di Fabio Meloni - 31 October 2021

“La Trident 660 non è rétro, è una roadster moderna”

Rodolfo Frascoli, designer che ha realizzato la Triumph Trident 660, ci parla dei legami di questo nuovo modello con il passato della Casa Inglese, della scelta del nome, di alcuni soluzioni tecniche, delle difficoltà incontrate durante il progetto

Quale delle due Trident del passato ha ispirato maggiormente il disegno della 660?

“La prima. Quella del 1991 era una naked turistica abbondante nelle dimensioni, meno stimolante”.

Ci sono omaggi al modello, nascosti o evidenti?

“Un omaggio a tutta la gamma classica sono le forme organiche: non ci sono spigoli né linee di troppo. L’innovazione a volte è togliere una linea o uno spigolo, anziché aggiungere. Un richiamo alla Trident originale è il tank pad, una semplice applicazione sul serbatoio che è però elemento di stile fortissimo, dominante, anche dal punto di vista grafico. Con alcune colorazioni diventa una vera e propria signature (firma, ndr). Ha una texture curata e ospita il marchio, realizzato in alluminio. Le due linee al ribasso richiamo la prima Trident”.

La scelta del nome è stata fatta a inizio progetto o è arrivata col tempo?

“Sul nome abbiamo fatto tantissime valutazioni in corso d’opera. Alla fine ha prevalso Trident”.

Esiste secondo lei un legame reale tra il nuovo modello e il primo, che giustifichi l’eredità del nome, o si tratta di un’operazione di marketing? In fondo parliamo di una entry level, mentre in passato la Trident era una roadster ad alte prestazioni.

“Trident è innanzitutto un nome bellissimo e ha ispirato la grafica e il design. Ricorda anche il frazionamento del motore. La 660 è una roadster contemporanea. È molto più di un remake. È autentica ed empatica. Autentica perché unisce tutti i valori della Triumph: eleganza formale, sportività. Non c’è over design e c’è il giusto apporto di storia. Empatica perché ha un’attitudine positiva e con lei si entra subito in sintonia. Il progetto è nato a fine 2016, con l’obiettivo di realizzare una naked con tanto carattere, con un occhio ai costi. Il risultato secondo me è straordinario. La qualità è fantastica, tutti i dettagli sono studiati. C’è molta armonia tra elementi della carrozzeria ed elementi tecnici. A mio avviso è stato corretto utilizzare uno dei nomi della storia della produzione Triumph. Ce n’erano altri a disposizione che oggi non avrebbero funzionato”.

Il portatarga collegato al forcellone ha pro e contro. Da un lato valorizza la vista laterale, dall’altro copre la ruota posteriore dando uno sgradevole effetto scooter. Come mai è stata scelta questa soluzione?

“Abbiamo fatto tantissime prove. Osservando la moto di lato si nota come, col portatarga basso, la sagoma possa essere chiusa elegantemente in una forma ovoidale. La coda è molto corta. Se avessimo optato per un portatarga classico, il supporto avrebbe avuto una lunghezza eccessiva. Io ho insistito molto per averlo in basso, ed è realizzato magnificamente. Il braccio è molto rialzato e c’è un netto allineamento con la coda. Il sottocodone, inoltre, è verniciato e con alcune colorazioni diventa vero e proprio elemento grafico. Sarebbe stato un peccato perdere questo effetto”.

Lo scarico è basso, quasi nascosto. Una scelta legata al design o alla volontà di accentrare le masse?

“Anche qui, abbiamo provato molte varianti. Alto, basso, a trombone. Questa è stata la soluzione migliore. Non vorrei dire una scelta minimale perché il minimalismo non mi ha mai eccitato, lo trovo anzi un po’ deprimente. È però quella che rende più pulito tutto l’insieme. Nel corso dei quattro anni di sviluppo abbiamo fatto davvero tantissime prove, non solo riguardo lo scarico. Abbiamo sperimentato per esempio telai più elaborati, a doppio tubo, scartati perché troppo complessi e pesanti. Abbiamo valutato anche il doppio faro anteriore, ma ci portava in una direzione che non volevamo e nemmeno veniva capito”.

Dove viene costruita la moto?

“In Tailandia”.

Il frontale, col faro tondo, è classico. Eppure riesce a essere moderno. Come si fa a ottenere questo doppio risultato?

“Con tecnologia e stile. Ci abbiamo lavorato molto. Il cruscotto è allineato alle linee del serbatoio e il faro è super moderno”.

In generale, è difficile realizzare un design che debba in qualche modo parlare del passato, risultando però attuale?

“È senza dubbio un tema complesso, perché è vasto. Triumph è nata nel 1902 per cui puoi immaginare quante cose ci siano dalle quali farsi ispirare. Molte sono valide, altre, invece, oggi non funzionano. Il segreto è cogliere le sfumature giuste. Non fare semplicemente delle evoluzioni, ma renderle contemporanee. Non è una cosa che si può imparare, devi averla dentro. Questa motocicletta per esempio è nata quasi istintivamente. Ciò accade quando hai metabolizzato i valori di un Marchio al punto dall’ottenere un risultato quasi in automatico”.

Qual è stata la parte più impegnativa da disegnare?

“La zona del serbatoio. Combinare la plasticità della vista laterale con la necessità di realizzare una moto che fosse accogliente per piloti di tutte le taglie è stato un gran lavoro, molto impegnativo. Il risultato è super equilibrato e a mio avviso l’equilibrio è una delle doti del DNA Triumph. Siamo riusciti a contenere moltissimo la larghezza tra le gambe, sviluppando tra l’altro una cassa filtro ad hoc. La Trident è una moto che può piacere anche a piloti alla prima esperienza, di conseguenza ergonomia e posizione di guida sono stati aspetti prioritari ai quali il design si è dovuto adattare e non viceversa. Non era accettabile che fosse scomoda. Nel primo disegno, per esempio, il manubrio era più basso e le pedane del passeggero posizionate più vicine alla sella. Tutto più figo, insomma, ma in termini di soddisfazione dell’utente e di vendite erano più importanti i temi di praticità e comodità”.

Le mode vanno e vengono, è vero. Come mai, a suo giudizio, oggi c’è voglia di rétro?

“È una bella domanda, ma torno a dire che per me questa non è una moto retrò, è moderna. Ad ogni modo è un tema vastissimo. Credo abbia a che fare con la voglia di autenticità. E forse è complice anche un trend nel quale sono presenti troppi spigoli, pezzi e pezzettini che spalanca le porte a moto, mi ripeto, più autentiche. Possiamo affermare che, tra le entry, una moto con questo carattere non c’è”.

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