Intervista a Romano Pisi, direttore commerciale e del marketing di Sym Italia.
Pronti a sfondare
Trent’anni di esperienza nella vendita di moto: prima in Piaggio (con
un periodo passato negli Stati Uniti), poi in Guzzi come responsabile di
tutti i mercati esteri e infine, dopo un breve periodo di attività indipendente,
a dirigere la filiale italiana di Sym, la Casa taiwanese che in patria
fa da contraltare a Kymco ma che in Italia è meno conosciuta. Romano Pisi
è uno che ha girato il mondo, e riesce a vedere le cose in una prospettiva
più ampia.
Cosa manca a Sym per sfondare?
“Diciamo che non considero Kymco un concorrente, ma la dimostrazione di
quello che si può fare. A Taiwan Kymco, Sym e Yamaha si giocano la leadership
per volume un anno per l’altro, sono aziende comparabili. In Italia,
invece,
mentre Kymco ha trovato un distributore con il quale ha grande sintonia
e stabilità, Sym ha fatto in passato scelte infelici che ne hanno penalizzato
anche l’immagine. Il solco si è creato con il boom degli scooter di fine
anni ’90: Kymco è riuscita a trovarsi nel posto giusto al momento giusto,
Sym quel treno lo ha perso. Ma stiamo recuperando terreno, e quest’anno
puntiamo a chiudere al decimo posto in Italia. In un mercato che cala del
7%, noi in questi mesi siamo cresciuti del 20%.”
Richieste che contano
Sym ha addirittura creato una filiale italiana, segno che ci crede.
“Assolutamente. Bisogna considerare che per un’azienda taiwanese il
mercato
italiano è numericamente irrilevante, e per di più atipico: siamo gli unici
che amano il ruota alta e il maxi. Non è facile far capire loro che devono
spendere denaro e attenzione per vendere ‘poco’: da noi un successo
vale
2.000 pezzi l’anno, per loro un buon prodotto deve farne 2.000 al
mese…
ma quello che dico sempre alla dirigenza è: l’Asia vi consente di fare
tutti i volumi che volete, ma l’Europa è un biglietto da visita.”
E si sono convinti?
“Piano piano, vedendo che quello che avevamo previsto si sta realizzando.
Ora abbiamo volumi interessanti, partivamo da 500 pezzi nel 2002 e ne abbiamo
fatti 8.400 nel 2007. L’apertura della filiale ha fatto fare il salto
di qualità e di volumi: quest’anno puntiamo a 12.000 unità grazie alla
spinta del CityCom 300, disegnato e sviluppato praticamente tutto in Italia,
e del Fiddle. Le nostre richieste ora pesano.”
Per un Marchio relativamente nuovo come il vostro il problema è di farsi
conoscere prima di essere confuso con i cinesi. Per voi è fatta?
“No, non ancora. Stiamo spingendo moltissimo sul prodotto e sul logo,
per evitare confusione sulla nostra identità, e la strada mi sembra in
discesa. Ma finché non avremo completato la gamma e fatto volumi che ci
diano visibilità in giro per le strade, non siamo al sicuro. A occhio il
giro di boa e tra i 15.000 e i 20.000 scooter all’anno. Ci vorrà ancora
un paio d’anni.”
Progetti futuri
Come completerete la gamma?
“Oggi abbiamo qualche buco, che intendiamo chiudere al più presto. Stiamo
chiedendo pressantemente un ruota alta entry-level 50÷125, che arriverà
a Milano. A Milano ci saranno anche il nuovo JoyRide, che dopo 7 anni di
onorata carriera è un po’ stanco, e un restyling del JoyMax 250, un
prodotto
ottimo che forse ha pagato una linea addirittura troppo personale, dal
momento che Sym non è ancora trendsetter, e per ora fa meglio a seguire
gli altri. A breve avremo anche qualche ruota alta e saliremo con le cilindrate
a 400÷600 cc. A Taiwan hanno investito molto su un 560 da ATV che può benissimo
essere trapiantato su uno scooter: mi aspetto che avvenga a breve, anche
perché il CityCom non ha una pedana piatta come avevamo chiesto, ma un
tunnel centrale, e ci hanno detto che è ‘per sopportare motori più
grandi’…”
Solo prodotti garantiti
Siete comunque molto prudenti.
“Sì, ma quello che mi piace di Sym è proprio questo. Il CityCom era pronto
due mesi fa, poi però si sono accorti che c’era qualche piccolo difetto,
hanno fermato la linea, smontato lo scooter e chiamato i fornitori per
risolverlo. I concessionari mi hanno fatto nero, ma i clienti stanno imparando
a riconoscerci la maturità dei prodotti, che arrivano sul mercato senza
problemi di gioventù. È per questo motivo che non siamo ancora arrivati
al 500.”
Il miglior maxi
Andrete oltre il 500, come Kymco?
“È possibile: se da Taiwan mi propongono un 700, io lo vendo. Ma
obiettivamente,
a cosa serve? Perde i vantaggi dello scooter e non ha le caratteristiche
della moto. Secondo me il 400 è la cilindrata ideale per un maxi, perché
l’utilizzatore dello scooter è l’erede dell’utilizzatore
della Vespa:
ci va al lavoro, difficilmente ci va in vacanza. Gli oltre 500 sono solo
esibizioni muscolari.”
Taiwanesi e concorrenti
Lei conosce bene le aziende italiane: che valutazione fa di quelle taiwanesi?
“Hanno pregi e difetti, ma sono aziende con un potenziale devastante.
Il loro limite, che è anche la salvezza di quelle italiane, è di essere
ancora troppo legate ai volumi, il che le porta a capire con fatica le
esigenze di mercati, diciamo così, di prestigio. I taiwanesi sanno essere
decisamente reattivi, ma solo se hanno la prospettiva di grandi volumi.
Diversamente, lo sono meno. Forse Kymco ha superato questa fase, grazie
anche all’abilità dell’importatore.
Mercati pericolosi
Tornando ai cinesi: che ne pensa?
“Mi fa male vedere la direzione che ha preso il mercato, con la gente
che esce di casa e si porta a casa lo scooter dal supermercato senza pensare,
come un pacchetto di biscotti. Io sono in questo settore da 30 anni, ho
visto di tutto. Oggi vedo un nuovo Marchio al mese, e di solito
l’importatore
non è mai qualcuno che conosco. È gente che di questo settore non sa nulla.
Vi dico una cosa: Sym ha una fabbrica in Cina, con management al 100% taiwanese
e controllo sul 100% della produzione. Noi da questa fabbrica, considerando
dazi e trasporto, riusciamo a ottenere uno scooter che vendiamo a 1.300÷1.400
euro, non meno. Quando vedo uno scooter a 700 euro, mi chiedo come fanno:
se il costo della manodopera è lo stesso, vuol dire che risparmiano sui
controlli, sui materiali. E sulla distribuzione, certo: ma i loro veicoli
sul mercato dell’usato non esistono, non li ritira nessuno. E un
concessionario
che deve fare garanzia a uno scooter che non ha venduto lui, ma che arriva
da un supermercato, lo metterà di sicuro in coda.”
Quindi il fenomeno si esaurirà da solo?
“Forse no, ma mi impressionano più Paesi come il Vietnam, con la sua
enorme
voglia di imparare, o l’India. La Cina mi sembra già un po’
‘bruciata’.
Hanno fondamentalmente problemi di materiali, non di capacità: risolverli
non è difficile: basta spendere di più. Ma a quel punto i loro prezzi non
saranno più così lontani dai nostri…”
Forse fra qualche anno. Nel frattempo…
“Nel frattempo ci saranno danni, gente che chiude. I concessionari di
moto a volte non ragionano, pensano solo al margine. Un nostro concessionario
ha un margine del 20%, che considero onesto, e condizioni di lavoro buone:
nessuna pressione da parte nostra. Quando arriva gente che gli propone
margini del 40% o del 50%, non si chiede cosa non va, chi fa l’assistenza,
i ricambi... e poi trova gli stessi scooter dal benzinaio e dal panettiere
in fondo alla strada, che li vendono a meno. Per i concessionari in questo
momento non è facile: su certi prodotti hanno margini fasulli che si riflettono
in problemi senza fine, su altri che vendono bene hanno margini bassissimi.
C’è concorrenza selvaggia, con il risultato che molti abbassano la
serranda.
Persino nelle grandi città.”