di Paola Verani - 19 November 2013

Viaggio in Portogallo: nostalgia canaglia

Cammini per Lisbona e hai la sensazione che la grande avventura coloniale portoghese non si sia consumata del tutto. È come se i grandi navigatori fossero partiti ieri per Brasile o Mozambico a procacciar ricchezze. Il Portogallo, anche in moto, è un’esperienza struggente

Viaggio in portogallo: nostalgia canaglia

Un viaggio in Portogallo può esaltare o deludere a seconda di che pasta siamo fatti. Se in un luogo cerchiamo la bellezza facile, appariscente, potremmo rimanere delusi (guardate le foto in gallery). “Probabilmente non è il paesaggio ad attirare – scrive Reinhold Schneider in quello che consideriamo il più bel diario/guida sul Portogallo, a parte quelli scritti da Pessoa - e nemmeno l’architettura... ciò che davvero incanta è la linea spietata, eroica del suo destino”. Se partiste per “o ponto mais occidental” (il punto più occidentale dell’Europa) pensando di trovare una landa radiosa come la Spagna, commettereste un grande errore. Per uno scherzo del destino si sono trovate affiancate due nazioni d’indole opposta: potreste percorrere in lungo e in largo la Spagna senza trovare un grammo dell’anima portoghese, e viceversa. Mondana e solare la prima, spirituale e malinconica la seconda.

 

PORTO, DECADENTE E LANGUIDA

L’oro dei campi dopo Burgos è ormai alle nostre spalle, davanti a noi un paesaggio selvaggio è preludio a un viaggio diverso da quello che è stato finora. Entriamo in Portogallo da una strada secondaria, che abbandona la statale per Braganca e insegue il  Douro, il grande fiume che alimenta i vitigni del rinomato Porto e il cui corso è un viaggio a sè. Fra le tante vie per raggiungere il mare quella di rincorrere il letto del grande fiume ci è sembrata la più intrigante, anche se l’afa agostana sbiadisce i colori e ci troviamo a macinare chilometri e chilometri di asfalto rovente. Quando ormai siamo alla foce del Douro, è già buio, per cui decidiamo di passare la notte a Vila Nova de Gaia e rimandare all’indomani l’ingresso a Porto, la seconda città più popolosa del Portogallo. Ce la immaginiamo un grande centro senz’anima perché ci lasciamo stupidamente influenzare da un famoso detto “A Braga si prega, a Coimbra si studia, a Lisbona si spendono i soldi, a Porto  si guadagnano”. Per noi Portogallo= Lisbona; abbiamo avuto modo di visitarla più volte e ci ha stregato. Eravamo convinti non ci potesse essere un’altra città con tanto carattere. Ci sbagliavamo. Scopriamo per caso che l’ingresso migliore a Porto è da sud, perché la strada vi si insinua lentamente, svelando il fascino della città poco per volta, casa per casa, come una quinta teatrale. E l’apice del dramma si raggiunge quando compare il ponte con cui un allievo di Eiffel ha risolto la comunicazione fra il centro antico, di là dal torbido Douro, e quello nuovo, il grande quartiere-dormitorio da cui proveniamo e che la nebbia dell’Atlantico fa apparire un luogo arcano. L’accesso alle città portoghesi è meno traumatico che in Spagna, dove gli antichi borghi sono perlopiù circondati da cortine di orrendi grattacieli che ti fanno passare la voglia di addentrarti. Qui la città conserva la sua integrità urbanistica, anche se il complesso è decadente. Gli scorci più suggestivi di Porto ce li regalano i quartieri più poveri, dove gli edifici, addossati gli uni agli altri, sembrano sorreggersi a vicenda. Se non ci fosse  la cittadella finanziaria, di aspetto ben più pingue, Porto sembrerebbe irrimediabilmente aggrappata al suo passato. Nei vicoli più bui e ripidi del malfamato quartiere di Ribeira orde di bambini equipaggiati da skateboard si lanciano a velocità folli e ti si parano davanti schivando bancarelle dove si vende l’invendibile. Per qualche spicciolo sono disposti a farsi fotografare mentre si tuffano dal ponte Dom Luis nel grigio Douro. Quando è successo che il tempo si è fermato, viene da chiedersi? Stessa riflessione viene visitando Coimbra, città di studi di fama mondiale, che ci immaginavamo fervida di vita e moderna. Invece anch’essa non si sottrae al destino di decadenza delle altre città portoghesi e la grande Università posta simbolicamente in cima ad un colle, non trasmette nessuna idea di renassaince.

 

LISBONA E LA SFIDA CON IL TEMPO

Tuttavia queste città ci emozionano per il continuo richiamo al passato a cui ci sottopongono.  Certo è che qui la decadenza non è mai squallore, la saudade non è tristezza. Sono quasi degli stati dell'anima, dei modi di guardare il mondo, con distacco. A Lisbona, sono ancora più evidenti perché lì il mare,  ovvero la più grande fonte di nostalgia per il Portogallo, quello che oggi porta solo merluzzi e sardine ma che un tempo portava velieri carichi di ricchezze e di storie lontane, è poco distante. Basta raggiungere la foce del Tago, su cui la capitale portoghese si affaccia, per incontrarlo. Ma la luce dell'Oceano è ovunque. Non pensiate, però, che Lisbona sia rassegnata a guardarsi indietro: noi l'abbiamo vista prima e dopo l’Expo del ’98 e l'abbiamo trovata trasformata: è stata capace di ripensare lo spazio di interi quartieri, come il porto, il “waterfront” come dicono gli architetti, che è stato riqualificato ed è diventato cuore della vita culturale e  anche della movida, frequentato dai più giovani. Giungendo da nord si ha una visione di Lisbona simile a quella di Porto da sud: la strada procede con discrezione svelando lentamente il centro storico. Ancora un grande ponte in ferro battuto (il 25 de Abril) scavalca il grande fiume Tejo, nel punto in cui sta per confondersi col mare. Balza all’occhio la grande statua del Cristo con le braccia aperte che incombe e protegge la città esattamente come succede a Rio de Janeiro. Lisbona non può essere colta in due giorni di passeggiate turistiche, è un’atmosfera che ti prende il cuore e non ti abbandona più. A noi c’è voluto del tempo per apprezzarla e capirla, dopodiché non ci spieghiamo cosa sia successo ma da quel momento ci è diventata familiare quanto nessun altro luogo. Dell’antica, gloriosa città rimane ben poco perché oltre alla sventura di perdere un impero la sorte riservò a Lisbona una delle più grandi catastrofi di tutti i tempi: il terremoto del 1755, che rase al suolo la sua parte migliore, cui seguì la dittatura del marchese di Pombal, il quale ricostruendo fece forse più danni del terremoto stesso. E, infine, un terribile incendio nel 1988 distrusse una parte del quartiere cittadino del Chiado. Ma allora come si fa a riconoscere la città autentica? Bisogna saper leggere nei monumenti sopravissuti, nei frammenti di quelli andati distrutti, ma soprattutto bisogna aver voglia di perderci del tempo e cogliere l’atmosfera che dicevamo e che si può catturare ascoltando il fado, il canto/pianto popolare portoghese, leggendo qualche pagina di Pessoa, passeggiando per i quartieri di Bairro Alto, Graca, Baixa, Chiado, Belém e, soprattutto l’Alfama, il più antico, l’unico ad essere sopravissuto al terremoto, una medina con i suoi intricatissimi vicoli di origine araba.

 

L'ESTREMITÁ OCCIDENTALE DELL'EUROPA

L’idea iniziale del viaggio prevedeva che ci spingessimo a sud, fino all’Algarve, per poi risalire dalla Spagna, passando per Siviglia e Granada. Ma abbiamo avuto paura del caos dei vacanzieri che, in agosto, invadono il litorale: sarebbe stato come tradire il senso del nostro andare. Così abbiamo deciso di fermarci qualche giorno in più a Lisbona e di perlustrare il tratto di costa immediatamente a nord, particolarmente suggestivo dove si fa scogliera, all’altezza di Ericeira e di Cabo da Roca “o ponto mais occidental da Europa”, come recita l’attestato che rilascia,a pagamento, l’Ufficio del turismo. Questo è il regno dei villaggi dalle case color latte orlate di blu, dei mulini a vento e dei barbecue che diffondono nei vicoli, a qualsiasi ora, l'odore di sardine. Ma questo è anche il regno di luoghi da favola come la cittadina di Sintra, storica residenza estiva dei re portoghesi e Patrimonio dell'Umanità o del bellissimo borgo di Òbidos, che spunta dal nulla nella campagna dell’Estremadura ed è tenuto insieme da una cinta di mura merlate. È il dono che il re Dom Dinis diede alla sua sposa Isabella e che da allora venne dato a tutte le regine del Portogallo. 

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