Honda CBR600 Story
1987-1990
E’ stata il riferimento delle sportive
di media cilindrata per oltre 15 anni. Un fenomeno commerciale, di moda,
un’icona della moto sportiva, compagna di viaggio e prima moto di tanti
appassionati. Storia ed evoluzione della CBR 600 ovvero, quando una moto
diventa un mito.
GLI ANTENATI: 1987-1990
Era il 1987 quando comparve la prima
CBR. Una manciata
di CV in più rispetto alla concorrenza e conseguenti prestazioni al top
hanno decretato importanti vittorie nelle prove comparative dell’epoca.
Sul numero di luglio 1987, nel confronto
con l’allora regina delle supersport Kawasaki GPZ 600 R
(nata nel
1985), la supremazia della neonata CBR è palese: 227,5 km/h contro
216,3 della Kawa, 197 kg contro 205, 75,58 CV contro i miseri 65,35
della GPZ…
Logico attendersi un successo commerciale
e puntualmente il richiamo della tecnologia e delle performance è stato
il principale catalizzatore per le vendite. La strategia commerciale di
Honda è stata costante per oltre 3 lustri: le evoluzioni della supersportiva
600, per vincente che fosse, si sarebbero effettuate ogni due anni. E così
è stato.
Nel 1989 la CBR600F guadagna 5
CV netti alla ruota grazie all’aumento del rapporto di compressione
(da 11 a 11,3:1), a un nuovo albero motore e a un aggiornamento nella mappatura
dell’accensione. Resta quasi invariata la linea delle
sovrastrutture
completamente sigillate (già viste in precedenza sulla Bimota DB1 e sulla
Ducati Paso), a nascondere il telaio a doppio trave discendente in
acciaio.
Oltre alle modifiche al propulsore, cambia
la taratura di base della forcella e il monoammortizzatore è
ora regolabile su tre tacche nel freno idraulico in estensione. Il doppio
disco anteriore è sempre da 276 mm, ma ora le pinze flottanti sono
a 4 pistoncini e non più a 2. Modifiche di dettaglio, dopotutto,
tanto è vero che nella prova apparsa su ottobre 1989 di Motociclismo si
dice: ”Poco è cambiato rispetto alla prima versione: un po’ di pepe
in
più che non giustifica la sostituzione della prima CBR con questa”.
La moto continua a primeggiare sulle rivali,
ma la supremazia prestazionale non è più così netta. Ogni riferimento a
maneggevolezza e performance del motore deve essere riferito a un preciso
periodo. Le indiscutibili qualità ciclistiche dei primi modelli,
infatti, oggi non verrebbero probabilmente confermate: era ancora una
moto anni ’80, stabile sul veloce (anche se con meno CV di oggi è
più facile), ma non così maneggevole.
L’evoluzione delle moto sportive negli
anni ’90 si è infatti concentrata sulla ricerca della massima agilità,
unita a un equilibrio dinamico irreprensibile anche alle massime andature.
Ecco perché cambieranno le avancorse, l’inclinazione dei cannotti, gli
interassi, il pilota sarà seduto più avanti, la sella sarà più alta…
Inizia
l’ultimo decennio del secolo, anno 1991, la rivoluzione è finalmente
arrivata.
1991-1998
L’IMMORTALE: 1991-1998
E siamo giunti al 1991, l’anno della
svolta. Basta con le
migliorie, gli affinamenti e i mirati restyling. La moto è tutta
nuova.
Dal ’91 al ’98 la moto acquisterà man mano
cavalli, km/h,
giri motore, e appeal, ma la base di partenza, vale a dire
telaio e motore rimarranno sostanzialmente quelli. Rispetto
al modello 1989 cambiano estetica, molti particolari interni
del motore e ciclistica. La potenza cresce di quasi 9 CV,
seguita dalla P.M.E. cha passa da 13 a 13,4 kg/cmq e, di conseguenza anche
le prestazioni traslano verso l’alto.
Il cambiamento è stato talmente radicale da portarci a riflettere su nuove
filosofie progettuali e costruttive. Uno degli obiettivi è il tetto
massimo di potenza, importante non solo ai fini prestazionali, ma
anche per “mettere dietro” la concorrenza nelle prove al banco
pubblicate
sulle riviste di settore, punto cruciale per futuri successi commerciali.
Si sa infatti quanto siano attenti ai numeri gli smanettoni, oggi
come ieri… Rapporto di compressione ancora più alto (11,6:1),
nuovi
carburatori a depressione Keihin a valvola piatta da 34 mm (prima erano
tradizionali da 32 mm), ma soprattutto cambiano le misure caratteristiche
del motore. L’alesaggio passa da 63 a 65 mm e la corsa da 48 a
45,2, definendo un rapporto sempre più superquadro. Il maggior alesaggio
ha permesso di migliorare il riempimento dei cilindri grazie alla maggior
superficie utile per le valvole di aspirazione e scarico (più grandi),
mentre la riduzione della corsa ha permesso il raggiungimento di regimi
di rotazione superiori (quello di potenza massima è cresciuto di 1.000
giri) senza pagare dazio con velocità medie dei pistoni molto più
elevate (da 17,6 a 18,08 m/s, l’incremento è modesto). La moderna
progettazione
di questo propulsore si ritrova nel blocco cilindri fuso con il basamento
e determina dimensioni sia longitudinali, sia trasversali molto più compatte
del “vecchio”. I rapporti interni del cambio si allungano,
specialmente
la prima, mentre la finale (43/15) rimane immutata e la primaria si accorcia
(da 1,77 a 1,86). Il miglioramento di quasi 1 secondo nella prova di
ripresa è in parte merito della maggior pulizia dell’erogazione ai
bassi regimi, certamente più dei 4 kg di peso risparmiati e anche del rapporto
totale della sesta accorciatosi da 5,75 a 5,8.
Ma veniamo all’altra grande rivoluzione, quella che interessa la
ciclistica:
le quote sono da moto sportiva anni ’90, decisamente più radicali di
quelle
della sua progenitrice. A fronte di un interasse quasi identico (da 1.410
a 1.405 mm), varia l’inclinazione del cannotto di sterzo da 26° a 25°
e, soprattutto, l’avancorsa, ridotta da 104 a soli 94 mm. Queste quote
definiscono una ciclistica nettamente più “svelta”,
soprattutto
per la ridotta avancorsa che limita la stabilità dinamica a favore di una
superiore velocità negli ingressi di curva. E’ questo il primo
passo verso le attuali moto sportive, iper-reattive nello stretto e, sempre
più spesso, irreprensibili anche sul veloce. La forcella, regolabile
solo nel precarico della molla, è ora di tipo tradizionale con steli da
41 mm, in luogo della precedente da 37 mm del tipo ad aria-assistita e
sistema anti-affondamento TRAC. Altra svolta molto importante è il passaggio
a pneumatici ribassati (da 110/80 a 120/60 ant e da 130/80 a 160/60
post), ospitati da cerchi in lega da 3,50x17” e 4,50x17”. I
pneumatici
di primo equipaggiamento erano i famosi Michelin A-M 59, ovvero delle scarpe
prettamente turistiche, ben lontane dal grip offerto dai più specialistici
TX 11/23. D’ora in avanti, fino alla versione del 1998, l’ultima
con
il telaio in acciaio, le modifiche saranno costanti, ma non si assisterà
più a stravolgimenti di questa portata.
Nel 1992 nessuna novità di rilievo, a parte alcune modifiche
all’albero
motore, ai cuscinetti di banco e al tendicatena della distribuzione.
Quello che si vede da fuori sono solo le nuove grafiche, mentre
l’anno successivo le migliorie si estendono alle sospensioni.
Nel 1993 troviamo infatti una forcella con regolazione del
precarico e del freno idraulico in estensione su 13 tacche, mentre il
“mono”
guadagna il serbatoio separato e la doppia regolazione in continuo di
compressione
ed estensione idrauliche.
Prestazioni, peso e caratteristiche tecniche immutate rispetto alla versione
’92, a parte le pedane del passeggero realizzate in alluminio e
rifinite con maggior cura.
Occorrerà aspettare il 1995 per vedere le prime modifiche di
rilievo. Prima fra tutte è la presenza del Direct Air Induction,
un sistema di canalizzazioni che porta aria fresca ai nuovi carburatori
da 36 mm.
Il regime massimo raggiungibile sale così da 13.000 a 13.500 giri,
come segnalato dalla nuova strumentazione. La nuova forma di cupolino
e carene verrà mantenuta invariata fino al 1998. La potenza,
grazie a queste modifiche e al maggior rapporto di compressione (12:1),
cresce di quasi 4 CV (siamo a quota 92,53 a 12.400 giri contro gli
88,86 CV a 12.000 giri del modello fino al ’94), mentre la coppia massima
passa da 5,83 a 5,92 kgm. Altra modifica di una certa importanza è la
sostituzione
dei piccoli dischi freno anteriori da 276 mm (che erano fissi e accoppiati
a pinze flottanti a 2 pistoncini) con due bei dischi flottanti da 296
mm. Per finire, una modifica al selettore del cambio, ora più preciso
negli innesti e il nuovo cerchio posteriore da 5 pollici. La
misura del pneumatico non cambia (160/60-17), ma il profilo della gomma
sul canale più largo assicura maggior appoggio in piega e permette,
nell’utilizzo pistaiolo, di montare il 180/55-17.
E siamo giunti all’ultima versione dotata di telaio in acciaio, 1997
e 1998. La moto è oggetto di un leggero restyling al frontale
(più profilato e proteso verso la ruota anteriore), mentre codino, faro
posteriore e maniglione del passeggero, immutati dal 1991, appaiono
più moderni.
Passando alla parte tecnica, scopriamo dischi anteriori più leggeri
e diversi cornetti di aspirazione all’interno della scatola filtro: ora
hanno la stessa lunghezza (prima quelli dei cilindri 1-4 erano diversi
da quelli dei cilindri 2-3) e i condotti relativi sono stati allungati
di 6,5 mm (proprio quelli che due anni prima erano stati accorciati di
5 mm…).
Per migliorare l’accelerazione le molle valvole diventano singole,
in luogo della doppia spirale utilizzata fino al ’96.
La CBR600F è ormai un successo mondiale, tanto che oltre 250.000
esemplari
sono in giro per le strade di tutto il mondo. Ma la concorrenza avanza.
E’ il 1998, anno in cui nasce una nuova Kawasaki ZX-6R e si attende
l’arrivo della sorella minore della tanto acclamata Yamaha YZF-R1, la
sportivissima YZF-R6.
1999-2003
L’ERA DELL’ALLUMINIO: 1999-2003
Anno 1999. La CBR600F si rinnova fin dalle
viscere per la
seconda volta dalla sua nascita. Questa volta la concorrenza è realmente
competitiva: Kawasaki ZX-6R, Suzuki GSX-R600
e la neonata
Yamaha YZF-R6 creano più di qualche grattacapo agli ingegneri della
Casa alata. Risultato: ecco la CBR del nuovo millennio, con telaio
in alluminio, forcellone infulcrato sul carter motore e profonde
modifiche a freni e sospensioni.
Il nuovo telaio pesa 7 kg in meno di quello in acciaio, mentre
il peso complessivo della moto, secondo i rilevamenti di Motociclismo,
passa da 197,4 a 187,2 kg. Questo dato è uno dei risultati di una
filosofia progettuale evoluta rispetto a quanto visto sulle serie precedenti.
Il carter motore è ora elemento stressato –per via del perno del
forcellone- e la ricerca della leggerezza ha preso di mira tutti i componenti,
con particolare riguardo alle masse non sospese e in rotazione.
Nuovi i cerchi in lega leggera a 3 razze (non più a 6) con canale
da 3,5x17” ant. e 5,50x17” post. per ospitare pneumatici
ribassati
rispettivamente da 120/70 e 180/55.
La forcella di tipo tradizionale da 43 mm e il
monoammortizzatore
sono ora completamente regolabili, sia nel precarico delle molle,
sia nel freno idraulico in andata e ritorno.
Le notevoli attenzioni rivolte al propulsore hanno sortito benefici effetti
sulla “schiena” delle curve di potenza e coppia, nonostante
un
numero massimo di CV rilevati allineato a quanto visto sul modello ‘98.
Prima importante evoluzione è la diversa accoppiata delle misure caratteristiche
del motore, ancor più superquadro. Obiettivo: ottenere una potenza
superiore e un regime massimo di rotazione ancor più elevato, senza
per questo pregiudicare l’affidabilità del motore.
Cresce l’alesaggio e diminuisce la corsa a 67x42,5, limitando la
velocità
media del pistone (ai 12.000 giri/min, regime di potenza massima) a
“soli”
17,03 m/s. Un occhio anche all’ecologia, divenuta, negli ultimi anni,
uno degli aspetti principali di ogni nuovo progetto motoristico. Si chiama
AIS ed è un Sistema d’Immissione d’Aria che consente di
completare
la combustione di quella parte di idrocarburi incombusti, residuo del ciclo
termodinamico. Si ottiene così un processo più “pulito” e quindi
minori
emissioni inquinanti. Migliorano anche le capacità respiratorie del
motore, sia grazie alle nuove prese d’aria dinamiche, sia per
l’adozione
dei nuovi carburatori Keihin a valvola piatta da 36,5 mm. Ovviamente, cambiando
il telaio, il motore e quindi la distribuzione dei pesi,
non potevano rimanere le stesse quote ciclistiche. La maneggevolezza
è aumentata di molto, sia per la leggerezza della moto, sia, soprattutto
per la forcella più in “piedi”: 24°, avancorsa di 96 mm e
interasse
ridotto a 1395 mm. Nonostante siano aumentate le prestazioni globali, la
CBR600F rimane una moto facilmente sfruttabile e adatta a un utilizzo
quotidiano. A conferma di questo troviamo una chiave codificata per il
nuovo antifurto H.I.S.S. che disabilita l’accensione, il cavalletto
centrale (presente su tutte le CBR600 fin dall’87) e la serratura per
accedere al vano sottosella (sufficiente per un lucchetto a “U”).
L’ultima evoluzione risale al 2001, anno in cui oltre a un nuovo
cupolino, un inedito doppio gruppo ottico anteriore e un parafango
più avvolgente, si realizza il passaggio all’iniezione elettronica
PGM-FI con corpi farfallati da 38 mm. I vantaggi di un sistema di iniezione
si traducono in una maggior efficienza termodinamica del ciclo, con conseguente
minor emissione di inquinanti.
E’ anche l’anno in cui nasce la CBR600F Sport, venduta nella
classica
livrea rossa con la grande ala nera e, per la prima volta in Casa Honda,
anche in una versione Replica, ovviamente con un bel numero 46 sul
codino.
La versione Sport nasce come base di partenza per le competizioni.
Diversa fasatura della distribuzione, minor alzata delle
valvole di aspirazione (evidentemente si punta sul “time area”, il
maggior
tempo di massima apertura delle stesse), rapporto di trasmissione finale
leggermente più corto e 5 mm in meno di alesaggio.
La potenza sale di oltre 3 CV (98,23), la coppia alla ruota
oltrepassa per la prima volta quota 6 kgm, naturalmente anche la P.M.E.
cresce al limite dei 14 kg/cmq, mentre il peso scende a soli 182,7 kg.
Le ottime prestazioni della Sport vengono confermate dal successo di Fabien
Foret nel Mondiale Supersport 2002. L’evoluzione è ormai giunta al culmine
e per restare primi con rivali sempre più competitive serve una moto
tutta nuova, la “RR” appunto.
2003
NUOVI CONCETTI 2003: CBR 600 RR
La CBR600RR nasce sull’onda del successo di Valentino Rossi in
MotoGP.
La “somiglianza”, chiariamolo subito, non è puramente estetica.
Oltre
alla linea, infatti, troviamo soluzioni
tecniche (posizione
di serbatoio, sella e “mono”) riprese dalla
RC211V. Fulcro del
progetto è la distribuzione dei pesi, studiata per accentrare e
abbassare il baricentro della moto. Quello che sembra essere il classico
serbatoio carburante in realtà è un guscio in materiale plastico che cela
l’air-box.
Il vero serbatoio si sviluppa in orizzontale sotto la sella del pilota
e contribuisce all’abbassamento del baricentro, oltre a consentire
di realizzare un air-box molto ampio. Lo spazio sottosella per ospitare
il serbatoio è stato ricavato “annegando” il monoammortizzatore
nel
mastodontico forcellone in alluminio che ingloba l’attacco
superiore
del “mono”, proprio come avviene sulla RC211V. Anche qui, come sulle
CBR600F dal 2001, l’alimentazione è affidata all’iniezione
elettronica,
ma le differenze sono notevoli. Il sistema utilizzato si chiama PGM-DSFI
e sfrutta una batteria di 4 iniettori con altrettante valvole a
farfalla da ben 40 mm, più un’ulteriore parata di iniettori
secondari
posti a monte di quelli principali.
Ai regimi di rotazione più elevati (la potenza massima si trova a 13.250
giri, ma l’allungo supera abbondantemente i 14.000) si ha una
difficoltà
oggettiva nell’ingrassare correttamente la miscela aria/benzina, a causa
della rapidità di ogni ciclo. Gli iniettori aggiuntivi intervengono
proprio in questo range di funzionamento e solo a massima apertura
dell’acceleratore,
per ingrassare di benzina l’aria che giunge nel condotto di aspirazione,
facilitando così il compito degli iniettori principali. L’albero della
primaria e della secondaria della trasmissione sono spostati in alto
per ridurre la lunghezza del motore e poter creare un telaio il più
possibile compatto. E’ stata la prima 600 sportiva a utilizzare uno
scarico sottosella.
Pregi: estetica, aerodinamica, assenza vortici in velocità, masse
sull’asse
della moto. Difetti: peso superiore e innalzamento del baricentro
della moto. Il peso rilevato è di 186 kg, un valore non certo da
record, dovuto al sovradimensionamento del forcellone e alla lunghezza
dei raccordi dello scarico. Le prestazioni pure sono su un altro pianeta
rispetto ai modelli precedenti, compresa la versione più sportiva del 2001.
Quasi 104 CV alla ruota, 6,16 kgm di coppia, 262 km/h e solo
11,207 secondi per coprire i 400 metri da fermo.
La lunga storia del CBR600 ha avuto uno scossone a 16 anni dalla nascita
della capostipite e per la prima volta si è sdoppiata in due anime ben
distinte, unite solo dalla sigla “CBR600”. La “F”
rimane in
listino come polivalente sport-touring. La “RR” è un
animale
nato per rendere al meglio tra i cordoli e se ci si vuole andare al mare
con la fidanzata, nessun problema, tutto si può fare, basta adattarsi…
Il richiamo delle prestazioni, costante fin dal lontano ‘87, ha trovato
nella “RR” il suo culmine. Almeno fino alla prossima…
182.000 km ...
ON THE ROAD
NON FERMARTI MAI… 182.000 Km
Una parola: polivalente. Valida tutti i giorni per andare a scuola o al
lavoro, sa divertire anche in pista, per la ciclistica equilibrata e la
cavalleria del suo quattro cilindri. Ma c’è molto di più. E’ anche
una
valida passista, adatta al turismo a medio e lungo raggio, perché vibra
poco, perché il cupolino protegge a sufficienza dall’aria, perché le
sospensioni
sono tarate piuttosto morbide, perché…
Si potrebbe andare avanti a lungo, ma la testimonianza diretta di chi ci
ha percorso la bellezza di 182.000 km ha ben altro peso. Si
chiama
Fabio Bertoldi, 30enne romano, il padrone di Nelìk, una CBR600F del
1992 a cui ha dedicato un sito: www.nelik.it. La moto è stata
“maltrattata”
in ogni condizione atmosferica e di fondo stradale, come racconta Fabio
“…28 nazioni…un centinaio di km sulla neve… circa 700
km di strade
sterrate… brevi tratti sulla sabbia in Normandia… la distesa di
fango
di circa 3 km per arrivare alla dacia vicino Tutaev, in Russia. Poi ha
preso un po’ di traghetti, ha attraversato tunnel lunghissimi ed è andata
sulla Sierra Nevada, nei deserti asiatici…”. A noi che leggiamo
tutto
questo sembra che sia Fabio a portare in giro la moto per farle vedere
tutti quei posti... La convivenza con Nelìk sembra abbia funzionato, perché
Fabio non ha ancora smesso di andare in giro con la sua compagna. La cosa
incredibile è che in tutti questi chilometri non ci siano quasi mai stati
guasti meccanici: oltre alla normale manutenzione a due forature e a qualche
sostituzione di troppo della catena di distribuzione (tallone d’Achille
dei CBR fino al ’98), si è crepato due volte il tubicino in gomma tra
i carburatori, fatto che non ha comunque impedito la marcia. Oggi la moto
ha più di dieci anni e mezzo mondo sotto le ruote, ha visto luoghi lontani,
percorso strade impossibili ma è ancora in giro, per non fermarsi mai.