalla SP 228 che costeggia la sponda nord del Lago di Viverone per puntare verso la Serra Morenica di Ivrea che, da lontano, non importa se venendo da Vercelli, Torino o Biella, appare come una grande balena coperta da un manto verde scuro e tempestata di spuntoni, arenata sulla spiaggia di un oceano calmissimo. Immaginiamoci che questo oceano sia il fondale di un mare e che gli spuntoni siano castelli o ricetti (paesi fortificati). Poi, fermiamoci in un punto panoramico, come la nostra prima sosta al castello di Roppolo e spegniamo motore e immaginazione per aprire un libro di geografia e ripassare il capitolo riguardante la preistoria e la formazione della Terra: qui, tra i 5,5 e i 3 milioni di anni fa, nel periodo del Pliocene, c’era veramente il mare e noi siamo su una delle isolette costituenti un arcipelago di terre emerse, ora dominate dai manieri. Prima della formazione del cosiddetto Anfiteatro Morenico, questa vasta depressione tra le Alpi e gli Appennini era bagnata dalle acque del Mare Adriatico e la porzione di Canavese attualmente pianeggiante si trovava sul fondo di un mare poco profondo che si inoltrava, per alcuni chilometri, nelle vallate alpine. Così Ivrea appariva come una Rimini, fatta di spiagge e approdi, senza però bagni a pagamento e venditori di cocco. L’Anfiteatro Morenico che oggi vediamo è stato plasmato dal ritiro del Ghiacciaio Balteo, per questo è punteggiato di laghi e abbracciato dal lungo profilo della Serra, la dorsale morenica di 25 km che sembra una balena.

Questo arcipelago di castelli, costruiti in diverse epoche tra il Medioevo e il Rinascimento, è l’inizio del nostro viaggio verso ovest, partendo dal punto più orientale della Serra per percorrere tutto l’Anfiteatro seguendo, ove possibile, il percorso storico della Via Francigena, fino a Ivrea e anche oltre. I pellegrini che, nel X secolo, si mettevano in viaggio da Canterbury a Roma, diretti in Terrasanta, seguivano proprio questo itinerario: valicato il passo del Gran San Bernardo e attraversata la Valle D’Aosta, scendevano a Ivrea passando per Viverone, Roppolo e Cavaglià, per proseguire poi verso Roma, trovando ospitalità nei villaggi e nelle chiese. Il castello di Roppolo offre un affaccio stupendo sulla pianura, sul lago di Viverone e sull’altura opposta della morena glaciale, dominata dal Castello di Masino, dove saliremo verso la fine del nostro giro. Il complesso, che ora si sviluppa intorno a una torre del X secolo, un tempo appartenente al Conte di Cavaglià, è stato ampliato tante volte, a cominciare dai porticati costruiti dai Bichieri, nobili vercellesi, dai Marchesi del Monferrato, da Carlo V di Spagna, dai Savoia, fino al Valperga, governatore di Milano e Vercelli. Non sempre visitabile, custodisce una pregiata collezione di vini e la leggenda di un murato vivo, che potete scoprire esplorandone le fortificazioni.

GP DELLA BROGLINA

Continuiamo la strada alta passando sotto la torre medievale, nel cuore di Piverone, per poi risalire la mitica strada provinciale 338 della Broglina, che sembra disegnata per noi motociclisti: belle curve tra lunghi tratti di rettilineo dove i centauri si divertono dando fin troppo sfogo alla voglia di pista. Arrivano tutti sorridenti al ripetitore, in cima, somigliante a un faro nautico, e poi i gettano come noi su un altro bel tratto guidato nel biellese, verso Zubiena. Noi, però, sentendo il forte richiamo del Canavese, ci rimettiamo in direzione nord ovest e, dopo Sala Biellese, risaliamo ad Andrate dove, superato il micro valico di Croce Serra, da 915 metri di altitudine ci si rituffa in Provincia di Torino proseguendo in discesa sulle tante curve della SP 72, planando sulla Valle della Dora, proprio dove siamo diretti. Si bypassa così Ivrea, entrando direttamente nella valle che, dopo 13 km, diventa quella D’Aosta. Sfruttiamo qui al meglio tutti i poteri della navigazione GPS per evitare la statale e divertirci sui saliscendi che si sviluppano sui due versanti, in due paesaggi talmente diversi che sembra di passare da una regione a un’altra.

Percorriamo la SP72 fino alla fine, immettendoci obbligatoriamente nella statale valdostana a Settimo Vittone per poi risalire, per poco, tra i vigneti di Carema, nel disegno geometrico dettato dai tupiun e dai pilun, che sorreggono i pergolati di nebbiolo locale. Questo tratto di Cammino, lungo circa 55 km, tra Viverone e Point-Saint-Martin, attraversa paesaggi meravigliosi su sentieri e mulattiere in parte riservati (giustamente) ai camminatori, soprattutto nella parte verso la Valle D’Aosta, che coincide per lunghi tratti con la Strada Reale dei Vini Torinesi e che offre occasioni ghiotte per degustare o comprare ottime etichette di DOC Carema, Canavese, Erbaluce e Passito di Caluso, perfette da abbinare ai piatti tradizionali locali come la zuppa di ajucche, il salampatata, polenta e merluzzo o la merenda sinoira, sempre a base di prodotti stagionali come funghi, castagne, cipolle e formaggi. In questo tratto potete anche scoprire cosa sono i balmetti, cantine o grotte scavate nella roccia, che “respirano” grazie a un meccanismo di areazione naturale quasi magico. Anche se verrebbe voglia di proseguire sulla strada che si inerpica fino alla frazione Maletto, dove c’è un magnifico rifugio-ristoro a 1.300 metri di altitudine, vogliamo procedere nel nostro itinerario sull’altro versante, quindi scendiamo fino ad attraversare la Dora Baltea, a Quincinetto e risaliamo fino alla borgata di Scalaro, adagiata su un altopiano a 1.412 metri, compiendo un anello tortuosissimo, fatto per amanti della guida agile e possessori di sterzi dal raggio ristretto, fino a scendere a Tavagnasco, proseguire tranquilli sulla statale 26 e raggiungere Ivrea in un battibaleno.

COS’È UN EPOREDIESE?

Potrebbe sembrare il nome di un dolcetto, infatti un po’ lo è, essendo anche il nome dei biscottini tipici di Ivrea, fatti di sola farina di nocciole, cacao, albume e zucchero. Ma così, innanzitutto, si chiamano gli abitanti di Ivrea, ricordando l’antico nome romano della colonia, Eporedia, città difesa da carri trainati da cavalli: era un tempo una stazione viaria di carri equestri per gli accessi cisalpini utili a fronteggiare i Galli. Di bellissimi cavalli che trainano carrozze se ne vedono ancora spesso negli eventi tradizionali del carnevale e della festa del patrono San Savino, come anche in alcuni matrimoni o funerali in pompa magna. Entrando in città, ci addentriamo per viuzze in un giro tra archeologia e architettura moderna, che spesso si sovrappongono o si accostano in modo sorprendente. Le vestigia romane sono ancora ben visibili in tanti luoghi come l’anfiteatro, i resti nei Giardini Giusiana, il sarcofago nella cripta sotto la Cattedrale, mentre la parte moderna è un tuffo nella storia di Olivetti, l’azienda simbolo della città, che ancora oggi rappresenta buona parte della sua identità.

Molto è rimasto di quegli anni, soprattutto nelle sperimentazioni architettoniche e nel bagaglio grafico e industriale: sono tutte cose che oggi fanno parte del Patrimonio Unesco e che sono accessibili in gran parte, seguendo i percorsi del museo a cielo aperto o facendo riferimento al centro visite vicino Officine ICO, in via Jervis. Tutto ciò in attesa che venga finito il grande progetto di recupero e di rifunzionalizzazione di molti edifici olivettiani abbandonati per decenni, ora oggetto di un grande progetto urbanistico e architettonico firmato dall’architetto Cino Zucchi e supportato da un gruppo di imprenditori locali. Curioso immaginarsi anche un passato glorioso molto più remoto, quando la colonia romana si innalzava su una roccia sopraelevata e, circondata da una cinta muraria alta sei metri, dominava il territorio ed era servita da un grande porto fluviale e collegata da due ponti, di cui il Pons Maior, lungo 150 metri e largo 7,2 metri, scavalcava la Dora nel punto larghissimo dove ora c’è il percorso di canoa e Corso Re Umberto. Gli eporediesi, gli abitanti di Ivrea, sono sensibili alle tematiche legate al passato industriale, grandi pagaiatori (Ivrea è uno dei centri federali italiani di canoa e kayak, insieme a Valstagna ed ospita eventi nazionali e mondiali nello spettacolare tratto di Dora che potete vedere affacciandovi all’altezza del ponte della ferrovia, tra Corso Nigra e Corso Re Umberto), semplici, di poche parole e ospitali, spesso inconsapevoli della bellezza della terra in cui vivono. I laghi, la Serra, le vicine montagne sono i luoghi abituali dove la gente trascorre il tempo libero e dove va a mangiare un buon piatto tipico, pedalando, camminando o andando a cavallo. Noi, invece, ci muoviamo in moto tra il centro storico, il castel lo, via Jervis, i murales del quartiere di Bellavista, il curioso edificio residenziale di Talponia (scoprite voi perché si chiama così!), il Borghetto col suo ponte vecchio e La Serra, un edificio multifunzionale che divide il pubblico tra chi lo ama o chi lo odia: osservatelo bene da ogni lato e poi pensate se non assomiglia a una macchina per scrivere gigante, dove piccoli alloggi formano i tasti e i corridoi superiori il carrello. Noi ce ne andiamo con opinioni differenti in merito e, per non bisticciare e metabolizzare le tante cose di Ivrea, facciamo un’ultima sosta con pranzo al sacco sulla passerella ciclopedonale Natale Capellaro, sulla Dora, da cui si gode una delle viste più belle sulla città, con le montagne sullo sfondo. Non a caso la passerella è intitolata a un progettista olivettiano, tra i creatori di straordinarie macchine da calcolo come la Divisumma 14, la Divisumma 24 e la Tetractys.

FINO A FONDO

Mettersi sulla strada per Lessolo, salire le curve fino al Lago di Alice, fare visita alle miniere di Traversella (museo e percorsi sotterranei), mangiare una freschissima trota di allevamento e raggiungere il borghetto incantato di Fondo, letteralmente in fondo alla Valchiusella, è un cambio di scenario deciso, che spiega perché tanti dicono “Il Canavese non esiste”. I dizionari definiscono il Canavese come una regione storico-geografica che significa tutto e niente o, meglio, troppo per essere colto al volo in un giro spensierato in moto. Paesaggio, tradizioni, modi di dire e gusti a tavola cambiano improvvisamente girando l’angolo e prendendo una nuova vallata. La Valchiusella ha uno stile unico e il suo essere un po’ dimenticata e poco frequentata dai turisti non locali la rende una preziosa meta. Se fa caldo, fate una bella passeggiata tra prati fioriti e sottobosco insieme alle Magistre delle Erbe (www.erbedivalchiusella.it) per scoprire la ricca vegetazione e poi, tornando verso Trausella, concedetevi un tuffo nelle acque verdi delle pozze Guje di Garavot, nel Torrente Chiusella. Finirete nella Riserva Naturale Monti Pelati, dove potrete fare una sosta picnic e una passeggiata fino alla Torre Cives che ne domina il curioso paesaggio fatto di poca vegetazione e diverse rocce emergenti, alcune delle quali sventrate dall’attività della cava sottostante. Dalla torre avrete un colpo d’occhio alternativo su questa parte di territorio, potendo vedere la diga del Lago Gurzia ai vostri piedi, la vallata disegnata dal Chiusella e, in lontananza, a perdita d’occhio, l’immensa pianura, oltre la Serra.

NEL NOME DI HORUS

Guardando più vicino, invece, tra Issiglio, Vidracco e Baldissero, noterete che molte facciate, cancelli e muri sono pieni di disegni di elementi naturali, forme colorate e mandala: siete appena passati in mezzo alla Federazione di Damanhur, una comunità indipendente fondata nel 1979 da Oberto Airaudi, che non è facile visitare, ma che incuriosisce per quel che si dice custodisca dietro ai vari ingressi e sotto terra (come il templio sotterraneo più grande del Mondo). Ci vivono circa 800 persone, che campano soprattutto di agricoltura e allevamento, adorano un dio chiamato Horus, hanno asili, scuole e una moneta propria. Lasciamo a voi il compito di esplorare questa parte un po’ soprannaturale di percorso, mentre torniamo con la mente e gli pneumatici sulle strade infinite di Olivetti, che anche qui lasciò il segno, posizionando una delle fabbriche della sua rete produttiva disseminata volutamente sul territorio, con lo scopo di integrare la gente non di città e di regalare nuovi stimoli e alternative lavorative anche nelle zone di campagna e montagna. La cosiddetta Fabbrica delle valigette per la mitica macchina per scrivere Lettera 22 sorge a Vidracco, dove si può ben vedere dalla provinciale, anche se ora vi ha sede Damanhur Crea, centro polifunzionale della comunità, che ne mantiene in perfetto stato l’architettura.

TEATRI NATURALI E CULTURALI

Il Canavese offre la possibilità di esser spettatori privilegiati esplorando, come abbiamo detto, gli affacci dell’Anfiteatro Morenico sul paesaggio, come fossero i palchi di un teatro dell’opera. Lasciati questi posti d’onore, si può passare direttamente a uno spettacolo vero e proprio, seguendo le tracce di Giuseppe Giacosa, il librettista che scrisse i testi di tre opere liriche di Giacomo Puccini (La Bohème, Tosca e Madama Butterfly) ricevendone, in cambio, il soprannome Buddha. Lui è nato e vissuto per diversi anni in questa terra, prendendone sicuramente spunto per le sue opere. Lasciando ora la Valchiusella e dirigendoci verso la Valle Orco passiamo per Colleretto Giacosa, piccolo paese circondato da boschi e formazioni di roccia levigata chiamate verrous glaciali, che ricordano quelle della Serra essendo parte dello stesso sistema. Già che ci siamo non ascoltiamo tutta La Tosca, ma salutiamo il busto del grande librettista di opera e raggiungiamo la sua casa natale, che si trova sul ciglio della strada provinciale che congiunge la Valle Orco, Cuorgnè, Castellamonte con Ivrea. Ci aspetta, quindi, la visione di Ceresole Reale in veste lunare, con una temperatura bassa che rende parecchio frizzante la salita tutta curve e che regala, una volta sbucati sopra l’abitato, un’immagine extraterrestre sul grande lago ghiacciato, nel deserto più totale spazzato da un vento maledetto (e dall’era Covid), che ogni tanto solleva polvere come in una tempesta sahariana.

UN GRANDE PARADISO

Uno scenario aspro quanto bellissimo, come lo è passare da qui ora, in stagione estiva, trovando la sbarra della frazione alta di Chiapili (poco più su di Ceresole) aperta e arrivare a conquistare il mitico Colle del Nivolet, a 2.612 m di altitudine. Se non ci siete mai stati, sappiate che, per un motociclista, è una salita da fare almeno una volta nella vita, come anche per un ciclista. La scusa del fiato per noi centauri non vale, quindi percorrere i 18,5 km di curve e tornanti, immersi nel Parco Nazionale del Gran Paradiso, per poi affacciarsi e vedere la salita fatta che si snoda tra i laghi Serrù e Agnel è doveroso per il proprio album di passi in moto. Per il Pick the Peaks di Motociclismo, la nostra vecchia gara di alte quote, rappresentava un bel bottino anche se ha il neo di non essere un valico che permette di scendere da un altro versante, ma costringe a tornare indietro sulla propria strada e ripercorrere la Valle Orco almeno fino al bivio con la Valle Soana. Quest’anno la sbarra è stata aperta il 12 giugno (noi eravamo lì in marzo), ma varia a seconda della quantità di neve presente e bisogna sempre fare attenzione alle date di chiusura al traffico motorizzato (quest’anno nei giorni festivi dall’11 luglio al 27 agosto e Ferragosto) dal Lago Serrù alla sommità del colle, per lasciare spazio ai ciclisti. La storia di questa strada è, da sempre, in bilico tra ecologia e utilità, essendo nata negli anni 30 per la costruzione delle centrali idroelettriche e dei relativi due laghi, ma c’era anche il progetto di prolungarla fino a Pont in Valsavarenche: i valdostani, però, si sono opposti, per tutelare l’ambiente. Fate attenzione, perché alcune guide di itinerari in moto segnalano l’esistenza di una strada fino a Pont, ma è una balla molto pericolosa. Scendendo, prima della galleria che termina nella frazione di Pianchette, deviate dalla statale sulla destra e, in mezzo a massi grandi come palazzine, arrivate a una sbarra che impedisce alle moto di passare: questo è un tratto della vecchia strada per anni dismessa e recuperata per il Giro d’Italia 2019 e per i ciclisti, che in salita hanno da sudare e divertirsi; passata un’arcata rocciosa dove si trova l’altra sbarra, iniziano tre chilometri all’8,7% di pendenza media, con una punta massima del 14% e un continuo di tornanti in un paesaggio roccioso spettacolare. Non si può percorrerla in moto, ma è un bel posto dove sostare per due passi lontano dal rumore della strada principale, ammirando le forme particolari che il fiume ha disegnato modellando le rocce.

L’ALTRA SPONDA

Chiudiamo in bellezza il viaggio dirigendoci nuovamente verso est, con un lungo tratto pieno di sorprese e, soprattutto, rimettendo le gomme su una morena, l’altra morena, per la precisione. Immaginando di nuovo il grande ghiacciaio che si rovesciava dalla Valle D’Aosta millenni fa, percorrendo la Provinciale 62 che immettendosi nella SP 56 si fa divertente tra San Martino e Perosa Canavese, a Scarmagno si passano le spoglie abbandonate di una delle più grandi fabbriche Olivetti per poi risalire di quota ritrovandoci sulla morena opposta dell’Anfiteatro, dominata dal Castello di Masino, un bene FAI visitabile anche negli interni e nei giardini. In moto salite da Caravino fino all’affaccio sulla valle della Dora e sulla Serra morenica a nord, per poi fare due passi oltre lo stretto sottopasso, che vi farà sbucare all’arrivo della antica Strada delle Carrozze, anche chiamata dei ventidue giri, oggi percorribile a piedi o in bici facendo, appunto, 22 tornanti (il primo dei quali se lo è mangiato la SP56) su una sterrata immersa nel bosco che sale dall’incrocio della SP56 e della SP78 sul Naviglio di Ivrea. Giratevi per tornare alla moto e godrete di una delle viste più bel[1]le sul Castello, meglio se al tramonto. Quel che oggi vediamo è l’ultima versione, circondata da meravigliosi giardini con tanto di labirinto, della dimora millenaria della famiglia dei Valperga, nobili discendenti di Re Arduino, le cui spoglie sono conservate proprio qui, visitabili insieme a tutto il complesso acquistato nel ‘98 dal Fondo Ambiente Italiano (FAI). Da qui scendiamo a Cossano Canavese sulla SP 80, per poi passare Borgo d’Ale e Alice Castello, tornando al punto di partenza di Santhià, imbocco dell’autostrada per chi vuole tornare a casa velocemente.

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