02 June 2008

Intervista a Romano Pisi, direttore commerciale e del marketing di Sym Italia.

Trent’anni di esperienza nella vendita di moto: prima in Piaggio (con un periodo passato negli Stati Uniti), poi in Guzzi come responsabile di tutti i mercati esteri e infine, dopo un breve periodo di attività indipendente, a dirigere la filiale italiana di Sym, la Casa taiwanese che in patria fa da contraltare a Kymco ma che in Italia è meno conosciuta. Romano Pisi è uno che ha girato il mondo, e riesce a vedere le cose in una prospettiva più ampia.

Pronti a sfondare



Trent’anni di esperienza nella vendita di moto: prima in Piaggio (con un periodo passato negli Stati Uniti), poi in Guzzi come responsabile di tutti i mercati esteri e infine, dopo un breve periodo di attività indipendente, a dirigere la filiale italiana di Sym, la Casa taiwanese che in patria fa da contraltare a Kymco ma che in Italia è meno conosciuta. Romano Pisi è uno che ha girato il mondo, e riesce a vedere le cose in una prospettiva più ampia.

Cosa manca a Sym per sfondare?

“Diciamo che non considero Kymco un concorrente, ma la dimostrazione di quello che si può fare. A Taiwan Kymco, Sym e Yamaha si giocano la leadership per volume un anno per l’altro, sono aziende comparabili. In Italia, invece, mentre Kymco ha trovato un distributore con il quale ha grande sintonia e stabilità, Sym ha fatto in passato scelte infelici che ne hanno penalizzato anche l’immagine. Il solco si è creato con il boom degli scooter di fine anni ’90: Kymco è riuscita a trovarsi nel posto giusto al momento giusto, Sym quel treno lo ha perso. Ma stiamo recuperando terreno, e quest’anno puntiamo a chiudere al decimo posto in Italia. In un mercato che cala del 7%, noi in questi mesi siamo cresciuti del 20%.”

Richieste che contano



Sym ha addirittura creato una filiale italiana, segno che ci crede.
“Assolutamente. Bisogna considerare che per un’azienda taiwanese il mercato italiano è numericamente irrilevante, e per di più atipico: siamo gli unici che amano il ruota alta e il maxi. Non è facile far capire loro che devono spendere denaro e attenzione per vendere ‘poco’: da noi un successo vale 2.000 pezzi l’anno, per loro un buon prodotto deve farne 2.000 al mese… ma quello che dico sempre alla dirigenza è: l’Asia vi consente di fare tutti i volumi che volete, ma l’Europa è un biglietto da visita.”

E si sono convinti?

“Piano piano, vedendo che quello che avevamo previsto si sta realizzando. Ora abbiamo volumi interessanti, partivamo da 500 pezzi nel 2002 e ne abbiamo fatti 8.400 nel 2007. L’apertura della filiale ha fatto fare il salto di qualità e di volumi: quest’anno puntiamo a 12.000 unità grazie alla spinta del CityCom 300, disegnato e sviluppato praticamente tutto in Italia, e del Fiddle. Le nostre richieste ora pesano.”
Per un Marchio relativamente nuovo come il vostro il problema è di farsi conoscere prima di essere confuso con i cinesi. Per voi è fatta?
“No, non ancora. Stiamo spingendo moltissimo sul prodotto e sul logo, per evitare confusione sulla nostra identità, e la strada mi sembra in discesa. Ma finché non avremo completato la gamma e fatto volumi che ci diano visibilità in giro per le strade, non siamo al sicuro. A occhio il giro di boa e tra i 15.000 e i 20.000 scooter all’anno. Ci vorrà ancora un paio d’anni.”

Progetti futuri



Come completerete la gamma?

“Oggi abbiamo qualche buco, che intendiamo chiudere al più presto. Stiamo chiedendo pressantemente un ruota alta entry-level 50÷125, che arriverà a Milano. A Milano ci saranno anche il nuovo JoyRide, che dopo 7 anni di onorata carriera è un po’ stanco, e un restyling del JoyMax 250, un prodotto ottimo che forse ha pagato una linea addirittura troppo personale, dal momento che Sym non è ancora trendsetter, e per ora fa meglio a seguire gli altri. A breve avremo anche qualche ruota alta e saliremo con le cilindrate a 400÷600 cc. A Taiwan hanno investito molto su un 560 da ATV che può benissimo essere trapiantato su uno scooter: mi aspetto che avvenga a breve, anche perché il CityCom non ha una pedana piatta come avevamo chiesto, ma un tunnel centrale, e ci hanno detto che è ‘per sopportare motori più grandi’…”

Solo prodotti garantiti



Siete comunque molto prudenti.

“Sì, ma quello che mi piace di Sym è proprio questo. Il CityCom era pronto due mesi fa, poi però si sono accorti che c’era qualche piccolo difetto, hanno fermato la linea, smontato lo scooter e chiamato i fornitori per risolverlo. I concessionari mi hanno fatto nero, ma i clienti stanno imparando a riconoscerci la maturità dei prodotti, che arrivano sul mercato senza problemi di gioventù. È per questo motivo che non siamo ancora arrivati al 500.”

Il miglior maxi



Andrete oltre il 500, come Kymco?

“È possibile: se da Taiwan mi propongono un 700, io lo vendo. Ma obiettivamente, a cosa serve? Perde i vantaggi dello scooter e non ha le caratteristiche della moto. Secondo me il 400 è la cilindrata ideale per un maxi, perché l’utilizzatore dello scooter è l’erede dell’utilizzatore della Vespa: ci va al lavoro, difficilmente ci va in vacanza. Gli oltre 500 sono solo esibizioni muscolari.”

Taiwanesi e concorrenti



Lei conosce bene le aziende italiane: che valutazione fa di quelle taiwanesi?

“Hanno pregi e difetti, ma sono aziende con un potenziale devastante. Il loro limite, che è anche la salvezza di quelle italiane, è di essere ancora troppo legate ai volumi, il che le porta a capire con fatica le esigenze di mercati, diciamo così, di prestigio. I taiwanesi sanno essere decisamente reattivi, ma solo se hanno la prospettiva di grandi volumi. Diversamente, lo sono meno. Forse Kymco ha superato questa fase, grazie anche all’abilità dell’importatore.

Mercati pericolosi



Tornando ai cinesi: che ne pensa?

“Mi fa male vedere la direzione che ha preso il mercato, con la gente che esce di casa e si porta a casa lo scooter dal supermercato senza pensare, come un pacchetto di biscotti. Io sono in questo settore da 30 anni, ho visto di tutto. Oggi vedo un nuovo Marchio al mese, e di solito l’importatore non è mai qualcuno che conosco. È gente che di questo settore non sa nulla. Vi dico una cosa: Sym ha una fabbrica in Cina, con management al 100% taiwanese e controllo sul 100% della produzione. Noi da questa fabbrica, considerando dazi e trasporto, riusciamo a ottenere uno scooter che vendiamo a 1.300÷1.400 euro, non meno. Quando vedo uno scooter a 700 euro, mi chiedo come fanno: se il costo della manodopera è lo stesso, vuol dire che risparmiano sui controlli, sui materiali. E sulla distribuzione, certo: ma i loro veicoli sul mercato dell’usato non esistono, non li ritira nessuno. E un concessionario che deve fare garanzia a uno scooter che non ha venduto lui, ma che arriva da un supermercato, lo metterà di sicuro in coda.”

Quindi il fenomeno si esaurirà da solo?

“Forse no, ma mi impressionano più Paesi come il Vietnam, con la sua enorme voglia di imparare, o l’India. La Cina mi sembra già un po’ ‘bruciata’. Hanno fondamentalmente problemi di materiali, non di capacità: risolverli non è difficile: basta spendere di più. Ma a quel punto i loro prezzi non saranno più così lontani dai nostri…”

Forse fra qualche anno. Nel frattempo…

“Nel frattempo ci saranno danni, gente che chiude. I concessionari di moto a volte non ragionano, pensano solo al margine. Un nostro concessionario ha un margine del 20%, che considero onesto, e condizioni di lavoro buone: nessuna pressione da parte nostra. Quando arriva gente che gli propone margini del 40% o del 50%, non si chiede cosa non va, chi fa l’assistenza, i ricambi... e poi trova gli stessi scooter dal benzinaio e dal panettiere in fondo alla strada, che li vendono a meno. Per i concessionari in questo momento non è facile: su certi prodotti hanno margini fasulli che si riflettono in problemi senza fine, su altri che vendono bene hanno margini bassissimi. C’è concorrenza selvaggia, con il risultato che molti abbassano la serranda. Persino nelle grandi città.”

© RIPRODUZIONE RISERVATA