Liguria - La Via del Sale

Sogno tassellato

Introduzione


Spiegare a parole perché ogni fuoristradista sogna di fare almeno una volta nella vita la Via del Sale non è facile. E’ un desiderio che per avere dentro di se basta amare le ruote artigliate. Non è una sfida con se stessi o un estenuante competizione, ma più semplicemente uno dei più bei fuoristrada che si possano fare.

Noi abbiamo vissuto questa esperienza in modo forse anomalo per i puristi dell’off-road, facendo le “scope”, quelli che chiudono il gruppo, ma non per questo è stato meno bello o  scontato. “Mario dammi un pizzicotto, sto sognando…”, “sì, ma prima fammi fare un’altra foto”. Tutti così i quasi 40 km di leggera salita in costa che portano al Colle di Sampeyre.  Che noi percorriamo a gas costante lungo una carrareccia abbastanza larga ma con il fondo un po’ appesantito dalla pioggia caduta nel pomeriggio, mentre noi ci scaldavamo con un tè in un bar di fondovalle.
Il limite degli alberi è cento metri più in basso, l’orizzonte è lontano e intorno a noi solo montagne e cielo. I colori sono stupendi e il tramonto brucia le nuvole che hanno bagnato chi ci ha preceduto..
L’enduro è questo e molto altro ancora. Percorrendo i sentieri della Via del Sale, non è raro provare sensazioni simili o trovarsi in luoghi meravigliosi, lontani dalle grandi città, dal traffico, dal caos..  Tanto che avuto l’ok della partecipazione, l’eccitazione è stata tale che, complici anche gli immancabili e fantastici racconti degli amici, Mario (il fotografo) in primis, abbiamo deciso di raggiungere Diano Marina direttamente in moto, tanto per rendere il tutto ancora più “storico”. Degli amici che avrebbero dovuto imitarci, però, solo uno ci ha seguiti anche nel trasferimento stradale. Peccato però che la Yamaha XT500 del ‘79 con la quale aveva deciso di affrontare il tour non potesse superare i 100 all’ora…

Il primo giorno




Cominciamo la discesa con il buio e affrontiamo i tornanti su asfalto piuttosto allegri (la mattina seguente scopriremo che qualcuno lo ha fatto sin troppo e parteciperemo al recupero del suo “Kappa” finito nella scarpata). Quando raggiungiamo il campeggio a Pontechianale ci appropriamo di un piccolo appezzamento sul campo di bocce e, speranzosi, andiamo a mangiare: i cuochi dell’organizzazione ci stavano aspettando e con loro anche la nostra dose di polenta e spezzatino.
I nostri compagni di strada sono stati molto più rapidi di noi nel montare le tende, lavarsi la polvere di dosso e andare in paese in cerca di un bar per concludere la giornata; io e Mario, si sa, siamo due “bradipi” e così, quando belli e profumati varchiamo la soglia del campeggio, incontriamo gli altri che stanno già rientrando.
Ci infiliamo in un postaccio con musica a palla, beviamo due tisane e rientriamo per la notte, che sarà piuttosto fredda (siamo a 1600 m) e ’umidità, ma la fatica non ci lascerà nemmeno il tempo della “buonanotte”. La partenza della gara era stata emozionante: più di 400 moto di ogni tipo, dal bicilindrico con passeggero al 2T da gara, e persino un drappello di quad,  sono partite in stile Marcialonga a gruppi di dieci per volta, con intervalli di un paio di minuti. Per quasi tutti lo spirito era il medesimo e il serpentone che si spostava lungo i veloci sterrati e i contorti asfalti ne era la prova. Prima di raggiungere il Sampeyre avevamo superato il Passo del Ginestro, il colle Savaion, il Melogno e il Pratorotondo, e di queste immagini erano ora popolati i nostri sogni nella notte di Pontechianale.
La tenda è affascinante, non c’è dubbio, ma alle 6 di mattina non sai più dove nascondere la testa
per evitare la luce. Ma nonostante la levataccia riusciremo comunque ad arrivare in ritardo per la partenza, alle 8 e mezza: la “vita da scopa” ricomincia. E noi ancora ignoravamo ciò che sarebbe successo poco dopo..

Il secondo giorno



Dopo una quarantina di chilometri e le infinite esse della strada che scende il canyon del Vallone di Elva, prendiamo la carrareccia che porta al Colle del Mulo, in compagnia, nel primo tratto, di automobilisti e poveri ciclisti impolverati. È sicuramente dalla maledizione di uno di loro che nasce il primo guasto alla Suzuki DR di Mario: al momento di ripartire da una sosta acqua + foto il cavo dell’accelleratore si spezza.
In un’altra occasione non sarebbe stato un problema in quanto il suo zainetto è più fornito delle mutande di Eta Beta, ma questa volta la scorta di cavi era rimasta nei bagagli che l’organizzazione si prendeva cura di trasportare dalla partenza all’arrivo. Dopo quasi un’ora riusciamo comunque a sistemare le cose adattando il cavo di una Honda XR di uno dei nostri compagni.

Un giro non è un giro senza qualche problema...

Il gruppo riparte, ma dopo un’altra mezz’ora è di nuovo fermo: il Supertrapp che annunciava l’arrivo di Mario si è improvvisamente ammutolito ed è scomparsa anche la scia di polvere che lo seguiva. Lasciamo le moto e, a piedi, torniamo verso di lui. Il carburatore sputa benzina e la moto non riparte. Ma all’improvviso da dietro la curva, compaiono due sagome: uno di loro è Franco Carcheri, fratello dell’organizzatore della manifestazione, e meccanico. Smonta tutto in un attimo e il DR parte al primo colpo. Baci, abbracci e via. Gli inconvenienti sono finiti e, se aggiungiamo la leva del cambio spezzata il giorno prima al Colle del Melogno, non possiamo dire che il programma sia stato avaro di colpi di scena.
Non siamo neanche a metà percorso, ma i morsi della fame si fanno sentire: dopo una veloce e appagante discesa su asfalto, ci infiliamo in una pizzeria a Demonte. Sarà l’abbiocco post-pranzo, fatto sta che quando ripartiamo lo facciamo in direzione sbagliata e ce ne accorgiamo solo dopo una decina di chilometri. Riguadagnata la retta via, il ritardo sulla tabella di marcia è di quattro ore... L’avvicinamento a Limone Piemonte è però veloce e i 900 metri di dislivello per salire al Col di Tenda ce li godiamo tutti.

In cima riattacchiamo le maniche alle giacche ed entriamo in Francia percorrendo uno sterrato in quota sul quale si affacciano vecchi fortini di pietra. Il cielo si è coperto e i tuoni accompagnano la prima parte della discesa su Tenda. A poco a poco la strada si stringe e quando entra nel bosco si fa scalinata e tutta tornantini. L’andatura è spedita e quando giungiamo a La Brigue abbiamo guadagnato mezz’ora. Non facciamo in tempo
ad accorgercene che, dopo aver attraversato il paese fra cavalieri in armatura e ancelle in costume, ci accorgiamo di aver imboccato un sentiero che non coincide con le indicazioni del road-book che stiamo seguendo sin dalla partenza.
Quando ritroviamo le segnalazioni il ritardo è di nuovo tondo e a questo punto capiamo che difficilmente riusciremo ad arrivare a Imperia percorrendo tutto il tracciato. Infatti, in cima alla Colla di Samson, raggiunta per un divertente e veloce sterrato, ci imbattiamo in un gruppo di cacciatori che ci consiglia di tagliare verso il mare. Dopo una breve consultazione decidiamo a malincuore di rinunciare alla famosa galleria sulla strada per Colla San Bernardo: un lungo tunnel a gomito, buio pesto, che Mario aveva più volte descritto nei suoi racconti. La discesa verso Triora ci fa però dimenticare la rinuncia: lunga, veloce, e piena di dossi che invitano a staccare le ruote da terra. Un divertimento continuo.

Identikit del viaggio



Precisazioni, curiosità e notizie
Edizione: quinta, alla quale hanno aderito circa 500 partecipanti.
Spirito: non competitivo.
Dedicata a: chi è più interessato al panorama che al gesto atletico e chi ama gli asfalti di montagna.
Difficoltà:  è sufficiente possedere una minima esperienza off-road, comunque i pochi tratti più impegnativi (una lunga pietraia, una discesa stretta e tortuosa e una salita con profondi canali) possono essere evitati con deviazioni segnalate.
Lunghezza: 572 km di cui circa il 50% fuoristrada. Il percorso non presenta divieti ed è quindi praticabile anche al di fuori della manifestazione (neve permettendo)
Fondo: strade asfaltate, carrarecce, sentieri e mulattiere. Il fondo non è mai difficile, ad esclusione di un paio di passaggi su pietraia, peraltro aggirabili
Orientamento: non impegnativo. Alla partenza dei due giorni viene consegnato un road book che riporta i punti di riferimento principali, il chilometraggio progressivo, l’orario previsto e indicazioni particolari come i distributori di benzina. Inoltre ai bivi la direzione è indicata con fettucce.
Moto consigliata: enduro monocilindrica 4T, moto “totale” che permetta di godere anche dei tratti su asfalto
(Husky TE-E, Kappa LC4, Suzuki DR, Honda XR, Yamaha TT, Kawasaki KLX, tanto per capirci).
Abbiamo visto anche BMW GS, Honda Africa Twin, Transalp e addirittura una XLV750, alcuni persino con passeggero, ma non ci sentiamo di consigliare il genere.
Pneumatici Le gomme più indicate sono quelle che consentono trazione e direzionalità in fuoristrada ma anche sicurezza su asfalto (Continental Twinduro, Pirelli MT21, Michelin T63, e simili).

Autonomia:
bisogna essere in grado di percorrere minimo 90 km (le “divagazioni” sono a parte).
Inconvenienti comuni: gomme bucate, cavi spezzati, leve piegate.
Inconvenienti improbabili: un metro di filo di ferro arrotolato sul mozzo posteriore.
Dispersi: nessuno.
Feriti: qualche abrasione.
Ci è piaciuto: i paesaggi in quota, il fondo, tutti gli asfalti di montagna, il trasporto dei bagagli sino al campo e all’arrivo, l’organizzazione.
Costi: 80.000 lire l’iscrizione -assistenza e trasporto bagagli compresi-, 28.000 lire la cena di sabato sera a Pontechianale, 10.000 lire il posto camping per persona.
Prossima edizione: luglio 2002. Sono previsti sostanziosi cambiamenti e più km in fuoristrada.


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