di Leonardo Lucarelli - 13 May 2022

Viaggi in moto: il Tirolo austriaco

Dai caldi pendii della valle dell’Inn alle imponenti e scoscese cime della catena del Kaunergrat, toccando anche Italia e Svizzera, sempre a caccia di passi: in 500 km il paesaggio cambia offrendo uno straordinario assortimento di visioni d’alta quota: campanili a cipolla, castelli merlati, laghi turchesi, ghiacciai (e strade che li raggiungono) spettacolari

CHE LA FAVOLA ABBIA INIZIO

Il Tirolo rappresenta una sintesi di tutti gli elementi che costituiscono l’identità austriaca: paesaggi incredibili incastonati nelle montagne, chalet in legno da cartolina, Dirndl e Lederhosen indossati come abiti alla moda e sconfinati cieli azzurri. Ma è anche un punto strategico dal quale raggiungere i passi italiani e svizzeri e per conoscere l’animo orgoglioso e ribelle dei tirolesi, ingozzandosi di curve a non finire.

Non è difficile arrivare qui in moto, da Milano Innsbruck dista circa 400 chilometri, 350 da Padova (dove vivo io). Noi però raggiungiamo il capoluogo dello Stato federato austriaco del Tirolo con un comodo treno notturno delle linee austriache ÖBB e ritiriamo lì le BMW con cui viaggeremo. Se pensate che sia una buona opzione considerate che a circa un’ora di treno da Innsbruck, nella Valle del Paznaun, si trova l’High Bike Test Center, punto di riferimento nella zona per il noleggio moto.

ATMOSFERE DA “IL SIGNORE DEGLI ANELLI”

L’inizio del tour prevede subito una discreta sgroppata di curve, circa 120 chilometri fino a Pfunds, passando per la splendida regione del Kühtai. E piove. Vabbè, quando ci si appresta a viaggiare a queste latitudini un po’ d’acqua si mette in conto. È un peccato, perché Kühtai è un paesino di soli 29 abitanti a poco più di 2.000 metri d’altitudine, nota soprattutto per gli sport invernali (ha ospitato i Giochi Olimpici Giovanili Invernali del 2012) e immerso in paesaggi fiabeschi che, però, al nostro passaggio ricordano più che altro Mordor, uno dei regni fantastici creati dallo scrittore inglese J. R. R. Tolkien. La macchina fotografica resta quasi sempre in valigia, pazienza. Guidare qui è comunque bello, percorriamo tutta la L13 prima e la L237 poi, godendoci le curve che si inerpicano tra le montagne e il paesaggio che si apre improvvisamente, in un raro squarcio tra le nubi, all’altezza di Piller, lungo l’omonima Piller Landestrasse. Si trova nella diramazione verso il Piller Sattel, un valico che collega la valle Pitztal con la valle Kaunertal e l’area Oberes Gericht.

Numerosi borghi e casali del territorio comunale emergono dalla nebbia, occhieggiando dal pendio sudorientale del massiccio Venet (2.513 m) e del valico Piller Sattel (1.558 m) che attraversiamo nel primo pomeriggio. Giunti a Pfunds, che sarà il nostro quartier generale nei prossimi giorni, decidiamo di non fermarci. Nonostante l’acqua incessante le tute antipioggia hanno retto bene, quindi proseguiamo lungo la 180 - la Strada di Resia - per 8 chilometri scarsi, costeggiando il fiume Inn, storico confine naturale tra Austria e Svizzera, per fermarci all’inizio della discesa che conduce - a piedi - alla fortezza di Finstermünz. Non piove più, e meno male, perché la passeggiata nel bosco verso la fortificazione è bella quanto ripida, già non è il massimo percorrerla con gli stivali sulla terra viscida, con la pioggia sarebbe stata una punizione. In realtà c’è una strada bianca che scende, il cui imbocco è appena dopo il parcheggio in cui ci siamo fermati, ma teoricamente sarebbe aperta solo per gli operatori dell’Associazione Altfinstermünz. Dico teoricamente perché quando arriviamo giù ci dicono che i motociclisti sono tollerati e che il divieto posto in cima è più che altro per evitare che tutti scendano in auto. Ecco, se volete scendere in moto potete farlo, insomma, anche se in via ufficiosa. Il fiume Inn è di un color ciano pazzesco, l’acqua sembra densa da quanto spicca questa tonalità sulle rocce scure tutte intorno e sui profili delle fortificazioni. La nostra guida è italiana, Maurilio Albano, un simpaticone.

LA FILANDA RITROVATA

Il meteo non promette nulla di buono, infatti il giorno seguente ci svegliamo in un muro d’acqua. Poco male, io devo consegnare un altro articolo, mi chiudo in camera e lavoro per tutta la mattina al testo, mentre Ilaria esplora a piedi (e con l’ombrello!) i tanti percorsi ciclabili che si dipanano da Pfunds, vero paradiso sia per le e-bike sia per le muscolari. Nel pomeriggio il cielo inizia ad aprirsi e ne approfittiamo per attraversare il parco naturale Kaunergrat e visitare il piccolo ma grazioso Naturparkhaus, un museo naturalistico pensato principalmente per i più piccoli (www.kaunergrat.it), per poi raggiungere Ried e conoscere Gabriel Schöpf, che gestisce con i genitori una filanda di lana tradizionale. E per tradizionale intendo che tutti i macchinari all’interno che gestiscono il lavaggio, la cardatura, la filatura, la tessitura e quant’altro, sono mossi tuttora dalle pale di un mulino ad acqua.

Avete presente quando pensate di andare a fare una visita un po’ noiosa, quelle cose tipo “adesso entriamo nel museo della cultura locale, per vedere come lavoravano i nonni di queste zone”, e poi rimanete invece a bocca aperta e non vorreste più andare via? Vi sarà capitato almeno una volta nella vita. Se invece no, beh, andate qui, potrebbe essere la volta buona. Un posto incredibile, tutto congelato ad almeno 60 anni fa (www.museum-schafwollfabrik.at). La filanda fu fondata nel 1928 dal bisnonno di Gabriel, nel 1964 venne aggiunto il fondamentale mulino ad acqua che rappresentò la meccanizzazione, il progresso, stupendo pensarci adesso. L’attività continuò a pieno regime fino al 1998, quando la nonna si occupava ancora di gran parte della produzione. Una volta venuta a mancare lei iniziò una flessione negativa che stava per portarli alla chiusura. Ma, poi, fu proprio Gabriel, che qui dentro ci è nato e cresciuto (ci mostra una foto di lui bambino di fronte agli stessi macchinari che stiamo visitando, mentre il nonno lavora) a rimboccarsi le maniche e a voler restaurare tutti gli impianti fermi da un po’, così due anni fa è nato il loro museo. Nel frattempo Gabriel e suo padre sono rimasti aperti a dispetto di una pandemia che ha messo in ginocchio chiunque lavori con il turismo, continuando a produrre loden, camicie, coperte, copriletto, piccoli oggetti per la casa e, soprattutto, a mostrare ai visitatori come si viveva - e come si vive - lavorando la lana, raccontando la storia della loro famiglia e di un’artigianalità che si sta perdendo. Pensate solo che molti pastori la lana non la vendono, non gli conviene più, preferiscono buttarla. Il sito del museo è solo in tedesco, loro sono aperti tutti i giorni tranne la domenica dalle 18 in poi, ma per sicurezza meglio chiamare e prenotare una visita.

L’ABBAZIA PIÙ ALTA E LA CITTÀ PIÙ PICCOLA

Non c’è due senza tre, dicono. Ma dicono male, per fortuna, perché il terzo giorno è quello buono: ci sveglia un sole che batte come un capovoga sulle galere romane, già alle 8 del mattino. Il cielo sembra appena dipinto con una mano d’azzurro e le moto scalpitano in garage. Guardo il programma: Resia con il suo lago, Glorenza (Glurns, in austriaco) con le sue mura medievali, il passo del Forno in Svizzera e quindi ritorno. Reset. La giornata è meravigliosa, da Glorenza parte la Sp50 che porta verso lo Stelvio e noi non siamo diretti a quello che è il totem di motociclisti di mezzo mondo? Follia, chi se ne importa dei tempi fotografici e delle visite organizzate, ci scappa da guidare. Pianifico daccapo il percorso del giorno usando Calimoto, applicazione che oramai mi guida in tutti i viaggi, più che raddoppiandolo rispetto alle previsioni. Ilaria è una a cui la moto piace in tutte le salse, quindi non fa un plissé davanti alla prospettiva di guidare la R18 fino a sera, facendosi 200 km di passi alpini.

Il lago di Resia è sempre affascinante, con il suo campanile sommerso e i paesini che sorgono intorno all’antica via Claudia Augusta. Attraversando la Val Venosta ci fermiamo a Burgusio per una seconda colazione, paesino che merita la sosta soprattutto per la vista del Castello del Principe, costruito dal vescovo di Coira Konrad tra il 1272 e il 1282, e della Abbazia di Monte Maria che, posta a 1.340 m d’altitudine, è l’Abbazia benedettina più alta d’Europa. Da lì Glorenza non dista molto e, seppure spesso trabocchi di turisti eccitati appena usciti da pullman provenienti da ogni dove, resta una sosta più che interessante. Rasa al suolo il 22 maggio 1499 dai soldati di Trube, durante la guerra sveva, quando le truppe elvetiche combatterono contro quelle asburgiche, rinacque dalle sue ceneri grazie all’imperatore Massimiliano I d’Asburgo che, secondo la leggenda, pianse come un vitello quando la vide ridotta a un cumulo di macerie. Il cammino di ronda con 350 feritoie, sette torri con le cuspidi e tre porte d’accesso fu completato nel 1580, sotto il regno di Ferdinando I d’Asburgo ed è rimasto esattamente come allora. Una cittadina completamente avvolta dalla sua cinta muraria, talmente minuta che un detto locale recita: “La nostra città è così piccola che dobbiamo andare a messa fuori dalle mura”. Intatta anche la struttura medievale, con un piccolo centro di portici dai muri spessi e dagli intonaci color pastello, impreziosito dalle dimore nobiliari arricchite dai tipici erker (finestre sporgenti) e decorate con affreschi, su cui svetta il campanile della chiesa fatto “a bulbo” tipicamente tirolese.

IL PASSO CAPOLAVORO

La strada che porta al passo che collega Alto Adige, Lombardia e Svizzera ha bisogno di poche presentazioni. Soprannominato “Tetto d’Italia” o “Regina delle Strade”, il percorso dello Stelvio risale all’Ottocento, costruito su ordine dell’imperatore Francesco II d’Asburgo e ancora oggi riconosciuto come un capolavoro di ingegneria (non a caso sia una moto sia un’auto, entrambe italiane, gli hanno scippato il nome). Saliamo dal versante altoatesino, con i suoi 48 tornanti e una pendenza che varia dal 7,1% al 7,7% e una vista che si allarga sempre di più come una specie di premio. Dall’altra parte ci sarebbe il versante lombardo e altri 36 tornanti, ma noi deviamo subito verso la Svizzera, attraversando il Passo dell’Umbrail - o Giogo di Santa Maria - per raggiungere Santa Maria Val Müstair (a 1.375 metri di altitudine) e proseguire lungo la Val Müstair diretti al Passo del Forno. Da lì potremmo tornare indietro verso la Val Venosta ma, visto che ci piacciono i percorsi circolari, attraversiamo invece il Parco Nazionale Svizzero, proseguendo in direzione di Zernez fino ad incrociare di nuovo il fiume Inn, per poi seguirne tutto il percorso immergendoci nella splendida valle dell’Engadina, lungo la Strada Principale 27. Oltrepassiamo Guarda, con le sue viuzze intricate e l’architettura medioevale, seguono Ardez, Ftan e Scuol. Una graziosa chiesetta sta in bella posizione sul fiume che procede impetuoso e sempre dello stesso colore che abbiamo notato a Finstermünz, di tanto in tanto attraversato da ponti in legno. Ci siamo tenuti per l’ultimo giorno, lungo la strada che ci riporterà a Innsbruck, la tappa forse più bella per chiunque programmi un viaggio in moto in Tirolo. Di buon mattino ripercorriamo un tratto della 180 che ci ha portati a Pfunds, per poi seguire i segnali che indicano Kaunertaler Gletscher. Visitare un ghiacciaio è sempre magnifico, ma in questo caso la strada che ci conduce lì, la Kaunertaler Gletscherstraße, è senza dubbio sul podio dei migliori percorsi motociclistici di tutta l’Austria. Un itinerario di lenta salita che, progressivamente, ci introduce in paesaggi sempre più d’alta montagna.

Costeggiamo il Lago Gepatschspeicher, uno dei bacini artificiali più importanti dell’Austria (ogni anno produce circa 661 gigawatt/ore di corrente elettrica) e oltrepassiamo pascoli in cui mucche più o meno tradizionali si mescolano alle “esotiche” Highlander, bovini lanosi dalle enormi corna di origini scozzesi, che sembrano essere arrivati fino a noi dopo aver fatto a botte con le tigri dai denti a sciabola del Pleistocene. Pian piano gli alberi lasciano il posto a prati verdissimi e, poi, a un paesaggio brullo e primordiale fatto di rocce color ruggine sulle quali spicca il nero dell’asfalto perfetto che si annoda verso la quota di 2.750 metri del ghiacciaio perenne Weißseeferner. Sono solo 26 km (e 1.500 metri di dislivello) dal paesino di Feichten im Kaunertal, ma la varietà di ambienti che attraversano li fanno sembrare molti di più. Oltrepassiamo scorci suggestivi ed impressionanti, come quelli offerti dai laghi Gepatschstausee e Weißsee e la parete verticale Fernergarten. All’arrivo la funivia Karlesjochbahn porta ad una piattaforma panoramica a ben 3.108 m (si può salire anche a piedi) da dove salutiamo il Tirolo abbracciando con lo sguardo quasi tutte le zone appena visitate: un panorama mozzafiato sulle vette di Italia, Svizzera e Austria, con il bottoncino azzurro del minuscolo - da lassù- lago di Resia.

© RIPRODUZIONE RISERVATA