di Nicolò Codognola - 01 December 2019

Supermotard: Ducati Hypermotard 950 SP vs KTM 690 SMC R

Le Supermotard di grossa cilindrata sono ridotte a una nicchia, eppure Ducati e KTM credono in questo segmento e investono in modelli aggressivi e tecnologicamente avanzati. L'italiana è un tripudio di elettronica e prestazioni, ma non è intuitiva nella guida e il motore scalda troppo. Le frecce più affilate dell'austriaca sono la leggerezza e il monocilindrico, generoso e fruibile; però è davvero scomoda e troppo essenziale

A cavallo del millennio le Supermotard rappresentano un vero e proprio boom, contrapponendosi alle best seller dell’epoca, le supersportive. Gli appassionati attendevano febbrilmente le novità ai Saloni autunnali e le Case costruttrici non li deludevano, animando il settore con modelli sempre più potenti e raffinati. Ve le ricordate le Aprilia SXV 5.5 e Dorsoduro 1200, la BMW HP2 Megamoto e la KTM 950 Supermoto? Furono però esagerazioni con vita breve. A distanza di un decennio dal culmine della moda Supermotard, il segmento brulica ancora di vitalità tra le 125, ma nelle cilindrate maggiori c'è ben poca scelta e i numeri di vendita, a livello italiano, si fermano a poche centinaia di esemplari ogni anno, con la Ducati Hypermotard leader del segmento, seguita a ruota dall’accoppiata KTM/Husqvarna. E così, alla faccia di chi è già pronto a piantare una lapide sul settore, A Borgo Panigale e a Mattighofen si continua a investire in questa direzione.

Una motard “pura” e un… ibrido

La Hypermotard, inutile negarlo, è bellissima. I designer di Borgo Panigale l’hanno snellita parecchio rispetto alla precedente 939, intervenendo su diversi elementi, primi tra tutti il serbatoio (che perde un paio di litri di capienza in favore di maggiore snellezza tra le ginocchia) e il lay-out dello scarico, che ora è sdoppiato sotto il codone in luogo di quello singolo e ingombrante (soprattutto a livello visivo) laterale. Ma c'è anche tanta altra sostanza: il telaio è diverso e il telaietto reggisella è in traliccio d'acciaio anziché fuso in alluminio; cambiano i cerchi e la posizione di guida. Il motore è in pratica lo stesso della Multistrada 950, infarcito di elettronica (tre riding mode, antiwheelie, TC) e gustosissimo. Questa versione SP, poi, è impreziosita da sospensioni Öhlins pluriregolabili e cerchi forgiati. Tanta ricchezza in dotazione però si paga: la differenza di prezzo rispetto alla standard (con forcella Marzocchi e ammortizzatore Sachs, oltre ai dettagli in carbonio in meno) sfiora i 4.000 euro. Personale nel design, ma non propriamente affascinante la KTM, che torna in listino con la 690 SMC R (la versione precedente aveva chiuso la sua carriera nel 2017) ricevendo gli aggiornamenti collaudati sulla quasi-gemella Husqvarna 701: motore con doppio contralbero, due candele di accensione, cambio con quickshifter, frizione assistita e antisaltellamento, telaio modificato e più snello nella zona del cannotto di sterzo, sovrastrutture ridisegnate.

Limitata l'elettronica: due riding mode (uno più stradale, l'altro più pistaiolo) e controllo di trazione (disinseribile) sono l'unica concessione ad una moto che rimane fedele al concetto di semplicità proprio del le Supermotard. Andando avanti con la lettura, capirete meglio che il concetto base sta tutto qui: le SM nascono come estremizzazione del concetto di guidabilità e agilità. I primi esempi di questo genere, che risalgono a oltre 25 anni fa, altro non erano che scarne enduro monocilindriche con cerchi da 17". Solo una delle due protagoniste della nostra prova rimane fedele a questo filone originario: la KTM. E infatti le differenze con la 690 Enduro R sono davvero limitate alla misura delle ruote, alla taratura delle sospensioni e alla logica di intervento dei riding mode. Sali in sella (stretta e dura) e sotto il naso hai nient'altro che un manubrio ampio e alto. Le sospensioni cedono un poco sotto il peso del pilota e toccare terra con entrambi i piedi non è un problema per chi scrive (180 cm di altezza). La strumentazione è ridicola per dimensioni e dati forniti: ok la genesi offroad, ma visto che la SMC R va usata anche su strada, qualche informazione in più non dispiacerebbe affatto. Alla fine succede che, sapendo di non avere alcun dato interessante da tenere sott'occhio (a parte il tachimetro), lo sguardo rimane sempre attaccato alla strada. O ai cordoli… Un ricchissimo diplay TFT a colori invece proietta la Hypermotard in un'altra dimensione. Lettura chiara e completa in ogni condizione di luce, mille possibilità di regolazione a portata di mano, con tachimetro, indicatore della marcia inserita e contagiri (che cambia colore superati i 6.000 giri/ min) in risalto. Già a questo punto dovremmo capire, senza nemmeno fare un metro, che Ducati fa un altro mestiere.

Si chiama Hypermotard, ma con il concetto di SM originario ha poco o nulla da spartire. Con un motore strapotente e una dotazione degna di una supersportiva, rappresenta l'anello di congiunzione tra le Supermotard tradizionali e le moderne maxinaked. Lo si avverte anche in sella: poco vicino all’idea di motard pura, il peso supera di ben 40 kg quello della KTM. La sella poi, quasi alla stessa altezza dal suolo rispetto alla SMC R (la Ducati è più bassa di soli 7 mm) è però più larga e, complici le sospensioni più sostenute, ci fa toccare terra solo con le punte dei piedi. L'ergonomia, tuttavia, non ci convince del tutto perché molto, troppo caricata sull'avantreno, con il manubrio molto basso e vicino. Sembra di stare seduti sulla piastra forcella: in confronto la KTM sembra una chopper. In realtà la SMC R è perfetta, come Supermotard, mentre l’italiana non restituisce il medesimo feeling di immediatezza. Il contatto moto-pilota però è eccellente con entrambe, grazie a selle praticamente piatte ed estese verso il cannotto. Con la Ducati si avverte più "carne" da stringere tra le cosce; tuttavia, rispetto alla precedente 939 è tutta un'altra storia, con un serbatoio più piccolo e meno ingombrante tra le gambe. KTM, che addirittura il carburante lo ospita tra codone e sottosella (la struttura in materiale plastico autoportante non necessita di un telaietto), sembra una bicicletta tanto è sottile lì davanti, con i convogliatori dei radiatori che si allargano appena davanti alle ginocchia.

Elettronica per la sicurezza

In sella a queste due moto provo a pensare che cosa avrebbero detto gli appassionati di Supermotard se, un paio di decenni fa, avessimo parlato di ABS, controllo di trazione e riding mode. Probabilmente avrebbero storto il naso, chiosando che questo genere di moto deve essere ridotto all'osso, che non c'è spazio per l'elettronica, che le derapate non vengono bene con il traction control. Tutto vero, a inizio millennio. Ma nelle protagoniste di oggi l'elettronica non solo è necessaria, ma benvenuta. La KTM 690 SMC R, tra le due, ha il minimo indispensabile, con due riding mode, selezionabili con pulsanti a manubrio retroilluminati: sulla strumentazione non c'è alcuna indicazione della mappa selezionata e per sapere quale è inserita, bisogna distogliere lo sguardo dalla strada. La modalità Street è quella più conservativa: fornisce una risposta dell’acceleratore progressiva e l’MTC (Motorcycle Traction Control) sensibile all’angolo di piega limita lo slittamento della ruota, riducendo al minimo le impennate; con la modalità Sport invece si ottiene una risposta dell’acceleratore più aggressiva. Almeno nella teoria, perché all’atto pratico non abbiamo notato sensibili differenze. In più il controllo della trazione è meno conservativo e consente di derapare. Volendo, sempre con un pulsante a manubrio (sopra quello di selezione delle mappe), si può escludere totalmente il controllo di trazione.

Stessa cosa si può fare con l’ABS, con un tasto accanto alla strumentazione. Ogni volta che si spegne la moto, il sistema si resetta e torna alle impostazioni di sicurezza iniziali. È tuttavia possibile bypassare questo set up utilizzando il connettore sottosella (dongle key), ma è consigliabile solo se si utilizza la moto in pista. Ducati ha un’elettronica ben più sofisticata, con il display TFT che funge da interfaccia e, in piccoli caratteri, riporta le impostazioni relative ai tre riding mode (Urban a potenza ridotta; Touring e Sport a potenza piena), ciascuno dei quali ha settaggi personalizzati per ABS, controllo di trazione, antiwheelie e erogazione. Un discorso approfondito merita la funzione slide-by-brake dell’ABS, regolabile su tre livelli. Sul primo, consente alla ruota posteriore di bloccarsi in fase di inserimento in curva, lasciando derapare la Hypermotard fino ad un angolo di imbardata di 10°. Oltre questo limite, torna in azione l’ABS per riallineare le ruote. Un utile aiuto per chi vuole impratichirsi nell’arte del traverso. Peccato però che, per attivare questo sistema, sia necessario decelerare con aggressività. Non chiedeteci una misura: i numeri dell’algoritmo che mette in funzione lo slide-by-brake sono custoditi nelle centraline della moto. Su strada, dove è difficile se non impossibile, replicare esattamente una frenata dopo l’altra alla stessa maniera, risulta un po’ imprevedibile l’attivazione della “derapata controllata”. Meglio impratichirsi in pista, dove ad ogni giro curve e asfalto sono uguali.

Potenza contro leggerezza

Che questo non sia un confronto diretto, è chiaro: Hypermotard e SMC R sono troppo diverse per un vero testa a testa. Ma il Motociclismo Test Team le prova sulle medesime strade, continuando a scambiarle tra un tester e l’altro. Scesi da uno, saliti sull’altra, le sensazioni, le differenze, le peculiarità si acuiscono. Ducati aggredisce le curve con ferocia e precisione chirurgica. L’inserimento è fulmineo, la percorrenza sicura, l’uscita veloce. L’avantreno è granitico, restituisce un feeling incredibile, oltre a tanto sostegno persino nelle frenate più aggressive. Plauso ai freni, praticamente perfetti per potenza e modulabilità. Il motore, che accompagna ogni accelerazione con un sound esaltante, è generoso, rapido a prendere giri, vigoroso in allungo. Non regolarissimo sotto i 2.500 giri/min, ma abbinato ad una frizione non perfetta nello stacco (e nemmeno morbidissima) e a un cambio con quickshifter bidirezionale morbido e abbastanza preciso, ma che digerisce un po’ a fatica due marce “buttate dentro” in rapida sequenza, soprattutto in scalata. Di vibrazioni davvero fastidiose non ce ne sono, ma il comfort è minato dal calore eccessivo emanato dal motore che investe cosce (soprattutto la destra) e inguine. Protezione dall’aria? Mettiamola così: se Ducati, con quell’unghia sopra la strumentazione, protegge fino ad altezza ombelico, KTM espone il pilota all’aria come una bandiera di preghiera tibetana al monsone.

Dove la Hypermotard non trasmette feeling immediato -ovvero tra i tornanti e nel misto stretto - KTM si prende la rivincita, sfoderando un’agilità da riferimento. L’austriaca guizza tra le curve più lente con la rapidità di un furetto. Le gomme di primo equipaggiamento (Bridgestone Battlax S21) non restituiscono la stessa sicurezza della concorrente (Pirelli Diablo Supercorsa SP), specie su asfalto umido. Tuttavia è snella e leggera, invoglia a giocare più che con la Ducati, proprio in virtù di una sensazione di estrema maneggevolezza. L’ergonomia da offroad, con il manubrio alto e dritto, offre pieno controllo. Se sulla moto bolognese ci si sente un po’ appollaiati in sella, qui si è invece un tutt’uno con la SMC R. Il monocilindrico, incredibilmente elastico e con un eccezionale allungo, ha tutto quello che serve per raccordare le curve con accelerazioni progressive, senza nemmeno dover usare troppo il cambio. E consuma pure poco: praticamente non scende mai sotto i 20 km/litro! Anche sulla KTM c’è il quickshifter bidirezionale: gli innesti sono leggermente più contrastati rispetto alla Hypermotard, ma più resistenti agli strapazzi. In più la frizione, ben dosabile, è davvero di burro. Le sospensioni, hanno escursione quasi da offroad e digeriscono bene dossi e irregolarità. Il rovescio della medaglia è una manifesta -ma non pericolosa -imprecisione nel veloce e in staccata, dove invece la Ducati è regina.

La forcella, soprattutto, affonda repentinamente in frenata – anche lavorando sui registri non abbiamo goduto di apprezzabili miglioramenti – causando evidenti trasferimenti di carico. Che sono ottimi se si vuole alleggerire il posteriore per derapare in pista, ma su strada avremmo preferito maggior sostegno. Ci si trova così a ripartire le frenate anche al posteriore, per mantenere l’assetto in ingresso. Per fortuna i freni sono, oltre che potenti, perfettamente modulabili. Scegliere la nostra preferita è impresa ardua. Ducati, se si vuole viaggiare veloce e fare un figurone al bar. KTM, se pista e tornanti di montagna sono il nostro pane quotidiano. E poi, certo, bisogna tener conto della generosità del proprio portafogli. La Hypermotard SP parte da una base di 16.240 euro. Per averla allestita come l’esemplare in prova, bisogna aggiungere altri 4.000 euro. La SMC R è più abbordabile: da 11.350 si arriva – con gli accessori che vedete nelle foto di questo servizio – a 12.610 euro. In pratica, quasi quanto una Hyper standard, quella senza Ohlins, per intenderci.

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