di Gualtiero Repossi - 09 October 2021

Yamaha XV 1000 TR-1: l’incompresa

Alla fine degli anni Settanta Yamaha realizza il suo primo V-Twin longitudinale di 75° che strizza l’occhio ai bicilindrici Harley. Verrà utilizzato sulla XV 750, una cruiser di successo capostipite della famiglia Virago degli anni Ottanta e Novanta e - nella sua versione di 1.000 cc – sulla XV 1000 TR-1, che invece cadrà presto nel dimenticatoio

Gemelle diverse

Nell’autunno del 1980 XV 750 Virago e XV 920 R sono pronti per il debutto sul mercato oltreoceano. In comune hanno il motore, bicilindrico a V longitudinale di 75° e buona parte della ciclistica, compresa la sospensione posteriore Monocross ed il telaio che sfrutta il motore come parte stressata dell’insieme. Grazie alla sua impostazione di guida, con i piedi in avanti, le gambe quasi distese, le mani “appese” al largo manubrio e la schiena del guidatore leggermente inclinata all'indietro, la Virago è la prima vera cruiser costruita da una Casa giapponese. Come volevano i vertici della Yamaha non è la brutta copia di un’Harley - anche se le somiglia molto - perché può vantare soluzioni tecniche esclusive come il monoammortizzatore posteriore. Inoltre, il suo prezzo decisamente più abbordabile rispetto a quello di una H-D, le assicura un discreto successo commerciale negli anni seguenti sul mercato statunitense, dove prima affianca e poi sostituisce la XS 1100 Special, versione “simil cruiser” della maxi quattro cilindri XS.

Diverso invece il discorso per la XV 920 R, vero pesce fuor d’acqua sul mercato USA. Non è una cruiser e nemmeno una UJM. Dovrebbe piacere agli amanti dei viaggi, ma negli States il concetto ludico della moto si affranca da quello europeo: con le moto si fanno pochi chilometri e se proprio il motociclista americano deve imboccare una Highway preferisce farlo in sella a vere e proprie poltrone su due ruote, come l’Harley Electra Glide o la Honda Gold Wing (e infatti nel decennio successivo anche la Yamaha si adeguerà a questa tendenza con la sua Venture). Dopo essere stata presentata al Salone di Colonia del 1980, nella primavera dell’anno seguente la XV 920 R sbarca in Europa - dove viene commercializzata come XV 1000 TR1 (acronimo di “Twin Racing”, a testimonianza che l’idea di una moto sportiva non è del tutto tramontata) - assieme al modello di 750 cc, che sui mercati europei assume invece la denominazione di XV 750 Custom.

Ben fatta, ma…

In Italia la Belgarda di Ronco Briantino, all’epoca importatore della Yamaha nel nostro paese, mette in listino la TR 1 a 5.240.000 lire con due colorazioni disponibili (grigio e marrone scuro, alle quali si affiancherà poi nel 1982 la versione nera) e un anno di garanzia senza limiti di percorrenza. Vengono offerti come optional per meglio adattarla al turismo a largo raggio il cupolino (a 241.000 lire), le borse laterali (246.000 lire) e il portapacchi (59.800 lire). Rispetto alle 7.850.000 lire che servono per portarsi a casa una BMW R100 RT è un bel risparmio. Ma lo è anche se confrontiamo il prezzo della TR 1 con le 5.454.000 lire richieste per la Moto Guzzi SP1000, ovvero l’altro modello più diffuso fra i motociclisti italiani “macina chilometri”. Sul numero di maggio, Motociclismo pubblica un test in anteprima della nuova arrivata, effettuato in Sicilia lungo le strade dove si correva la “Targa Florio”. “Rompendo clamorosamente con la tradizione degli ultimi dieci anni, la Yamaha ha sfornato questa maxi bicilindrica, impiegando quanto di meglio la moderna tecnologia può offrire – si legge nel sommario dell’articolo - Curata nei particolari più funzionali, può lasciare perplessi per alcune soluzioni estetiche. Comoda, stabile, ben frenata, è una moto destinata al granturismo anche per il consumo contenuto e la quasi totale assenza di manutenzione. Il peso però non è dei più contenuti”.

Complessivamente la TR 1 desta una buona impressione e costa poco. Si guida con facilità, grazie all’azzeccata distribuzione dei pesi e al baricentro basso. Leve, comandi al manubrio e a pedale sono al posto giusto, la frizione è morbida, il cambio preciso. La posizione in sella è adeguata anche per i più bassi di statura e mette in crisi nella guida in autostrada solo le persone di taglia medio-alta per via dell’imbottitura e della conformazione della sella. Il motore ha una rumorosità meccanica contenuta, vibra pochissimo - solamente tra i 5.000 e i 6.000 giri – e ha un’erogazione lineare e senza buchi. Come emergerà anche dalla prova - completata dai rilievi strumentali e pubblicata qualche mese dopo l’anteprima siciliana - i CV sono scarsi per una maxi di 1.000 cc, dato che sono addirittura inferiori a quelli di una 750 dei primi anni Settanta, ma i valori di coppia che permettono di viaggiare nella marcia più alta quasi senza strappi compensano tale mancanza.

… ha qualche difetto

Nel suo primo anno di vendita in Italia la TR 1 passa pressoché inosservata. Nonostante l’esclusività del V-Twin longitudinale (in quel momento l’unico disponibile nella produzione motociclistica giapponese) e della sospensione posteriore Monocross, quella che era nata come una moto “non” UJM assolve il suo compito senza scaldare gli animi, come la più classica delle Universal Japanese Motorcycles, oltretutto con qualche pecca. A causa dell’errato dimensionamento dei cuscinetti del pivot, il forcellone prende un gioco eccessivo che va a compromettere la tenuta sui curvoni veloci. Le sospensioni, con il passeggero e i bagagli, si rivelano poco efficaci e la riduzione della luce a terra influisce negativamente sugli angoli di piega che si possono raggiungere in curva. Inoltre, nonostante le rassicurazioni del marketing Yamaha e dei progettisti riguardo il perfetto raffreddamento del cilindro posteriore, quest’ultimo viene sottoposto ad un carico termico superiore a quello del cilindro anteriore che influisce negativamente sulla durata della guarnizione della testa e delle valvole, mentre i carburatori Hitachi, stretti nella V di 75° hanno problemi di messa a punto.

Infine, per concludere, due ultimi appunti negativi che riguardano il suo utilizzo da “tourer”: la prima marcia è troppo lunga per avviarsi rapidamente a pieno carico, mentre il serbatoio della benzina da 19 litri è troppo piccolo per una moto votata al turismo che viene così penalizzata nell’autonomia. Nel 1982 la Yamaha torna nuovamente alla carica, senza ritoccare il prezzo di listino della TR-1 ma rinnovando come detto la gamma colori su alcuni mercati e risolvendo i problemi emersi nel corso del 1981. In Italia la Belgarda e la stampa specializzata enfatizzano ancora il concetto che la nuova arrivata sia un’ottima “entry level” per chi vuole avvicinarsi alle maxi-moto e viaggiare. “Per chi invece è attualmente proprietario o utente di altri bicilindrici - scrive Motociclismo nella prova pubblicata nel gennaio 1982 - resta il gusto di assaporare un motore di buona potenza, assai ben erogata, disposto in un telaio ben progettato per una guida facile ed al contempo entusiasmante, senza tuttavia poter reggere il confronto con una macchina espressamente dedicata all’utente sportivo. Infine, per chi non ha mai posseduto una moto di grossa cilindrata, la Yamaha TR-1 è finalmente il modello di buone prestazioni, facile da guidare, sufficientemente sicuro e assai parco nelle esigenze di manutenzione. Certamente questa nuova Yamaha ha grossi numeri a favore del suo impiego granturistico: l’elasticità del motore, la facilità di guida, la ridotta manutenzione anche della trasmissione finale a catena, il basso costo di esercizio, il comfort delle sospensioni adattabili ad ogni tipo di carico ed il consumo medio di circa 16 km/litro, non sono pochi nel bilancio di scelta di una moto per grandi viaggi.”

Un flop commerciale

La risposta del mercato è però nuovamente impietosa. Già alla fine del 1981 le vendite avevano fatto capire che il modello non avrebbe avuto nessun successo e la situazione non migliora l’anno seguente. Il mercato tedesco, che dopo il francese era il più importante per la Casa dei tre diapason, nel 1981 aveva assorbito più TR 1 di tutti gli altri, ma il numero si era fermato al di sotto dei 700 esemplari. E al termine della produzione nel 1983 – anche se in realtà in Giappone la linea di montaggio era già stata dismessa alla fine del 1982 - il totale in Germania era salito a 2.200, ma solo grazie alle promozioni dei concessionari, che le vendevano con il 25-30 % di sconto.

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