L'evoluzione del telaio nel tempo: dall'ingombro massimo verso la totale scomparsa
Telaio elemento di studio
Cos’hanno in comune la Bimota Tesi
3D, la Vyrus, la BMW HP2 Sport e la Ducati Desmosedici? D’accordo, sono
supersportive. Ma in comune hanno quello che… non hanno: il telaio.
Intendiamoci:
non è che ci abbiano rinunciato del tutto. Però nessuna di queste moto,
che spaziano da 80 a 200 CV, possiede un telaio nel senso più tradizionale
del termine: si va dal corto elemento ad Omega di Tesi e Vyrus, al minuto
scheletro della HP2 Sport, fino al cortissimo traliccio della Desmosedici
RR: e gli esempi potrebbero continuare, perché Honda ha drasticamente
semplificato
(da 9 a 4 pezzi) il telaio della CBR 1000 RR, riducendone il peso di 2,5
kg e pare abbia in mente idee ancora più radicali per l’erede della VFR,
che già ora ha il motore parzialmente portante. Per non parlare dei sostenitori
dello schema Elf-Bimota Tesi, che sembrano aver ripreso coraggio. E allora
dove sta finendo il telaio?
Ai primordi
AI PRIMORDI La prima volta che
si disse chiaro e tondo che del telaio si poteva anche fare a meno fu nel
1978, quando André De Cortanze, il padre del progetto Elf, costruì il primo
prototipo con le sospensioni infulcrate direttamente sui carter motore.
A trent’anni di distanza il suo esperimento è rimasto piuttosto isolato,
eppure la tendenza alla riduzione del telaio è piuttosto chiara, come diventa
evidente se consideriamo l’evoluzione delle supersportive negli ultimi
10 anni. Segna la svolta la prima Yamaha R1 del 1998, che ridefinisce le
regole del segmento con il suo motore molto compatto per lasciare spazio
all’allungamento del forcellone. Il nuovo imperativo diviene, quindi,
telaio corto e forcellone lungo.
Yamaha fu ispiratrice
YAMAHA FU ISPIRATRICE La stessa Yamaha aveva varato l’era moderna
per i telai: quella delle strutture ipertrofiche iniziata per la produzione
di serie con la FZR 1000 del 1987, su cui debutta il celebre Deltabox.
Fino ad allora i telai erano dei monotrave o, nei casi migliori, dei doppia
culla i cui travi si raddrizzavano progressivamente in ossequio all’idea
che il miglior modo di congiungere cannotto di sterzo e perno del forcellone
fosse una linea retta. E dato che la linea retta era realizzabile con tubi,
estrusi e fusioni, dopo il Deltabox si vide più o meno di tutto. Le sezioni
cominciarono a crescere e con esse le rigidezze, a volte per pura fede
nella dottrina Yamaha, secondo la quale da un aumento di rigidezza ci si
guadagnava sempre, picchè con esso si isolava meglio il lavoro delle sospensioni
da ciò che accadeva in zona motore. Questa dottrina è rimasta valida a
lungo: in particolare per Yamaha, come vedremo in seguito.
Tendenze in controtendenza
TENDENZE IN CONTROTENDENZA Dal
1987 ad oggi, le potenze sono cresciute di gran lunga – ai medi anche
più che agli alti – insieme con i regimi di rotazione, divenuti ormai
stratosferici soprattutto sulle 600. I telai, però, non sono cresciuti
in proporzione, anzi si sono compattati e alleggeriti. Già da qualche anno
la corsa all’aumento delle rigidezze si è fermata, e in più di un caso
i valori sono addirittura decresciuti sia in corsa che in produzione:
generalmente,
si dichiara che queste modifiche regalano “maggior guidabilità” alla
moto. In attesa di definire rigorosamente il concetto di guidabilità, possiamo
provare a capire cosa voglia dire questa frase.
Frontiere della scienza
FRONTIERE DELLA SCIENZA: IL CALCOLO
Con l’affinamento delle conoscenze e il miglioramento degli strumenti
di calcolo, si è iniziato a investigare il rapporto tra rigidezza del telaio,
comportamento delle sospensioni e caratteristiche degli pneumatici. Si
è scoperto che dato un certo schema di sospensioni – fondamentalmente
lo stesso per tutti sia in gara che nella produzione di serie, BMW Vyrus
e Tesi a parte – non è detto che un aumento della rigidezza faccia sempre
bene, perché la rigidezza deve sposarsi con il funzionamento delle sospensioni
e il comportamento degli pneumatici. Per esempio in frenata è centrale
la rigidezza flessionale del telaio, che data una certa forcella fa lavorare
la gomma anteriore in un modo o in un altro. Poiché i giapponesi sono stati
di fatto gli unici costruttori di maxi sportive fino alla fine degli anni
Novanta, con la notevole eccezione della Ducati dall’architettura
completamente
differente, sono arrivati a conclusioni largamente simili, che si traducevano
in valori di rigidezza allineati.
Negli ultimi 10 anni, quindi, l’unica eccezione è stata costituita da
Yamaha che ha continuato a seguire la sua filosofia mantenendo valori pari
a circa il 250% della media degli altri. Questa idea ha però mostrato dei
limiti soprattutto in corsa, con i problemi in staccata di Rossi nelle
prime stagioni con la M1. Ma poi i problemi di Valentino si sono risolti
e guarda caso anche la rigidezza flessionale della R1, a partire dal m.y.
2007, è rientrata nei ranghi. Segno che, dato lo stato attuale di gomme
e sospensioni, anche il comportamento del telaio è soggetto a certi limiti.
Elemento vincente
ELEMENTO VINCENTE: LA TRAZIONE
Prendiamo la MotoGP. Il fatto che la Ducati abbia vinto con il traliccio
vuol dire che le prestazioni del traliccio in acciaio sono ormai equivalenti
a quelle dell’alluminio; ma anche, se rovesciamo il ragionamento, che
queste prestazioni sono relativamente poco importanti. Per mantenere il
traliccio competitivo con l’alluminio in termini di rapporto tra rigidezza
e peso, infatti, Ducati ha dovuto sfruttare più di altri la funzione strutturale
del motore, all’opposto della dottrina Yamaha originale secondo cui il
motore dev’essere isolato dalle sospensioni. E in generale la tendenza
odierna è quella di far collaborare maggiormente il motore, aumentando
i punti di attacco al telaio, con uno spostamento del peso dal telaio al
forcellone. Quest’ultimo è il vero elemento critico: è ormai risaputo
come un suo allungamento limiti la tendenza della moto all’impennata:
proprio la prima YZF-R1 con il suo lunghissimo forcellone fece scoprire
un mondo nuovo in termini di trazione. E la tendenza è tuttora in atto:
rispetto a quello del 1998, il forcellone R1 è passato da 574 a 610 mm,
mentre la Ducati (il cui motore è strutturalmente molto lungo) è passata
dai 470 mm della 916 ai 505 mm della 1098. In MotoGP si lavora sopra i
640 mm, fino a 660÷665 mm: al punto che i fornitori di catene, che normalmente
fornivano catene con 120 maglie da tagliare alla lunghezza desiderata,
sono costretti a produrre catene più lunghe, in quanto la lunghezza standard
corrisponde ormai a 120-122 maglie.
Problema e soluzione
PROBLEMA COLLEGATO, SOLUZIONE IN
VISTA A fronte del vantaggio offerto dalla trazione c’è però un
problema:
il forcellone è soggetto a forze “spaziali”, che agiscono in tutte
le
direzioni dello spazio: è compresso in accelerazione, mentre in staccata
e piega flette e torce. Per far fronte a queste forze, però, dispone di
una geometria essenzialmente “piana”. Allungarlo vuol dire
peggiorare
le cose, di conseguenza nel campo dei forcelloni in questi anni si gioca
una battaglia importante. Il forcellone non può chiedere al motore di
collaborare
come fa il telaio, ma deve cavarsela da solo: ecco perché, se il telaio,
accorciato e spalleggiato dal motore, può lentamente alleggerirsi, il forcellone
non può che complicarsi e appesantirsi con strutture composite e grandi
capriate di irrigidimento. Per limitare questa tendenza e i costi, soprattutto
i giapponesi stanno studiando nuove tecnologie di fusione che permettano
di abbinare la leggerezza degli scatolati alla libertà di forme e al costo
contenuto delle fusioni.
Dalla goma al nuovo telaio
ULTIMO FRONTE: DALLA GOMMA AL NUOVO
TELAIO Grandi novità sono all’orizzonte per quanto riguarda le
gomme
e, soprattutto, le sospensioni. Queste novità si ripercuoteranno verosimilmente
anche sulla geometria dei telai, che potrebbe diventare molto diversa da
quella consueta: il prototipo Aprilia FV2 ne è un’illustrazione lampante.
Pare probabile che arrivino nuovi materiali, come il magnesio e le fibre
composite; ma soprattutto, dovremo fare l’abitudine a strutture sempre
più esili, dove il motore tornerà a farla da padrone come sulle maxi giapponesi
degli anni Settanta. Per ora non si denunciano ancora casi di scomparsa.
Ma il momento potrebbe essere vicino.