Benelli-MotoBi Tornado 650
La nascita
4 anni. Tanto ci volle, dopo la presentazione
del prototipo nel 1967, per vedere questa bicilindrica della Casa di Pesaro
nelle vetrine dei concessionari. Una moto con tante buone qualità che
“perse
il treno” del successo soprattutto perché arrivata in ritardo rispetto
alla concorrenza.
Nei primi anni Sessanta, l’enorme
successo dell’automobile utilitaria mise in crisi
l’industria
motociclistica. Per sopravvivere, le Case italiane si concentrarono
nella produzione di ciclomotori. A complicare le cose ci si
mise
però Piaggio che, già in vetta alle vendite con la Vespa,
“inventò” il Ciao, da subito apprezzatissimo e vendutissimo.
Per
fortuna, a partire dalla seconda metà degli anni Sessanta, ci furono
i primi segnali di ripresa per le immatricolazioni del
“targato”
ma, soprattutto, si volse lo sguardo al mercato USA, in mano a giapponesi
ed inglesi rispettivamente per le piccole, medie e grosse cilindrate. Il
futuro erano le maxi, così a Pesaro capirono che era il momento di
sfondare il tetto dei 250 cc, fino ad allora massima cilindrata prodotta.
Era un passo decisivo per evitare il peggio.
In quel periodo la Benelli-Motobi
(quest'ultima fondata nel 1949 da Giuseppe Benelli a causa di disaccordi
con i fratelli e successivamente confluita nella Casa madre dopo la soluzione
dei problemi familiari) era un’azienda di medio-grandi dimensioni
con tante idee e voglia di crescere. La decisione di produrre una 650
biclindrica
non arrivò subito. In un primo momento si pensò ad una 350 cc
bicilindrica, cilindrata molto in voga negli USA.
Filippo Benelli si rivolge a Piero Prampolini,
ex MotoBi ed allora in forze alla Omer, per chiedergli di tornare in Benelli
a progettare il nuovo motore. Prampolini aveva già cominciato il progetto
quando Luigi Benelli gli chiese addirittura un 4 cilindri in linea di
500 cc. Ipotesi scartata in breve tempo perché troppo oneroso
da produrre. La decisione definitiva arrivò nel 1966,
“suggerita”
dalla mossa della Laverda che al Salone di Londra presentò la sua
650 cc.
La tecnica
L’azienda pose a Prampolini alcuni vincoli di progetto:
niente
soluzioni ardite, cilindrata di 650 cc e due cilindri per porsi
in diretta concorrenza con Laverda, Triumph e BSA. Il progettista realizzò
un motore compatto e leggero, affidabile e di
buone prestazioni.
Scartata la distribuzione monoalbero in testa ed il contralbero, il motore
era tutto in alluminio, aveva misure interne superquadre,
un’inclinazione tra le valvole di 58° ed un basamento molto robusto
apribile secondo un piano orizzontale.
Particolare l’impianto di lubrificazione, con i condotti costituiti
da tubetti annegati nella fusione all’interno dei carter stessi
anziché ricavati di lavorazione, scongiurando così eventuali trafilaggi.
Il manovellismo dell’albero motore era a 360° e
l’albero
a camme fu posizionato nella parte anteriore del motore, con
le aste che salivano lateralmente ed in obliquo. 4 cuscinetti di banco
per l’albero motore e cambio a 5 rapporti in presa diretta (anziché
in cascata) per ridurre gli ingombri. I due carburatori da 29 mm
erano inclinati per lasciare spazio al magnete.
Con un telaio pregettato da Luigi Benelli, i prototipi della Tornado
650 erano in strada per i necessari collaudi già nel 1967. Il motore
non diede problemi, venne provato nelle versioni ad uno e due
carburatori,
prima da 27 e poi da 29 mm. Vibrava però molto, tanto da causare
alcune rotture nella parte anteriore del telaio, subito
irrobustito.
Le sospensioni erano Marzocchi per la forcella e Ceriani
per gli ammortizzatori.
A dare il suo parere sulla Tornado 650 intervenne anche Steve
McQueen, che come tutti sanno era un grande appassionato di moto
ed essendo sotto contratto con la Cosmopolitan Motors (importatore
Benelli-MotoBi per gli USA) chiese, per la promozione della Tornado, di
poterla provare. Volò così a Pesaro e dopo qualche bel
“numero”
chiese che venisse adottato un telaio tipo Metisse di cui era estimatore.
Lo accontentarono e così per gli USA la Tornado aveva telaio e veste
estetica diverse.
La Tornado S
Ma perché, se nel 1967 era sostanzialmente definita nell’estetica e nella
meccanica, la Tornado arrivò nelle vetrine solo nel 1971?
E’ lo
stesso Prampolini a spiegarcelo. Nel 1968 Benelli era pronta alla produzione,
ma essendo un progetto completamente nuovo occorrevano
nuovi
e complessi macchinari. Furono ordinati ma non arrivarono prima
del 1970, anno in cui vennero assemblati i primi esemplari per gli
USA e successivamente, nel 1971, quelli per l’Europa e
l’Italia.
Oltretutto i grossi contrasti interni alla numerosa famiglia Benelli
rendevano difficile prendere le decisioni importanti in tempi brevi. E
poi? E poi ci si mise la Honda, che nel 1969 lanciò la sua CB
750 a 4 cilindri: nasceva con lei una nuova generazione di maximoto.
Nonostante questo, l’accoglienza del mercato nei confronti della
Tornado 650, in vendita dai primi mesi del 1971, fu positiva.
Certo, la Honda CB, le Kawasaki 2 tempi a 3 cilindri e la Laverda, che
nel frattempo era diventata 750, facevano proseliti, ma la Tornado seppe
ritagliarsi una sua nicchia di acquirenti, riuscendo almeno
nell’intento
di vendere più di Triumph, BSA, BMW e Norton.
Prampolini era comunque pronto, già nel 1970, con una versione
aggiornata, la Tornado S, migliorata sotto diversi aspetti.
Innanzitutto aveva l’avviamento elettrico (della Bosch),
l’albero
motore riequilibrato (sopra i 4.000 giri la prima versione scuoteva
anche le ossa), un diagramma di distribuzione rivisto ed il rapporto
di compressione aumentato. Modificò anche la carburazione,
l’impianto
di scarico ed i rapporti del cambio, con il risultato di passare
da 50 a 52 CV e da una velocità massima di 176 km/h a 190 km/h.
La guida inoltre era molto più piacevole e meno impegnativa. Anche
questa versione “S” venne però offerta in ritardo. I debiti
della
Benelli erano altissimi e così la famiglia dovette vendere
l’azienda
all’imprenditore argentino Alejandro de Tomaso.
I nuovi flussi finanziari permisero di produrre la Tornado S che
debuttò nel 1972 con ulteriori modifiche a strumentazione,
manubrio e sella oltre che con una grafica più
accattivante.
La nuova era
La Tornado S trovò presso il pubblico un riscontro positivo. Il
motore era affidabile e solo l’impianto
elettrico faceva
a volte le bizze, probabilmente assecondato dal tasso di vibrazioni
che rimase comunque alto. Il mercato delle maximoto era in
crescita
e nel 1972 Benelli partecipò al “banchetto” delle oltre
13.000
unità vendute (con predominanza Honda e Laverda) con più di mille 650
cc.
Nonostante questo discreto successo, De Tomaso decise di fermare lo
sviluppo della Tornado e di puntare su nuovi progetti, le
4 cilindri 350 e 500 ed anche la 6 cilindri. Prampolini venne dirottato
su questi progetti con una certa urgenza, tanto da ordinargli di acquistare
una Honda e copiarne il motore. La fretta non era sbagliata, i tempi
cambiavano e le nuove maxi non erano ormai più bicilindriche.
Comunque, per smaltire le rimanenze di magazzino, nel 1973 venne
affiancata alla S la versione S2.
Aveva diversi colori, sella sportiva con codino, manubrio
più basso ed un ampio cupolino trasparente. Rimase in listino
fino al 1975, quando il totale delle Tornado prodotte ammontava a circa
3.000 esemplari.
Su strada
Nell’aprile del 1971 Motociclismo provò la
Tornado 650,
esprimendo giudizi estremamente positivi sia sui livelli di
finitura
che sulle doti dinamiche dell’attesa bicilindrica di
Pesaro. Il
motore era abbastanza silenzioso e la tonalità di scarico
piacevole.
A bassa andatura il peso era avvertibile ma appena superati i 30
km/h la Tornado sfoderava buone doti di agilità e leggerezza. Frizione
morbida, cambio preciso e silenzioso. Unico neo, la leva un po’
troppo distante dalla pedana e la corsa eccessiva.
L’erogazione era omogenea fin dai 2.000 giri, senza buchi di
carburazione
o incertezze, sfoderando buone prestazioni appena oltrepassati i 4.500
giri. L’ingresso in curva poteva avvenire ancora in staccata ed
anche
l’accelerazione a moto ancora inclinata non comportava reazioni
anomale.
Anche sul veloce, la stabilità era ottima.
Nel 1973 Motociclismo si espresse ancora favorevolmente
nei confronti della Tornado 650, motivandone l’insuccesso commerciale
con dati oggettivi. Il progetto era nato sano e nel momento giusto ma il
ritardo nell’effettiva messa in produzione ne avevano decretato gli
scarsi numeri di vendita. Il telaio era tra i migliori di quel periodo,
rigido ed accompagnato da sospensioni di ottima qualità. Anche i freni
si comportavano egregiamente. La ciclistica comunicava stabilità e
sicurezza,
sia nei curvoni in piena accelerazione che nel misto-stretto,
solo alle basse andature si soffriva un po’ il peso elevato.
Il motore era eccezionale per robustezza ed affidabilità,
garante inoltre di buone prestazioni. I difetti erano già noti:
prima marcia troppo lunga ed escursione della leva eccessiva. Inoltre
c’era il notevole tasso di vibrazioni anche se in quel periodo
i riferimenti erano ben altri. Nonostante il motore e tutti gli accessori
fossero montati su tamponi elastici, oltre i 4.000 giri gli
scuotimenti
erano notevoli anche se confrontati con ciò che si pativa a bordo delle
bicilindriche inglesi risultavano decisamente accettabili…