di Marco Riccardi - 30 June 2019

Molto british: la Bonneville T120 del 1965

Io, la Bonnie e tu. Quadretto romantico, dove testimone del momento è la Bonneville T120 della metà degli anni ‘60. Storia, curiosità e aneddoti

Cosa c’è di più inglese di una classica bicilindrica di 650 cc? Esattamente una Triumph Bonneville T120, come quella che vedete ritratta nella foto qui sopra. La Bonnie è realmente la sintesi della moto inglese e ancora oggi l’emblema dell’Azienda di John Bloor. La prima T 120 è del 1959, l’ultima è del 1970, per un totale di 220.000 pezzi costruiti a Meriden. Poi la crisi del Marchio inglese e varie ristrutturazioni con l’aiuto dei fondi del governo britannico, sino al tracollo del 1983 e la contestuale rinascita quando interviene Bloor, che nella vita è un tycoon del mercato immobiliare, e rileva il tutto. Oggi la famiglia della Bonneville abbraccia più cilindrate intorno al bicilindrico parallelo, e si snoda su dodici modelli che spaziano dalle classiche, alle custom, alle sportive. Perché la Bonneville ha avuto così tanto successo in questi 60 anni di vita? Perché nasce con questo motore e con queste caratteristiche tecniche? Anzi, perché molte tra le moto inglesi erano, più o meno, costruite così: agili bicilindriche dotate di propulsori che spingevano con forza dai bassi e medi regimi? La spiegazione ci arriva da Carlo Perelli, direttore di Motociclismo d’Epoca, già responsabile di Motociclismo, ma ancora di più, il maggiore esperto e cantore della storia della moto.

“Le Bonneville era esuberante per quei tempi e incarnava pure le tipiche caratteristiche delle inglesi di quegli anni - ci informa Perelli -, quando le moto venivano costruite con specifiche caratteristiche di tecnica e di guida per adattarsi alle strade che si snodavano lungo le verdi campagne della Gran Bretagna. Strette vie, tra muretti di sasso e di edera, corti rettilinei uniti da strette curve in successione, poche salite ripide e praticamente nessuna autostrada dove spingere al massimo, e per tanto tempo, i propulsori. Quindi era necessario disporre di un motore rotondo nell’erogazione, pronto a dare il meglio fuori dalle svolte sin dalla prima apertura dell’acceleratore. Pure la ciclistica doveva essere decisamente maneggevole per reagire velocemente ed essere sicura. Quando anche da quelle parti hanno cominciato a costruire le autostrade, e di conseguenza i motori sono stati messi alla frusta, queste moto si sono dimostrate non proprio affidabilissime oltre a richiedere una assidua manutenzione”.

Se volete approfondire ulteriormente la storia potete cliccare qui e leggere segreti, racconti e aneddoti sul modello.

Il modello 2019, nelle versioni Ace e Diamond

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