Namibia
Introduzione
Tre giorni in Namibia, uno dei posti
più belli del pianeta; sono bastati per intuire che, nella vita, la vera
ricchezza è poter conoscere il mondo. Ad esempio immergendosi nella magia
dell’Africa per provare una moto in condizioni particolari.
Arrivare a Windhoek, capitale della Namibia
ai confini del Sudafrica, vuol dire stare in ballo per un giorno intero
di viaggio ma alla fine, la fatica viene ampiamente ripagata: non appena
si apre il portellone dell’ultimo aereo una luce accecante e un secco
tepore t’investono.
Mi trovo da solo, perché il fotografo Alessio
Barbanti è impegnato nella gara d’apertura del mondiale GP in Giappone
e così, come da programma, mi raggiungerà solo il giorno successivo. Ad
accogliermi all’aeroporto di Whindoek c’è Jehan, ragazza gentile e
premurosa
che, in accordo col tour operator Mototouring di Milano, mi da una grossa
mano nello sbrigare la prassi burocratica dello sdoganamento della moto.
Per “scartare” il mio carico , invece, devo vedermela da solo! La
CapoNord
“dorme” in una cassa di legno enorme, con la ruota anteriore e il
cupolino
smontati. Come attrezzi a disposizione ho solo la trousse di serie
(fornitissima,
ma come in tutte le moto non sempre di qualità), e una chiave da 30 mm
che mi sono portato da casa per togliere e rimettere il grosso perno della
ruota.
L’operazione è lunghissima e mi costa
l’efficienza del ginocchio sinistro, ma alla fine rendo la CapoNord
marciante.
Il problema è che non riesco ad appoggiare a terra il piede
sinistro.Salito
in sella, estraggo il cavalletto laterale con la mano sinistra (servendomi
come prolunga di una bottiglietta da mezzo litro d’acqua) e mi dirigo
all’albergo in città (42 km all’aeroporto). Jehan mi segue in auto
portandomi
i bagagli. Qui inizia il mio piccolo calvario personale: cosa faccio adesso?
Rassicuro la ragazza e mi chiudo in camera, provando tutte le tecniche
per allungare la gamba, ma provo solo dolore e il ginocchio rimane beatamente
“inchiodato”. Scendo, saltellando, per acquistare un antidolorifico
in
farmacia, ma è già chiusa. Torno in stanza, riprovo a distendere la gamba,
ma la situazione è critica. Come inizio del viaggio, non è male…
Montagne-deserto
La mattina seguente il primo pensiero è noleggiare un paio di stampelle.
Ma poi, in moto, dove le metto? Al diavolo, ci penserò dopo. Ora devo andare
a prendere Alessio Barbanti all’aeroporto; salendo in moto mi succede
una cosa strana: pensavo di soffrire, invece con la gamba piegata guido
benissimo. Arrivo all’aeroporto, mi fermo, faccio manovra per
parcheggiare,
perdo un attimo l’equilibrio e, per non cadere, istintivamente distendo
di colpo la gamba.
Sento come rompersi qualcosa dentro al ginocchio mentre un lampo di dolore
mi obnubila la mente ma, come d’incanto, la gamba ritorna dritta. Salutato
Alessio, affittiamo l’auto d’appoggio.
Facciamo per partire, ma il motorino d’avviamento è muto: il pulsante
di massa fa i capricci, forse danneggiato durante il trasporto
dall’Italia.
Lo smonto e faccio contatto direttamente con i fili per partire. Poi arrivano
i fiori, le colline verdi, le montagne più alte dalla tinta brunita: non
sembra certo l’Africa che m’immaginavo. L’Aprilia CapoNord, è
una favola.
Il cielo all’orizzonte si fa scuro, minaccioso. Mi fermo a mettere i
pantaloni
imbottiti. Inizia a piovere. L’asfalto diventa subito una lunga striscia
saponosa, ogni sorpasso diventa un po’ come una roulette russa. Per
fortuna
la “millona” Aprilia non è brusca nel trasmettere la potenza a
terra,
e così non ci sono sorprese quando si da’ troppo al gas. Arriviamo al
primo bivio ma, sorpresa, la strada prosegue sterrata! Viaggio tra i 120
e i 140 km/h costanti. In Italia sarebbe impensabile una simile velocità
su questo fondo, ma qui è normale. A un certo punto viene giù troppo forte
e ci fermiamo nel cortile di una fattoria dove aspettiamo che spiova un
po’. Ripartiamo, e dopo dieci minuti il cielo si oscura completamente.
Ai bordi c’è fitta vegetazione, ho paura che mi spunti
all’improvviso
un animale selvatico. La benzina inizia a scarseggiare, troviamo un cartello
che indica un letto deviando a 20 km, ma siamo ancora lontano ed è troppo
rischioso allontanarci così. Proseguiamo e finalmente oltrepassiamo le
montagne, imboccando di nuovo la strada principale dove, poco dopo, la
cartina segnala un distributore (Solitaire) che è attrezzato con dei posti
letto. La nostra stanza è una baracca rotonda in lamiera che ospita però
due letti accoglienti.
La mattina dopo, sveglia alle cinque, tazza di caffè con fetta di torta e via. Attorno sembra Irlanda: manti d’erba alta e argentata si piegano alla brezza mattutina, formando colline tonde come cuscini. Poi arrivano montagne rocciose dapprima nere e poi rosse, di seguito ancora più scure: non ho mai visto un paesaggio tanto mutevole nell’arco di pochi km. La CapoNord è un orologio: tra le maxi enduro è la più bilanciata, quella che ha la resa migliore per compromesso tra prestazioni e facilità di guida. Apprezzo la silenziosità del bicilindrico mille, anche se continuo a pensare che il suo fruscio della distribuzione non rende giustizia alla potenza del mezzo. La temperatura sale e dai fianchi della CapoNord, specie quello sinistro, esce abbastanza calore. Ma questa, forse, è l’unica “pulce” (non si può definire certo un difetto) che riesco a trovare a questa moto. La CapoNord è veramente centrata, si guida bene, entra rotonda in curva e ne esce altrettanto fluidamente. L’avantreno è solido, i due “pali” Marzocchi da 50 mm sono una garanzia e la taratura delle sospensioni è un buon compromesso fra il confort e ciò che ci vuole per la guida spinta. Sulle compressioni in velocità il retrotreno tampona abbastanza facilmente, ma le cose migliorano indurendo il precarico della molla (vista la comodità della manopola, riesco a farlo perfino in movimento).
Il raggio di sterzata è ottimo: la ETV è grossa, ma regala manovre disinvolte. Intanto arriviamo al Parco: bisogna pagare pochi dollari namibiani (circa 300 lire l’uno) ed entriamo (uscita obbligatoria alle 18,00 però). Stupore, la strada è asfaltata. Va dentro per circa 50 km, ma poi finisce e bisogna farla a ritroso. Arriviamo alla zona sterrata quando il sole inizia a scendere e i colori si ravvivano: è il momento di scattare la copertina! Trovo il pendio giusto e inizio la giostra: curvoni di seconda piena di traverso. Alla fine però mi appoggio per terra e una volta rialzata, la moto non riparte più. Siamo sulla sabbia soffice, dobbiamo ancora scattare e per di più i cancelli chiudono fra un’ora. Spariamo scatti su scatti, ma il tempo stringe: restando solo 15 minuti e il cielo si fa scuro. Tiriamo come pazzi: a 170/180 km/h la CapoNord fila precisa, stabile, e la frenata pronta mette addosso sicurezza.
Ultimo giorno. Sveglia di nuovo alle cinque.
La CapoNord ha un’ergonomia perfetta: la sella anatomica è imbottita il
giusto, le pedane sono centrate e il manubrio flette le braccia di quel
tanto che serve per sentirsi padroni della guida. Con questo assetto macino
chilometri su chilometri senza accusare stanchezza. E’ incredibile, il
paesaggio continua ancora a cambiare. Si attraversa anche un grande canyon,
solcato da un fiume in secca, per poi “planare” su una serie di
colline
che sembrano ricoperte di velluto come il green di un campo da golf. Tornati
in pianura provo, per pochi attimi, a fare una puntata oltre i 200 km/h
indicati. Non mi era mai capitato di fare una simile velocità su sterrato.
Alessio sta staccato, così non ci facciamo polvere, e questa volta mi segue
con una tanica di rimedio colma di carburante. La spia arancione della
riserva è accesa da troppo, se rimango asciutto poi diventa più laborioso
accendere la moto a spinta e così mi fermo ad aspettare il mio compagno.
Mi preoccupo e mi accuccio per terra ad aspettarlo. Inizio a pensarle tutte,
anche le più brutte. Si ferma un pulmino: scende una guida e mi dice che
il mio socio sta bene, ma ha danneggiato l’auto e non può proseguire;
tuttavia, avendo trovato soccorsi, mi conviene aspettare.
Ci mancava anche questa… Poco dopo Alessio arriva con una famiglia
tedesca,
ha con sé tutti i bagagli impolverati (sono volati fuori dall’auto) tranne
la tanica che nel volo si è svuotata. E’ panico. Ora come faccio? Arrivano
delle moto. Le fermo, chiedo due litri di benzina: me li danno. E adesso,
come accendo la CapoNord? Non c’è altra soluzione: salgo su una Triumph
Tiger e spingo Alessio che guida l’Aprilia con il piede, pratica da
vecchio
endurista. Giungiamo in piccolo aeroporto dove possiamo noleggiare
un’altra
auto, distendere i nervi e ripensare ai bellissimi 1600 chilometri
percorsi…