Comparativa supersport 600 2003
Introduzione
Potenti, veloci, leggere. Le supersport
600 entusiasmano anche solo a guardarle. Merito di ciclistiche da race
replica, carenature attillatissime e codoni minimalisti. Efficacissime
sia in pista che su strada saranno le protagoniste del mercato. Le abbiamo
provate per voi e non sono mancate le sorprese.
Chi compra una media supersportiva 600
cosa cerca? Prestazioni assolute? Estetica
mozzafiato? Ciclistica
raffinata? Quale che sia la motivazione che sta per spingervi
all’acquisto
di una di queste meraviglie della tecnica vi capiamo perfettamente! Perfino
chi è abituato ai cavalli di una 1000 potrebbe rimanere affascinato e…
scendere di categoria!
Abbiamo effettuato questa comparativa
in pista (a Le Luc, in Francia) e su strada, per verificare
il rendimento al limite con piloti di diversa esperienza e
l’ecletticità
di mezzi che, per forza di cose, non verranno utilizzati solo tra i cordoli
dei circuiti.
Breve premessa sulle versioni scelte
per alcuni modelli. La Kawasaki ZX-6R esiste in due cilindrate:
599 cc, omologata per il campionato Supersport, e 636 cc, prodotta
in numeri maggiori perché destinata al “mercato di massa”. Abbiamo
quindi
scelto la seconda, perché sarà quella che più facilmente vedremo circolare
sulle nostre strade. L’unica bicilindrica, la Ducati 749, è
disponibile
in versione standard ed S. Hanno motore identico ma
la seconda ha la forcella con trattamento TiN, pedane ed
inclinazione del cannotto di sterzo regolabili e monoammortizzatore
Showa anziché Boge. Abbiamo optato per la versione S, in
configurazione
monoposto (e quindi con telaio reggisella in alluminio anziché acciaio),
per via del gap di potenza e peso nei confronti delle concorrenti giapponesi
a 4 cilindri.
Infine, nonostante ZX-6R ed R6 adottino
all’anteriore coperture nelle misure 120/65 e 120/60 (mantenute per la
prova su strada), per girare in pista abbiamo montato indistintamente
su tutte, pneumatici Pirelli Supercorsa (con mescola SC1
all’anteriore
e SC2 al posteriore) nelle misure 120/70 e 180/55. Il motivo
è la loro generale adozione nelle competizioni, anche sulle moto
che di serie montano misure diverse.
Alla guida
In sella alla Ducati 749 S il pilota sta abbastanza
“disteso”,
è quindi favorita la posizione accucciata dietro al cupolino, tuttavia
si guida meno caricati sui polsi rispetto alle concorrenti
giapponesi
perché l’assetto è più stradale, assomigliando in questo
alla Suzuki
GSX 600 R. Il serbatoio è stretto sui fianchi e l’ampia sella è poco
imbottita,
per la massima sensibilità nella guida sportiva ma a svantaggio
del comfort. Sono regolabili, su 5 posizioni, le pedane e, su 3
posizioni in senso longitudinale, il gruppo sella.
Grazie alla ridotta larghezza del motore bicilindrico, è quella con la
maggiore luce a terra, l’unica con la quale non abbiamo strisciato
le pedane sull’asfalto.
Sulla Honda CBR 600 RR la distanza sella-manubrio è ridottissima,
il casco sta quasi sopra la piastra superiore di sterzo, conferendo un
assetto che predilige la sensibilità sull’anteriore. Grazie
comunque
alla giusta triangolazione manubrio-sella-pedane le ginocchia non sono
costrette ad angolazioni eccessive. Come su tutte le concorrenti, i
semimanubri sono abbastanza aperti e poco inclinati, contribuendo a
mantenere il carico sui polsi a livelli più che tollerabili.
Dopo anni di ZX-6R comoda quanto una sport-touring, la nuova Kawasaki
è ora decisamente estrema: sella molto inclinata, alta da terra
e poco imbottita (fantastica in pista, scomoda su strada) e pedane alte
ed avanzate, tanto che in molti le preferiranno più arretrate. Un assetto
degno di una moto da competizione.
La Suzuki GSX-R 600 è simile, come assetto, alla Ducati 749, quindi
un po’ “seduta”. Il comfort generale è più che
accettabile ed
una volta in sella appare anche meno ingombrante di quanto sembri
a prima vista. Il serbatoio è troppo largo sui fianchi ma per il resto
la posizione di pedane e manubrio risulta comfortevole, a scapito
però della luce a terra che risulta ridotta e porta a toccare troppo
presto l’asfalto con le pedane.
Scordatevi la precedente Yamaha R6. L’estetica inganna e potrebbe
sembrarvi sostanzialmente uguale a prima. Niente di più sbagliato. Quella
che era conosciuta come la 600 più sportiva ed estrema è ora quella più
sfruttabile su strada. Sella ben imbottita (troppo per l’uso in pista)
e triangolazione manubrio-sella-pedane tutt’altro che costrittiva.
Con queste premesse, vediamo come si comportano in pista e su strada.
Comportamento
Prerogativa di una bicilindrica dovrebbe essere la leggerezza. Invece la
Ducati 749 S pesa parecchio più delle concorrenti a 4 cilindri.
Ne
risentono le prestazioni assolute ed il comportamento dinamico anche
se in pratica, tra le curve dell’angusto circuito di Le
Luc, la
moto bolognese ha tutt’altro che sfigurato.
Cambi di direzione: la più rapida è la reattiva ZX-6R, merito
di un assetto molto puntato sull’avantreno, anche per via di un retrotreno
molto alto, forse troppo dato che nelle staccate in discesa
l’alleggerimento
del posteriore diventa eccessivo.
La classifica della rapidità dentro la chicane vede, subito dietro la Kawasaki,
la CBR 600 RR, seguita a breve distanza dalla GSX 600 R;
leggermente staccate Yamaha R6 e Ducati 749 S.
La bicilindrica di Borgo Panigale si prende un’ampia rivincita in
inserimento
di curva, battendo di un soffio la Kawasaki. Entrambe passano
dalla staccata alla piega in una frazione di secondo. Seguono Yamaha,
molto equilibrata (anche se per la guida in pista bisogna intervenire
radicalmente
sulla taratura delle sospensioni) e Suzuki, dall’avantreno molto
solido. Particolare il comportamento della CBR-RR; lo sforzo con
cui scende in piega è limitato ma la velocità con cui eseguono
l’operazione
Ducati e Kawasaki le risulta inavvicinabile, in compenso è notevole la
sensibilità garantita dall’avantreno che porta ad osare manovre
ai limiti della fisica!
Sul veloce, nelle curve in appoggio, Ducati e Honda se
le "suonano" di santa ragione. Con il gomito a pochi centimetri
dall’asfalto, sul filo dei 200 km/h, 749 S e CBR-RR
comunicano grande sicurezza grazie all’avantreno precisissimo e ben
piantato
a terra. Sensazione a cui si avvicinano Suzuki e Yamaha,
meno la ZX-6R che paga l’incredibile reattività con una sensazione
di leggerezza mai pericolosa ma alla quale occorre comunque abituarsi.
In staccata è ancora la 749 S a brillare. L’impianto Brembo
è molto potente e grazie alla posizione in sella centrata ed all’assetto
“piatto” i cambi di carico sono molto limitati. Bene anche la
CBR-RR
che però ha manifestato un discreto effetto auto-raddrizzate frenando a
moto inclinata. La frenata della Kawasaki è molto potente ma occorre
arretrare sulla sella per limitare il notevole trasferimento di carico
all’anteriore. La GSX-R frena bene ma può innescare saltellamenti
alla ruota posteriore che vanno limitati “pelando” la frizione. La
frenata
dell’R6 è ottima su strada ma in pista richiede uno sforzo alla
leva maggiore delle altre.
Sospensioni. Piuttosto rigida la Ducati ma comunque garante
di una buona scorrevolezza e quindi capace di assorbire senza scompensi
anche le asperità maggiori. Perfetta la forcella della Kawasaki,
meno il monoammortizzatore che, troppo rigido di molla ed idraulica porta
a volte a saltellamenti in accelerazione. La Yamaha R6 è tarata
piuttosto soffice, quindi per l’uso in pista occorre precaricare
maggiormente
il molleggio e frenare di idraulica sia la forcella che il monoammortizzatore,
solo così si ottiene un assetto adeguato all’uso esasperato. Sostenuta
ma non troppo rigida la Suzuki.
Pista e strada
In pista abbiamo avuto non poche sorprese. Il circuito di
Le
Luc è breve e tormentato, con allunghi che permettono di
inserire
al massimo la quarta senza nemmeno riuscire a sfruttarla tutta. In
queste condizioni, nonostante il gap di potenza e peso, la Ducati 749
S ha sfoderato doti dinamiche e di tiro del motore che l’hanno
portata
fuori dalle curve come una saetta, soprattutto quelle in salita
dove le 4 cilindri pagano doti di coppia inferiori.
In questo caso la migliore è la Yamaha R6 mentre la Honda paga
rapporti al cambio piuttosto lunghi (perfetta la terza marcia
per il curvone in appoggio ma troppo lunga la seconda per uscire
dalle curve lente), l’esatto contrario della Kawasaki che con una
terza troppo corta ha costretto sul curvone più veloce a
viaggiare in prossimità del limitatore che, intervenendo in piena
percorrenza, ne ha inficiato la velocità. In questo frangente la
“verdona”
di Akashi riusciva a mettersi dietro solo la Suzuki GSX-R. Eccezionale
invece la spinta in seconda, perfetta per divorare i brevi tratti
tra una curva e l’altra.
I tempi fatti registrare parlano chiaro. Le medie supersport “se la
giocano” sul filo di lana. I giri più veloci del nostro tester di
punta,
con ciascuna moto, racchiudevano in un istante lungo 28 centesimi
la più veloce (Kawasaki ZX-6R) e la più lenta (Suzuki GSX 600
R), con la 749 S ad un niente (1 e 3 centesimi rispettivamente)
dalla CBR 600 RR e dalla Yamaha R6. Ovvio quindi che su
un circuito più veloce, con la possibilità di dare sfogo a tutti i
CV anche nelle marce alte, le maggiori doti velocistiche delle 4 cilindri
giapponesi staccherebbero probabilmente la bicilindrica Ducati.
Il tester più “lento” si è trovato molto a suo agio con la
Honda
CBR 600 RR, migliorando di 1”32 il tempo peggiore da lui ottenuto
con la ZX-6R, evidentemente troppo radicale per raggiungere un buon
feeling nei 3 giri (più 1 di lancio) della prova cronometrata.
La guida di queste moto, su strada (dove abbiamo lasciato le coperture
di serie), va gustata ovviamente sui percorsi ricchi di curve, meglio
se medio-veloci per “dare respiro” a motori che prediligono gli alti
regimi.
Dove il fondo è irregolare e variabile, va ammorbidito il monoammortizzatore
della Kawasaki, comunque meno godibile delle concorrenti, andando
a spasso, per via dell’assetto e della posizione di guida radicali.
Il cambio funziona egregiamente e la frizione è morbida.
La Yamaha R6 ha una taratura standard troppo morbida, per
cui anche per l’uso stradale occorre irrigidirne l’assetto.
La
sella è morbida ed il motore ha un buon tiro ai medi regimi, accompagnato
da un cambio non troppo preciso soprattutto in scalata. Morbida
e modulabile la frizione.
La Ducati 749 S si comporta egregiamente anche su strada, con le
tarature standard che non necessitano di stravolgimenti. Nel
misto è un po’ lenta a causa del peso sopra la media
ma l’assetto “seduto” e l’ottimo tiro del
motore aiutano
molto a trovare la giusta confidenza con il mezzo. La sua frizione,
l’unica a secco, ha un carico alla leva leggermente superiore ma
precisione degli innesti e modulabilità sono a livello degli
impianti in bagno d’olio.
La CBR 600 RR è godibilissima anche su strada perché trasmette
confidenza e sicurezza in piega. La taratura standard delle sospensioni
è ottima per l’uso stradale e garantisce un comfort accettabile.
Buono il tiro ai medi, simile a quello della Yamaha R6, ma alle
piccole aperture del gas ha manifestato un avvertibile effetto on-off.
La Suzuki GSX 600 R, non essendo stata aggiornata con una versione
2003, ha un curva di coppia un po' debole ai regimi medio-bassi.
Su strada quindi, tiene il passo delle concorrenti a patto
di un uso più intenso del cambio. Quest'ultimo è sempre preciso,
dagli innesti morbidi e rapidi assecondato dall’ottimo
funzionamento
della frizione anche sotto stress.
Nessuna delle moto in prova tiene in grande considerazione il passeggero.
A meno di gite non troppo lunghe il consiglio è solo uno: lasciatelo a
casa, gli farete un piacere.
Tecnica 1
I telai delle quattro giapponesi sono tutti
in alluminio
a doppio trave discendente ma profondamente diversi
come tecnica
costruttiva e geometria. La Ducati 749 è ovviamente fedele allo
schema a traliccio in tubi di acciaio. La versione monoposto
ha il telaietto reggisella in alluminio.
Sulla Honda CBR 600 RR le travi principali e le due piccole
“bretelle”
abbracciano il compattissimo propulsore, così compatto da aver permesso
di realizzare un telaio cortissimo ed un forcellone molto lungo
che ha ridotto l’effetto del tiro catena e migliorato la trazione in
uscita
di curva.
La nuova Yamaha R6, rivoluzionata nella tecnica, è esteticamente
molto simile alla precedente versione. Il nuovo telaio, più leggero
di 500 grammi grazie alle nuove tecniche di pressofusione, è composto
da due parti saldate insieme in soli 2 punti (il precedente telaio richiedeva
16 saldature). Il nuovo forcellone, anch’esso ottenuto per
pressofusione,
è formato da due parti saldate sul piano verticale.
Kawasaki e Suzuki hanno telai costruiti con tecnica tradizionale,
quello della ZX-6R è molto compatto, ma i forcelloni sono
privi di capriata di rinforzo, come avviene sulla Ducati 749.
Quest’ultima ha la possibilità di modificare l’inclinazione del
cannotto
di sterzo su tre posizioni, da 23,5° a 24,5°, influendo di
conseguenza
sull'avancorsa. La moto italiana è anche quella con l’interasse più
lungo (1.420 mm) mentre le giapponesi spaziano dai 1.380 mm
dell’R6
ai 1.400 mm di ZX-6R e GSX-R, passando per i 1.390 mm della
CBR-RR.
Tutte le sospensioni sono regolabili nell’idraulica in
compressione
ed estensione e nel precarico della molla, inoltre per Ducati,
Honda e Kawasaki c’è la possibilità di regolare
l’altezza
del retrotreno, agevolmente sulla 749, grazie ad una pratica
barra filettata, in modo laborioso sulle giapponesi
(interposizione
di spessori non forniti di serie). Sono dotate di forcella a steli
rovesciati
solo 749 e ZX-6R, una tradizione per la Ducati, una
novità non solo per la Kawasaki ma per tutte le medie supersportive
giapponesi.
Spettacolare l’estetica ed il funzionamento del monoammortizzatore
della CBR-RR. Annegato nell’enorme forcellone ha un
funzionamento
mutuato dalla RC-V da MotoGP. Il grosso vantaggio risiede nel fatto
che lo spazio normalmente occupato dall’attacco superiore del mono
è stato liberato consentendo di abbassare il serbatoio benzina
per un migliore accentramento delle masse ed abbassamento del
baricentro.
Per quanto riguarda i freni ci sono notevoli differenze. Si va dai
280 mm della ZX-6R ai 320 mm di Ducati e Suzuki, passando per
i 298 mm della R6 ed i 310 mm della
CBR-RR.
Per tutte pinze a 4 pistoncini e leva regolabile. Le pinze della
749 S però sono del tipo “triple bridge” con 4
pastiglie
e pompa radiale (come per la frizione idraulica). Kawasaki è
la sola inoltre a poter vantare gli attacchi di tipo radiale per le
pinze, per questo i dischi sono più piccoli delle concorrenti, apportando
un vantaggio in termini di maneggevolezza per via del ridotto effetto
giroscopico.
Tecnica 2
Per i motori delle supersportive 600 è definitivamente finita
l’era
dei carburatori, dato che anche la Yamaha R6 è passata
all’iniezione
elettronica. L’obiettivo comune è avere una carica
sufficientemente
ricca agli altissimi regimi e fluidità di
risposta alle minime
aperture del gas. Sulla R6 i tecnici Yamaha hanno
cercato
di riprodurre la risposta dei carburatori montando valvole a
saracinesca per l’aria in entrata, lasciando che sia la centralina
a gestire gli iniettori. Bersaglio centrato per quanto riguarda
la fluidità nell’apri-chiudi, meno in termini di allungo.
Inedito il sistema della CBR-RR. Gli iniettori sono due,
uno nel condotto di aspirazione, l’altro, nella parte superiore
dell’airbox, entra in funzione sopra i 6.000 giri per
arricchire
la miscela in entrata. Ottimo il risultato agli alti regimi, con un allungo
portentoso, meno nell’apri-chiudi, dove manifesta un avvertibile
effetto on-off.
Il sistema della Kawasaki ZX-6R è del tutto simile a quello della
Suzuki GSX 600 R: le valvole a farfalla nei condotti di aspirazione
sono due, quella a valle è comandata dal comando del gas,
quella a monte dalla centralina come risultato
dell’elaborazione
di diversi parametri atmosferici e motoristici. Ottimo il risultato in
termini di fluidità di erogazione, così come avviene per
l’impianto
Ducati, dal perfetto funzionamento.
La presa dinamica per l’airbox è centrale su Yamaha R6 e
Kawasaki ZX-6R ma solo sulla seconda l’aria passa attraverso
il cannotto di sterzo, con un sistema simile a quello adottato con
successo da Honda per la sua VTR 1000 SP1 ed SP2.
Infine lo scarico. Ducati lo ha come ormai da tradizione sotto
al codone (a punto tale che ormai “è” il codone) così come la
CBR-RR,
bello a vedersi ma con pregi e difetti: i primi, maggior luce a terra,
accentramento delle masse e meno turbolenze, i secondi, maggior
peso ed innalzamento del baricentro.
Rilevamenti
Conclusioni. In pista entusiasma la Kawasaki seguita a
breve
distanza dalla CBR-RR che, su strada, è più godibile.
La Ducati,
pur diversissima dalla 748 che sostituisce, è sua degna erede per
emozioni
di guida in tutti i frangenti. La Yamaha, da belva imprendibile,
si è “stradalizzata” ma in pista è ancora un’arma
affilata
se si modifica il set-up delle sospensioni (ma la sella è troppo morbida).
La GSX-R è in attesa di aggiornamento e si vede dal dato di potenza
massima, l'unica a non superare i 100 CV alla ruota. Su strada accusa doti
di coppia inferiori alle concorrenti ma in pista non sfigura grazie
all’equilibrio tra motore e ciclistica.
Quasi 110 CV alla ruota per la Kawasaki ZX-6R, merito
dell'esplosivo
motore da 636 cc che sembra "non finire mai". La più veloce è
la Yamaha R6 con oltre 264 km/h effettivi, tallonata dalla CBR 600
RR con poco più di 262 km/h... La Ducati 749 S si difende bene,
soprattutto in ripresa, grazie al generoso bicilindrico Testastretta ricco
di coppia.