27 February 2008

L'evoluzione del telaio nel tempo: dall'ingombro massimo verso la totale scomparsa

Cos’hanno in comune la Bimota Tesi 3D, la Vyrus, la BMW HP2 Sport e la Ducati Desmosedici? D’accordo, sono supersportive. Ma in comune hanno quello che… non hanno: il telaio. Intendiamoci: non è che ci abbiano rinunciato del tutto. Però nessuna di queste moto, che spaziano da 80 a 200 CV, possiede un telaio nel senso più tradizionale del termine: si va dal corto elemento ad Omega di Tesi e Vyrus, al minuto scheletro della HP2 Sport, fino al cortissimo traliccio della Desmosedici RR: e gli esempi

Telaio elemento di studio




Cos’hanno in comune la Bimota Tesi 3D, la Vyrus, la BMW HP2 Sport e la Ducati Desmosedici? D’accordo, sono supersportive. Ma in comune hanno quello che… non hanno: il telaio. Intendiamoci: non è che ci abbiano rinunciato del tutto. Però nessuna di queste moto, che spaziano da 80 a 200 CV, possiede un telaio nel senso più tradizionale del termine: si va dal corto elemento ad Omega di Tesi e Vyrus, al minuto scheletro della HP2 Sport, fino al cortissimo traliccio della Desmosedici RR: e gli esempi potrebbero continuare, perché Honda ha drasticamente semplificato (da 9 a 4 pezzi) il telaio della CBR 1000 RR, riducendone il peso di 2,5 kg e pare abbia in mente idee ancora più radicali per l’erede della VFR, che già ora ha il motore parzialmente portante. Per non parlare dei sostenitori dello schema Elf-Bimota Tesi, che sembrano aver ripreso coraggio. E allora dove sta finendo il telaio?

Ai primordi




AI PRIMORDI La prima volta che si disse chiaro e tondo che del telaio si poteva anche fare a meno fu nel 1978, quando André De Cortanze, il padre del progetto Elf, costruì il primo prototipo con le sospensioni infulcrate direttamente sui carter motore. A trent’anni di distanza il suo esperimento è rimasto piuttosto isolato, eppure la tendenza alla riduzione del telaio è piuttosto chiara, come diventa evidente se consideriamo l’evoluzione delle supersportive negli ultimi 10 anni. Segna la svolta la prima Yamaha R1 del 1998, che ridefinisce le regole del segmento con il suo motore molto compatto per lasciare spazio all’allungamento del forcellone. Il nuovo imperativo diviene, quindi, telaio corto e forcellone lungo.

Yamaha fu ispiratrice




YAMAHA FU ISPIRATRICE
La stessa Yamaha aveva varato l’era moderna per i telai: quella delle strutture ipertrofiche iniziata per la produzione di serie con la FZR 1000 del 1987, su cui debutta il celebre Deltabox. Fino ad allora i telai erano dei monotrave o, nei casi migliori, dei doppia culla i cui travi si raddrizzavano progressivamente in ossequio all’idea che il miglior modo di congiungere cannotto di sterzo e perno del forcellone fosse una linea retta. E dato che la linea retta era realizzabile con tubi, estrusi e fusioni, dopo il Deltabox si vide più o meno di tutto. Le sezioni cominciarono a crescere e con esse le rigidezze, a volte per pura fede nella dottrina Yamaha, secondo la quale da un aumento di rigidezza ci si guadagnava sempre, picchè con esso si isolava meglio il lavoro delle sospensioni da ciò che accadeva in zona motore. Questa dottrina è rimasta valida a lungo: in particolare per Yamaha, come vedremo in seguito.

Tendenze in controtendenza




TENDENZE IN CONTROTENDENZA Dal 1987 ad oggi, le potenze sono cresciute di gran lunga – ai medi anche più che agli alti – insieme con i regimi di rotazione, divenuti ormai stratosferici soprattutto sulle 600. I telai, però, non sono cresciuti in proporzione, anzi si sono compattati e alleggeriti. Già da qualche anno la corsa all’aumento delle rigidezze si è fermata, e in più di un caso i valori sono addirittura decresciuti sia in corsa che in produzione: generalmente, si dichiara che queste modifiche regalano “maggior guidabilità” alla moto. In attesa di definire rigorosamente il concetto di guidabilità, possiamo provare a capire cosa voglia dire questa frase.

Frontiere della scienza




FRONTIERE DELLA SCIENZA: IL CALCOLO Con l’affinamento delle conoscenze e il miglioramento degli strumenti di calcolo, si è iniziato a investigare il rapporto tra rigidezza del telaio, comportamento delle sospensioni e caratteristiche degli pneumatici. Si è scoperto che dato un certo schema di sospensioni – fondamentalmente lo stesso per tutti sia in gara che nella produzione di serie, BMW Vyrus e Tesi a parte – non è detto che un aumento della rigidezza faccia sempre bene, perché la rigidezza deve sposarsi con il funzionamento delle sospensioni e il comportamento degli pneumatici. Per esempio in frenata è centrale la rigidezza flessionale del telaio, che data una certa forcella fa lavorare la gomma anteriore in un modo o in un altro. Poiché i giapponesi sono stati di fatto gli unici costruttori di maxi sportive fino alla fine degli anni Novanta, con la notevole eccezione della Ducati dall’architettura completamente differente, sono arrivati a conclusioni largamente simili, che si traducevano in valori di rigidezza allineati.

Negli ultimi 10 anni, quindi, l’unica eccezione è stata costituita da Yamaha che ha continuato a seguire la sua filosofia mantenendo valori pari a circa il 250% della media degli altri. Questa idea ha però mostrato dei limiti soprattutto in corsa, con i problemi in staccata di Rossi nelle prime stagioni con la M1. Ma poi i problemi di Valentino si sono risolti e guarda caso anche la rigidezza flessionale della R1, a partire dal m.y. 2007, è rientrata nei ranghi. Segno che, dato lo stato attuale di gomme e sospensioni, anche il comportamento del telaio è soggetto a certi limiti.

Elemento vincente




ELEMENTO VINCENTE: LA TRAZIONE Prendiamo la MotoGP. Il fatto che la Ducati abbia vinto con il traliccio vuol dire che le prestazioni del traliccio in acciaio sono ormai equivalenti a quelle dell’alluminio; ma anche, se rovesciamo il ragionamento, che queste prestazioni sono relativamente poco importanti. Per mantenere il traliccio competitivo con l’alluminio in termini di rapporto tra rigidezza e peso, infatti, Ducati ha dovuto sfruttare più di altri la funzione strutturale del motore, all’opposto della dottrina Yamaha originale secondo cui il motore dev’essere isolato dalle sospensioni. E in generale la tendenza odierna è quella di far collaborare maggiormente il motore, aumentando i punti di attacco al telaio, con uno spostamento del peso dal telaio al forcellone. Quest’ultimo è il vero elemento critico: è ormai risaputo come un suo allungamento limiti la tendenza della moto all’impennata: proprio la prima YZF-R1 con il suo lunghissimo forcellone fece scoprire un mondo nuovo in termini di trazione. E la tendenza è tuttora in atto: rispetto a quello del 1998, il forcellone R1 è passato da 574 a 610 mm, mentre la Ducati (il cui motore è strutturalmente molto lungo) è passata dai 470 mm della 916 ai 505 mm della 1098. In MotoGP si lavora sopra i 640 mm, fino a 660÷665 mm: al punto che i fornitori di catene, che normalmente fornivano catene con 120 maglie da tagliare alla lunghezza desiderata, sono costretti a produrre catene più lunghe, in quanto la lunghezza standard corrisponde ormai a 120-122 maglie.

Problema e soluzione




PROBLEMA COLLEGATO, SOLUZIONE IN VISTA A fronte del vantaggio offerto dalla trazione c’è però un problema: il forcellone è soggetto a forze “spaziali”, che agiscono in tutte le direzioni dello spazio: è compresso in accelerazione, mentre in staccata e piega flette e torce. Per far fronte a queste forze, però, dispone di una geometria essenzialmente “piana”. Allungarlo vuol dire peggiorare le cose, di conseguenza nel campo dei forcelloni in questi anni si gioca una battaglia importante. Il forcellone non può chiedere al motore di collaborare come fa il telaio, ma deve cavarsela da solo: ecco perché, se il telaio, accorciato e spalleggiato dal motore, può lentamente alleggerirsi, il forcellone non può che complicarsi e appesantirsi con strutture composite e grandi capriate di irrigidimento. Per limitare questa tendenza e i costi, soprattutto i giapponesi stanno studiando nuove tecnologie di fusione che permettano di abbinare la leggerezza degli scatolati alla libertà di forme e al costo contenuto delle fusioni.

Dalla goma al nuovo telaio




ULTIMO FRONTE: DALLA GOMMA AL NUOVO TELAIO Grandi novità sono all’orizzonte per quanto riguarda le gomme e, soprattutto, le sospensioni. Queste novità si ripercuoteranno verosimilmente anche sulla geometria dei telai, che potrebbe diventare molto diversa da quella consueta: il prototipo Aprilia FV2 ne è un’illustrazione lampante. Pare probabile che arrivino nuovi materiali, come il magnesio e le fibre composite; ma soprattutto, dovremo fare l’abitudine a strutture sempre più esili, dove il motore tornerà a farla da padrone come sulle maxi giapponesi degli anni Settanta. Per ora non si denunciano ancora casi di scomparsa. Ma il momento potrebbe essere vicino.

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