di Mario Ciaccia - 20 August 2014

Fotografare in moto, il fascino delle “rough camera”

Sono le compatte a prova di bomba: le butti in acqua, le schiacci, le immergi nella sabbia, quelle vanno sempre

Fotografare in moto, il fascino delle “rough camera”

I fotografi si dividono in due categorie, a seconda che considerino la fotocamera un fine o un mezzo. Nel primo caso, considerano la salute del proprio apparecchio la cosa più importante e lo usano solo se non c’è il rischio di rovinarlo (“Ho speso 500 euro, mica sono così scemo da usarla nel Canalone di Madesimo!”). Nel secondo caso, ciò che veramente conta è ottenere la foto, anche a rischio di danneggiare l’apparecchio (“Cosa ho comprato la fotocamera a fare, se non fotografo il Canalone di Madesimo?”). E ci sono situazioni che hanno un fascino fotografico a cui non si riesce a resistere: le più ripide tra le piste di sci, i percorsi più fangosi, le piogge più torrenziali, le nevicate più potenti, le dune di sabbia più alte, le eruzioni dell’Etna, ecc. Tutte situazioni amiche della foto spettacolare, ma nemiche della fotocamera.

 

TOSTE!

Da qualche anno sta prendendo piede il filone delle cose “rough” (dure, toste) o “rugged” (robusto), quasi sempre di derivazione militare. Si tratta di computer, tablet, Gps o hard disk coi quali si può giocare a calcio senza che si danneggino. Visto che mi tocca fotografare i giri in fuoristrada in condizioni indegne (cadute, schizzi, immersioni in fiumi, sabbia del Sahara, polvere, pioggia, neve, temperature polari) ho desiderato per secoli che il “roughing” approdasse anche alle fotocamere. E lo ha fatto, ma concentrandosi solo su compattine tutte automatiche, con sensori piccolini, ottiche limitate e una qualità delle immagini non eccelsa.

Esistono reflex a prova d’acqua e polvere, anche relativamente poco costose come la Pentax K-50 o la Olympus OM-D, ma non di botte e cadute.

Comunque, per chi fa enduro, vuole documentare i suoi giri e non è fissato con la qualità delle immagini, queste fotocamere sono una bomba, sono irrinunciabili (guardatele nella gallery). 

 

COMPLICATE!

Mi tolgo subito il sasso dalla scarpa: ma quanto sono complicate, queste compatte “punta e scatta”? Appena sono arrivate in redazione per la prova di FUORIstrada ho proceduto al rito del disimballo – fin dal packaging mi fanno godere, le fotocamere – e sono passato al cosiddetto “test della scimmia”, ovvero provare a usarle senza leggere il libretto delle istruzioni. Qualche anno fa, direi almeno fino al 2005, le Canon erano le migliori in assoluto: i loro menù sono sempre stati intuitivi. Con gli oggetti elettronici di oggi, i menù sono necessari. Per i costruttori è una sfida: hai a disposizione uno schermo e dei tasti e devi cercare di far arrivare la gente alle varie funzioni con la minore fatica possibile. Beh, sembrava che quelli della Canon fossero particolarmente svegli nell’ottenere questo risultato. Gli altri ti facevano fare più passaggi. Questa cosa si può verificare in tantissimi campi, purtroppo ‘sta storia dello schermo e del tasto è arrivata anche sulle moto: come mi lamentavo la settimana scorsa, quando sono in sella a una maxienduro da 1.200 cc e mi rendo conto che sto impostando il tornante ghiaioso in discesa con l’Abs divento scemo a cercare di disattivarlo incrociando tra loro i tasti e lo schermo. Ma i tempi moderni sono così. Ci sono cose che non capisco. Ad esempio: finché avevo il telefonino coi tasti, ero il numero uno al mondo nel mandare sms col sistema T9, ero un missile. Adesso che ho lo smartphone, dove i tasti sono rimpiazzati da quelli virtuali “touch”, sono diventato lentissimo. Lo sanno anche i costruttori, così hanno inventato la funzione swype, dove le dita scivolano anziché saltellare, ma che non è veloce quanto il T9 sui vecchi tasti. Cito questo esempio perché mi sembra calzante anche per capire le mie perplessità di fronte a queste fotocamere compatte indistruttibili. Perché se è vero che per scattare basta inquadrare e scattare, è altrettanto vero che hanno tante di quelle funzioni che col mio test della scimmia sono andato poco lontano. E mi sono venuti in mente i tasti dei vecchi cellulari.

 

AI MIEI TEMPI...

Quando ho imparato a fotografare era il 1985. All’epoca non c’erano né il digitale, né l’autofocus. Era normale che i ragazzini della mia età (17 anni) ricevessero, in regalo, una reflex economica completamente meccanica e che i genitori ci impartissero le lezioni su come usarla. C’erano la Praktica MTL 5, la Yashica FX-3, la Nikon FM2, le Zenit, la Olympus OM-1 e la Pentax KX1000. Tutte queste avevano l’otturatore meccanico, funzionavano senza pile, non avevano nulla di automatico. E avevano solo quattro funzioni: la messa a fuoco manuale e le regolazioni di tempo, diaframma e sensibilità pellicola. Stop. Basta. Quattro cose da regolare. A seconda delle combinazioni che sceglievi, potevi avere foto leggermente sovraesposte, esposte il giusto, sottoesposte e potevi giocare sulla profondità di campo, ovvero avere tutto a fuoco, o solo il soggetto. Questi quattro elementi sono la base della fotografia e lo sono ancora oggi. Date a una fotocamera quei quattro cosi e potrete fare ogni genere di foto. Ma è successo qualcosa, per cui oggi l’immensa, stragrande maggioranza delle persone non vuole imparare quei concetti e preferisce una fotocamera che fa tutto da sola, ma in maniera piatta e impersonale.

Ammetto che i concetti base della fotografia sono complicati. Intanto, più il diaframma è ampio e più è piccolo il numero che lo identifica e già questo fa uscire di testa, le prime volte. Poi, è difficile capire i rapporti che legano tempi, diaframma e la sensibilità iso. Se raddoppi gli Iso, dimezzi il tempo. Oppure dimezzi il diaframma. Ma non tutti e due insieme. Diaframma 2,8 è ampio il doppio di 4,0 e il quadruplo di 5,6, ma è la metà di 2,0 e un quarto di 1,4. Diaframma ampio uguale numero piccolo ma anche solo soggetto a fuoco; diaframma piccolo uguale numero ampio ma anche tutto a fuoco. Chi mastica fotografia mi capisce al volo, altrimenti mi prende per scemo. Ah, poi quando impari la teoria devi fare i conti con la pratica: avrai anche fatto bene i tuoi calcoli, avrai anche impostato un diaframma piccolo per avere tutto a fuoco, ma col tempo che ne viene fuori la foto verrà mossa, perché sarà troppo lungo per fermare il soggetto, se questo è in movimento. Allora devi imparare l’arte del compromesso, il tempo più basso tra quelli sufficientemente veloci, ecc. Insomma, è complicato. Ma si impara, ci vuole solo pratica, non serve essere dei geni. Quando impari, usi manualmente una fotocamera senza pensarci, come quando cambi le marce in moto. Eppure, l’evoluzione dell’Uomo lo ha portato a ripudiare i comandi manuali e anche sulle fotocamere si è assistito al dilagare dell’automatico. Ma allora, perché sono così complicate, queste “rough”?

 

MILLE FUNZIONI

È qua che non capisco. Si è eliminato il fastidio di apprendere cos’è un diaframma ma poi, per imparare a usare queste compatte, devi leggerti un sacco di istruzioni. Per offrirti tutte le combinazioni possibili e immaginabili che si possono ottenere, in manuale, giocando con tempi, Iso e diaframmi, ci sono tantissime modalità automatiche, dalla neve alla festa di compleanno, dai bambini ai fuochi d’artificio, dal tipo che corre al notturno con soggetto scuro e sfondo illuminato. Puoi saturare i colori, fare il bianco e nero, o seppiare le immagini. Ci sono le possibilità di “photoshoppare” le immagini direttamente in camera. C’è il Gps, con svariate funzioni, nessuna delle quali intuitiva, tipo segnare il luogo dove stai scattando la foto, o registrare il percorso che stai facendo, o informarti su cosa vale la pena fotografare nei dintorni. Puoi mettere a fuoco da vicinissimo, usando lo zoom digitale con la modalità macro e le lucette laterali (presenti sulla Pentax WG-III). Puoi incrementare la nitidezza, o diminuirla (nel caso si stia fotografando un viso brufoloso). Puoi scattare immagini di oggetti che si specchiano nel lago, anche se il lago non c’è. Puoi decidere la qualità e la risoluzione dell’immagine. Puoi scattare 5 immagini al secondo a massima risoluzione, oppure diminuire quest’ultima e aumentare gli scatti fino a 60 al secondo. Puoi inviare direttamente le immagini a uno smartphone. Puoi impostare la modalità “guantoni”, che permette di usare la fotocamera senza togliere i guanti da sci: per scorrere il menù basta scuoterla, o darle colpetti. Alcune hanno il barometro, il termometro, la torcia. Puoi scegliere la lingua del menù e l’intensità dei suoni che accompagnano le varie operazioni e c’è persino quella che imita il rumore di scatto (che, ai tempi delle reflex meccaniche, era considerato un problema perché spesso dava fastidio, o ti faceva notare). Puoi impostare gli Iso, oppure lasciare che li scelga la fotocamera, ma anche qui puoi impostare qualcosa: il range di utilizzo degli Iso.

 

TANTO CASINO... MA ‘STI TEMPI E DIAFRAMMI?

Questi sono solo alcuni esempi delle cose che puoi fare con queste compatte, se solo riesci a barcamenarti in questi menù complicatissimi. Quindi non sono semplici compatte, ma raffinati strumenti ipertecnologici. Io non sono contrario a tutte queste funzioni e mi sono divertito a usarle, ma non capisco perché, di fronte a tanto spreco di tecnologia, che mi richiede, comunque, di studiarle, io non possa scegliere ‘sti benedetti tempi e diaframmi, che sono l’Abc della fotografia. Ad esempio, la Pentax WG-III ha il grandangolare con un’apertura massima di f/2,0, ovvero ha un diaframma molto luminoso: ciò è vantaggioso perché permette di catturare più luce quando ce n’è poca, ma anche di isolare il soggetto a fuoco in una “melassa” di sfocato. Ma che gusto c’è ad avere un diaframma così luminoso, se non posso impostarlo quando voglio io? A dire il vero, la Olympus TG-2 ti permette di impostare il diaframma (anche lei da f/2,0) e la Panasonic FT-5 sia il tempo, sia il diaframma, ma col grosso limite che il diaframma lo puoi scegliere o aperto o chiuso, senza vie di mezzo. Mi è stato detto che non esistono fotocamere rough per fotografi impegnati, perché tanto vanno usate in momenti adrenalinici, dove non si ha il tempo di impostare nulla. Ma non mi piace, come risposta: è come quando ti dicono che “col grandangolo puoi fotografare i paesaggi e col teleobiettivo le persone”, mentre in realtà puoi fare tutto con tutto.

 

BELLISSIME

Al di là della mia voglia di polemizzare (ma in realtà mi sto divertendo), queste fotocamere sono bellissime. La Canon D20 ha la forma di un pesce tropicale (peccato che ce l’abbiano data grigia). La Pentax WGS III sembra un Gps, è affusolata e gommosa, in più è viola metallico, fa scena. La Nikon AW110 è squadrata e vanta una spettacolare livrea camouflage. La Panasonic FT-5 è una specie di carroarmato metallico con rivetti di un bell’arancione. L’Olympus ha un’anonima linea da fotocamera economica, ma poi spicca sulle altre quando le applichi gli aggiuntivi ottici, che sono una delle sue marce in più. E poi c’è la Sony TF1, che è la più piccola, la più spartana e quella col look più “normale”, ma poi scopri che tutto questo è voluto: costa quasi la metà delle altre e sta nel taschino della camicia. È ideale come “tuttigiorni”, o da regalare ai bambini per iniziarli alla fotografia.

 

LA RESA DEI CONTI

Per la prova abbiamo dovuto maltrattarle e c’è dispiaciuto. Gettarle in acqua fa impressione, ma la prova peggiore è stata buttarle per terra, è contronatura. Le butti per terra, poi le accendi e vanno benissimo. Ma le foto come le fanno? Pubblichiamo qualche scatto. Abbiamo preso il nostro modellino preferito (la XT500 1979 di Cyril Neveu!) e l’abbiamo fotografato con le sei contendenti, ma anche con una vecchia compattina di quasi 10 anni fa e con una “mirrorless”, per vedere le differenze tra i sensori delle compatte (che misurano, all’incirca, 6x4,5 mm) nei confronti di quelli delle reflex e delle mirrorless (circa 24x16 mm). Come vedete, è una differenza di dimensioni enorme... eppure sia le compatte, sia le reflex hanno lo stesso numero di Megapixel (diciamo a cavallo dei 15, chi più chi meno). Ciò significa che i pixel delle reflex sono molto più grandi, cosa che dà diversi vantaggi, specie aumentando gli Iso. Noterete che a 100 Iso le differenze qualitative sono nettamente minori che a 3.200 Iso, una sensibilità che usiamo molto quando andiamo in moto di notte. A 100 Iso mostriamo l’immagine intera, a 3.200 “croppata”, ovvero ritagliata e ingrandita, perché siamo cattivi (in quanto si enfatizzano le differenze). Considerate che se scattate sempre a 100 Iso e le foto le visionate sul computer una compatta farà un egregio lavoro. Se, invece, dovete stampare foto notturne per una rivista, con queste compatte non andrete da nessuna parte. Del resto, i fotografi professionisti sarebbero tutti scemi, se comprassero reflex da 5.000 euro, qualora le compatte da 300 euro lavorassero alla pari, no? 

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