Moto Guzzi V11 Café Sport
La moto
Una moto, tante versioni: sulla base
della V11 la Moto Guzzi produce la gamma naked e la sport-touring Le Mans.
Sulla Café Sport la personalità del bicilindrico di Mandello è immutata,
crescono però dotazioni, piacere di guida e prezzo.
Le Moto Guzzi vengono spesso criticate
dagli appassionati perché tecnologicamente arretrate ma questo
“limite”
è al tempo stesso la loro forza: le Guzzi piacciono
proprio
per questo. Non si sottrae a questo destino la nuova V11 Cafè
Sport
che ad un rinnovato piacere di guida affianca accessori e
dotazioni
di pregio, come le evolute sospensioni Ohlins pluriregolabili,
l’impianto
frenante Brembo Serie Oro, diversi particolari in fibra di
carbonio
ed il bel manubrio a sezione differenziata.
La linea è quella nota della prima
V11 e riprende il tema degli accostamenti cromatici della versione
“Scura” dello scorso anno, tranne che per le piastre laterali del
telaio
che sulla Cafè Sport sono dello stesso colore dei coperchi teste
e dei cerchi ruota. Azzeccata la colorazione nera del blocco motore
a contrasto con il grigio chiaro dei cilindri ed il rosso delle
pipette candela. Piacevole il modo in cui le pregiate parti anodizzate
di ciclistica risaltano nel “buio” della livrea.
La profusione di fibra di carbonio è un po’ disordinata ma contribuisce
al look da special della moto. Non ci è piaciuta la
strumentazione:
la leggibilità è esemplare ma l’aspetto è datato e le spie
potrebbero
essere più luminose. Bruttini gli specchietti che in compenso offrono
un buon campo visivo.
Una volta in sella si scopre un’ergonomia
particolare: il serbatoio è largo tra le gambe e stretto verso il
cannotto di sterzo; la sella, larga e corta, non agevola gli spostamenti
trasversali del corpo nella guida sportiva. Ci si siede piuttosto eretti
e si impugna il bel manubrio con una buona sensazione di padronanza.
La forma allungata del serbatoio fa apparire il manubrio più lontano di
quanto non sia in realtà. Le pedane sono invece un po’ troppo alte
ed arretrate rispetto all’impostazione generale della moto, se ne apprezza
però l’aspetto molto curato e la buona luce a terra garantita.
Le leve al manubrio sono regolabili
e le tubazioni idrauliche di freno e frizione sono in treccia metallica.
Non ci sono piaciuti l’alloggiamento della chiave di contatto e la
disposizione
di alcuni tasti sui blocchetti elettrici: il posizionamento di clacson
e comando frecce è stato invertito.
E’ il momento di premere il tasto di accensione. Uno scossone accompagnato
dalla civile tonalità di scarico avvisa che il V90 di Mandello ha
preso vita. Al minimo, in folle, la coppia di rovesciamento è avvertibile
ma scompare una volta in movimento. Innestiamo la prima marcia e scopriamo
una frizione dal comando sufficientemente morbido. Il cambio
a 6 marce è sempre preciso e l’escursione non troppo lunga.
Dagli scarichi esce un suono
cupo e personale, fin troppo soffocato, tanto che ormai in marcia,
per via delle norme antinquinamento sempre più restrittive, si apprezza
di più il rumore di aspirazione.
Con i ritocchi alla meccanica e l’iniezione
elettronica il bicilindrico Guzzi di 1.064 cc ha guadagnato
in regolarità di funzionamento. Non è velocissimo a salire di giri ma sale
regolare già da 2000 giri e allunga fino alla zona rossa con
decisione e senza incertezze. La spinta è vigorosa ma la sensazione
di forza è smorzata dalla scelta di rapporti lunghi. Comunque, tanto
per fare un confronto, velocità massima (quasi 211 km/h) e tempi
di accelerazione e ripresa sono assolutamente confrontabili con quelli,
ad esempio, della Monster 1000 i.e., nonostante la Cafè Sport pesi oltre
45 kg più della naked Ducati.
La prova
Le quote ciclistiche sono un po’ strane,
l’interasse è
piuttosto lungo (1.490 mm) e la forcella abbastanza “in
piedi”
(inclinazione cannotto di 25°). Tutto ciò, unito al peso non eccessivo
ma nemmeno contenuto (quasi 234 kg sulla nostra bilancia) ed
alla
posizione di guida “sopra” la moto e non “dentro”,
rende la guida
sulle prime poco comunicativa. Si tratta però di una sensazione che scompare
presto perché la V11 si lascia condurre di buon passo con facilità
e regala soddisfazioni di guida, almeno finché la condotta è
“rotonda”
e non troppo aggressiva.
Le sospensioni Ohlins hanno una taratura standard piuttosto rigida
ma rimangono scorrevoli e tutto sommato confortevoli.
Sono sensibili alle regolazioni ed abbiamo verificato che ridurre troppo
il freno idraulico della forcella in estensione significa
far insorgere fastidiose oscillazioni.
L’ammortizzatore di sterzo, di serie, è indispensabile per
contenere
gli ondeggiamenti al manubrio che si innescano quando, con asfalto
non perfetto, si accelera con decisione a moto ancora inclinata. Sì insomma,
bisogna andarsela a cercare, ma è meglio saperlo.
Mano a mano che il ritmo aumenta lo sforzo richiesto al pilota è
crescente per via della massa e dell’inerzia nei cambi di
direzione.
Se si vuole spingere bisogna guidare un po’ d’anticipo perché non
gradisce
molto le manovre brusche, anche in staccata, dove comunque
i freni non fanno mai mancare potenza e modulabilità. Molto
positivo il giudizio sulla trasmissione a cardano esente da qualsiasi
tolleranza indesiderata.
Le vibrazioni ci sono e si sentono, soprattutto dai 4.000 giri
in su a manubrio e pedane, ma possono diventare fastidiose solo sulle lunghe
percorrenze.
Il piccolo cupolino, anche se basso, offre riparo aerodinamico
sufficiente
fino a 130 km/h ed ancora apprezzabile fino a 160 km/h. Non si tratta
comunque di una moto da lunghe sparate autostradali, meglio “andar per
pieghe” sulle belle strade ricche di curve.
I consumi di carburante sono stati soddisfacenti. In città si
percorrono 15 km/l, in autostrada a velocità Codice si va
oltre i 17 km/l e nell’extraurbano si superano i 18
km/l.
L’ultimo pensiero è per il passeggero. Sotto il guscio coprisella
c’è uno strapuntino non molto invitante perché largo, corto e un
po’ duro. Le pedane sono alte, arretrate e vibrano più di quelle
del pilota, in compenso le marmitte fungono parzialmente da sostegno per
la punta del piede grazie ad un’apposita paratia paracalore. Il
serbatoio
è tra l’altro abbastanza basso e così il passeggero fa fatica a
contrastare
lo scivolamento in avanti durante le frenate. Godetevi la Café Sport da
soli, è meglio.
Tra le sue concorrenti abbiamo individuato BMW Rockster, Ducati
Monster 1000 e Buell XB9S, tutte bicilindriche, tutte raffreddate ad aria
e tutte… non giapponesi. I 12.280 euro necessari all’acquisto
della Moto Guzzi Café Sport sono in linea con il prezzo delle concorrenti
(ma la Monster 1000 i.e. costa 1.480 euro in meno) una quotazione elevata
in termini assoluti ma giustificabile considerando il livello di
componentistica,
finiture e, ovviamente, il blasone dell’aquila di Mandello.