a cura della redazione - 08 December 2017

MV Agusta: un fiasco che vale cifre da capogiro

Negli anni Settanta gli appassionati si aspettavano un deciso cambio di marcia dalla MV Agusta, spinto dai successi ottenuti nei GP. Purtroppo questo non accadde, come dimostra l’ultimo atto della quattro cilindri 750 S America...

Al Salone di Milano del 1977 lo stand prenotato dalla MV Agusta rimane clamorosamente vuoto. Bombardati da indiscrezioni più o meno attendibili circa lo stato di salute dell’azienda e accarezzati da promesse di rilancio, di nuovi prototipi o addirittura di un possibile passaggio del reparto moto sotto il marchio Ducati, il pubblico degli appassionati esige la verità sulla MV Agusta. E la verità è che purtroppo la gloriosa Meccanica Verghera è giunta al suo epilogo. Nel 1977 infatti, la MV non ha alcuna novità da proporre e ha già deciso di abbandonare il settore per dedicarsi esclusivamente agli elicotteri.

Un finale tragico, difficile da evitare se riportiamo a memoria cosa è successo negli anni precedenti. Dopo la morte nel 1971 del Conte Domenico Agusta (guida indiscussa dell’azienda) i dirigenti della MV si sono trovati a fare i conti con un bilancio produttivo in perdita e senza un programma preciso capace di risollevare la situazione. Così, prima di accettare di cedere il 51% del gruppo al colosso della finanza pubblica EFIM (Ente Partecipazioni e Finanziamento Industria Manifatturiera) i vertici aziendali si rendono protagonisti di operazioni commerciali discutibili e sicuramente non organiche.

Tanto fumo, poco arrosto

Inizialmente i modelli in produzione vengono ridotti, poi MV Agusta si presenta al Salone di Milano del ’73 con il prototipo della “Ipotesi” 350 disegnato da Giugiaro, commercializzata nel 1975 come 350 Sport. Nel mezzo la promessa “di studiare, in un prossimo futuro, le possibilità di creare modelli stradali più direttamente derivati da quelli da competizione. Si offriranno macchine prestigiose ed estremamente competitive, adatte all’uso di tutti i giorni”, così recita un comunicato stampa del novembre 1973, chiuso con una frase ambiziosa: “La MV Agusta riapre un nuovo e completo discorso: come nelle corse, così nelle strade”. Considerata la grande differenza tecnologica e prestazionale tra le plurivittoriose MV da competizione e i modelli stradali, l’annuncio è rivoluzionario.

​Oltre a ciò, un antefatto importante sembra voler confermare che oltre al fumo ci sia anche l’arrosto nelle dichiarazioni roboanti pubblicate dalla Casa lombarda. Il 23 aprile 1972 all’autodromo di Imola si disputa la prima edizione della 200 Miglia. Nell’elenco degli iscritti ci sono tutte le Case più importanti: Ducati, Moto Guzzi, Triumph, Norton, BMW, Laverda, Honda e MV Agusta con Giacomo Agostini in sella ad una 750 Sport 4 cilindri modificata come da regolamento. È un avvenimento storico per il motociclismo italiano perché è la prima volta, dal clamoroso ritiro del 1957, che Moto Guzzi e MV Agusta si ritrovano in pista rivali con le loro squadre ufficiali. Agostini disputa una gara brillante nei primi giri, ma è costretto al ritiro per un guasto al motore. La delusione per il risultato è forte, ma la MV sembra aver ingranato la marcia giusta per il rilancio del reparto moto. Ci si aspetta la rivincita per l’anno successivo, ma questa non arriverà perché si preferisce concentrare gli sforzi sulle 350 e 500 da GP, abbandonando completamente lo sviluppo della 750.

Sul fascicolo di marzo 1975, Motociclismo commenta così, senza grande entusiasmo, le novità: “In attesa dei più volte annunciati modelli d’elite, strettamente derivati dai suoi bolidi da gran premio, la MV ha presentato di recente la versione definitiva della 350 Ipotesi e le nuove 125 Sport e 800 America...”, segue la consueta descrizione tecnica.

Un destino segnato

Alla luce di quanto è accaduto, a posteriori possiamo affermare che effettivamente il destino della MV Agusta era già stato deciso. Con l’ingresso di EFIM al 51% e l’aggiudicazione di una importante commessa per la realizzazione di una fabbrica di elicotteri in Iran, i vertici del gruppo decidono che il futuro dell’azienda sta in cielo e non sulle due ruote. Inoltre, come ha sottolineato Fredmano Spairani, manager di EFIM incaricato di riorganizzare la produzione dopo il 1973, l’ultima “cura” al comparto moto aveva portato benefici solo a livello di produzione, ma non di vendita, lasciando i magazzini stracolmi di moto, modelli prestigiosi ma incompiuti, carichi di fascino ma non abbastanza al passo con i tempi. L’esempio d’eccellenza è la 750 S America, ultima evoluzione della quattro cilindri di Verghera. La moto nasce su richiesta dell’importatore americano, la Commerce Overseas Corporation di New York di Chris Garville che nella primavera del 1974 giunge in Italia accompagnato da Jim Cotherman, uno dei più importanti concessionari USA. Scopo del viaggio è chiedere alla MV una 750 adatta al loro mercato, rinnovata esteticamente, più performante e aggiornata in funzione della legislazione americana, quindi con il comando del cambio a sinistra ed emissioni “sonore” a norma di legge, ovvero non superiori agli 80 dB. Garville ritiene di poterne vendere 200 l’anno, al prezzo di 6.000 dollari, quando una Honda CB750 costa 2.200 dollari.

La moto pensata per l’élite

La richiesta americana viene prontamente accettata pensando anche a un effetto volano per le vendite in altri Paesi e all’arrivo di valuta nelle casse dell’azienda. Il lavoro di sviluppo della moto è rapido, tanto che la 750 S America viene presentata col nuovo anno. Il restyling, radicale, rende la nuova quattro cilindri decisamente più moderna, anche se non suscita lo stesso entuasiamo della precedente Sport. Le linee più squadrate, dominate dal colore rosso, contrastano tuttavia con il design del motore che nell’aspetto, carburatori a parte, non cambia di una virgola da quando è stato presentato alla fine del 1965 per la 600.

Quali sono dunque le novità tecniche che devono rilanciare la pluricindrica MV? Dal punto di vista del motore ben poche: compressione aumentata da 9 a 10:1, condotti di aspirazione e scarico rivisti, valvole più grosse e carburatori a vaschetta centrale anziché separata. Sulla S America le modifiche riguardano l’aumento dell’alesaggio di 2 mm per portare la cilindrata da 743 a 789 cc e l’adozione di carburatori Dell’Orto VHB da 26 mm anziché da 27 mm. La potenza dichiarata passa da 69 a 7.900 giri a 75 CV a 8.500 giri, un aumento difficile da credere visto le minime modifiche e il diagramma della distribuzione immutato.

Passando alla ciclistica, notiamo una nuova forcella con steli portati da 36 a 38 mm e una coppia di freni a disco anteriori, che prima erano optional. E a proposito di accessori, la MV propone la carenatura integrale (136.800 lire), i cerchi in lega a razze (419.000 lire) e il freno a disco posteriore (130.000 lire). Full optional la moto viene a costare circa 4.600.000 lire, praticamente il doppio di una delle rivali. Naturalmente anche la 750 S America si trascina addosso quei “difetti originali” che da sempre fanno storcere il naso ai clienti più sportivi, come l’eccessivo peso (240 kg) e il telaio non all’altezza le cui insufficienze si fanno sentire in curva causando vistosi ondeggiamenti intorno ai 150 km/h.

Operazione fallimentare

Da tutto ciò si capisce quanto l’operazione “America” sia destinata a fallire. Del resto il prezzo di vendita, che nel frattempo negli USA è salito a 6.500 dollari, è ingiustificato per una moto oggettivamente obsoleta a livello tecnico e dotata di una componentistica di modesta qualità. Nemmeno le prestazioni, anche questa volta, possono fare la cosiddetta differenza con le altre maxi, mentre l’affidabilità resta lontana dallo standard giapponese. I 600 esemplari che in tre anni l’importatore americano voleva vendere sono una utopia.

“Avevamo fatto tanti bei progetti, per esempio una 750 con distribuzione a bialbero quattro valvole azionata da catena e con i cilindri molto inclinati. Il telaio tipo competizione, come quello usato da Agostini alla 200 Miglia di Imola del 1972, era pronto per la produzione e nel 1976 sarebbe potuta uscire l’Imola 750 con frizione a secco e trasmissione finale a catena: una sportivissima da sogno. Ma è rimasto tutto sulla carta, o quasi. La verità è che l’EFIM aveva già la Ducati (che faceva solo moto) mentre la MV allora andava forte con gli elicotteri e stentava con le moto, ormai superate e molto care. Perciò i dirigenti EFIM hanno favorito gli elicotteri e, contemporaneamente, hanno soffocato le moto, infischiandosene delle tradizioni. Senza cambiamenti sostanziali anche l’America ormai era fuori mercato. Abbiamo sudato sette camicie per vendere le ultime 42”.

Oggi, quelle vecchie quattro cilindri della MV Agusta hanno finalmente trovato il modo di raggiungere quella élite a cui erano destinate, diventando oggetti preziosi d’antiquariato e arrivando a quotazioni da Ferrari. Negli Stati Uniti gli esemplari messi all’asta hanno anche superato i 100.000 dollari!

© RIPRODUZIONE RISERVATA