Suzuki GT 750 e 750 S Vallelunga
La nascita
Presentata al Salone di Tokyo nel
1970 e commercializzata nel 1972, la GT 750 era una tre cilindri in linea
a 2 tempi di 738 cc. Vantava soluzioni innovative ma l’impostazione poco
sportiva ne pregiudicò il successo. Cercò di porvi rimedio
l’importatore
Suzuki italiano, realizzando nel 1973 la GT 750 S Vallelunga.
Nei primi anni Settanta la maxi
del momento è la Honda CB 750 (4 cilindri a 4 tempi) e
molto in
voga sono anche le Kawasaki H1 750 (3 cilindri a 2 tempi) e
Z1
900 (4 cilindri a 4 tempi).
E
8217;
per contrastare queste blasonate concorrenti che Suzuki nel 1970 presenta
la GT 750 a 3 cilindri, la 2 tempi di maggior cilindrata
destinata al mercato che si fosse mai vista, dato che anticipava anche
la Kawasaki H2 750.
La novità tecnica più rilevante era il
raffreddamento a liquido con radiatore ed elettroventola.
Il sistema di lubrificazione poteva vantare la pompa dell’olio a
portata
variabile (comandata dall’acceleratore), l’avviamento era
elettrico
(ma c’era anche la pedivella) e le finiture erano di alto livello, con
abbondanti cromature.
Il motore 3 cilindri in linea a 2 tempi
raffreddato a liquido di 738 cc (alesaggio x corsa 70x64 mm) aveva
manovellismo a 120° ed albero motore con 4 supporti di banco.
La frizione era multidisco in
bagno d’olio ed il cambio a 5 rapporti. Piuttosto complicato
il funzionamento dell’impianto di raffreddamento, con la
circolazione
del liquido proporzionale alla temperatura del motore. Quest’ultimo,
silenzioso ed esente da particolari vibrazioni, aveva una potenza
di 67 CV a 6.500 giri che spingeva la GT 750 a 180 km/h.
Convenzionale la ciclistica, con telaio
doppia culla in tubi d’acciaio, forcella teleidraulica ed
ammortizzatori
regolabili nel precarico molla su 5 posizioni.
I
freni erano entrambi a tamburo (con l’anteriore a doppia
camma) e l’impianto di scarico del tipo 3-in-4 con compensatori:
il collettore del cilindro centrale si sdoppiava in due silenziatori
più piccoli rispetto a quelli dei cilindri esterni. Il manubrio era
largo, all’americana, chiudendo il quadro di un’impostazione
di
guida decisamente turistica.
Proprio questo fu il suo più grave “difetto”:
la configurazione a 3 cilindri 2 tempi richiamava il mondo delle corse
e questo si aspettavano i potenziali clienti, una moto sportiva,
“cattiva”,
come infatti fu la diretta rivale Kawasaki H2 750.
Suz
uki
invece, a differenza di Honda e Kawasaki, non fece nulla per legare
il nome della GT 750 alle corse, nemmeno con la pubblicità,
nonostante
alla 200 Miglia di Daytona e nelle gare del Campionato AMA
corresse con special equipaggiate con il motore della GT 750 opportunamente
elaborato.
Come andava
Saliti in sella, l’abitabilità per pilota e passeggero era
discreta,
grazie alla sella ampia e ben imbottita, al manubrio
di generose
dimensioni ed alle pedane basse.
Una leggera pressione sul tasto dell’avviamento elettrico e partiva
prontamente.
Poche cambiate e si scoprivano la frizione morbidissima ed il
cambio
preciso.
Nota dolente i consumi, che si attestavano
sugli 8,3 km/l di media, decisamente pochi, soprattutto pensando
all’incombente crisi petrolifera del 1973. Scarsina quindi
l’autonomia
permessa dal serbatoio benzina da 17 litri.
Poco “simpatico” anche il consumo d’olio ma,
soprattutto, la
carburazione che si “starava” un po’ troppo facilmente
e tutta
la trasmissione finale che dopo 10.000 km era già deteriorata.
Qualche problema lo davano anche i ruttori dell’accensione.
Giudizi discordanti da parte di Motociclismo
di allora per i freni: in pista erano apparsi assolutamente sottotono
mentre su strada si rivelarono infaticabili, progressivi ed estremamente
modulabili.
Il doppio freno a disco anteriore arrivò per la seconda versione,
quella del 1973 (GT 750 K).
Le versioni
Dal 1972 al 1977 furono ben sei le versioni
proposte da Suzuki
prima della nascita della GS 750 a 4 tempi. Dal 1973 in poi le
modifiche
interessarono l’impianto frenante, le
colorazioni i carburatori
ed i diagrammi di aspirazione e scarico. Dai 67 CV iniziali
la potenza crebbe fino ai 71 CV della versione del 1974, anno a
partire dal quale scomparve l’elettoventola. Insieme alla
potenza aumentarono anche le prestazioni (oltre 190 km/h) ma non
l’impostazione generale, caratteristica che condannò la GT
750
a vendite sempre piuttosto deludenti: 1.600 esemplari immatricolati
in Italia, di cui circa 500 della prima versione con freni a tamburo.
div>
GT
750J 1972: presentata al Salone di Tokyo del 1970, viene messa in vendita
nel 1972. Due colori disponibili: viola con fregi bianchi, verde smeraldo
con fregi bianchi. Potenza 67 CV. Si distingue anche per gli scarichi dotati
di compensatori, per i carburatori comandati da cavi singoli, per
l’elettroventola
di raffreddamento. La forcella ha i soffietti in gomma di protezione e
il comando dello starter è collocato sul manubrio.
|
|
div>
GT 750K 1973:
la principale modifica rispetto al modello precedente è l’adozione
del
doppio freno a disco anteriore con pinze flottanti. Colori disponibili
viola e blu con fregi bianchi. Il radiatore ha ora il bordo cromato e non
più dello stesso colore della moto. Cambia l’attacco delle frecce,
ora
più avanzate, sul supporto faro. Il coperchio copri-alternatore non ha
più la scritta Suzuki. Nel motore viene irrobustita la zona di fissaggio
della testa di biella all’albero motore e vengono sostituite le
guarnizioni
di tenuta del carter pompa.
|
|
div>
GT 750L 1974:
è il modello che presenta le maggiori modifiche rispetto ai precedenti.
La potenza del motore sale da 67 a 71 CV e viene incrementata anche la
coppia. Esteticamente gli scarichi perdono la parte terminale nera e vengono
eliminati i compensatori. La forcella non ha più i soffietti in gomma,
cambiano i dischi e la pompa del freno anteriore. Nuovi i fianchetti laterali
con parte cromata nella zona della scatola filtro aria. Sulla strumentazione
compare un indicatore a led che segnala la marcia inserita. Il radiatore
dell’acqua ha una calandra anteriore di protezione ed è privo di
elettroventola.
Sul motore compare la scritta “Liquid cooled” sul blocco cilindri.
Colori
disponibili blu e rosso metallizzato.
|
|
div>
GT 750M
1975: solo piccoli interventi estetici nei fregi sul serbatoio. Colori
disponibili grigio metallizzato, blu e rosso. Unica modifica meccanica
ai rapporti del cambio.
|
|
div>
GT 750A
1976: ormai si avvicina la fine della produzione e quindi ci sono pochi
interventi. Il serbatoio della benzina ha il tappo a scomparsa. Colori
disponibili “Orange Ontario” e “Blu Coronado”. Piccole
modifiche grafiche
in funzione dei mercati (le moto destinate a quello francese hanno ad esempio
differenti filetti sul serbatoio).
|
|
div>
GT 750B
1977: ultima serie. Modifiche estetiche per adeguare la GT 750 al resto
della produzione Suzuki di quegli anni. Il parafango anteriore perde le
astine di sostegno. Le piastre del supporto faro diventano nere (erano
cromate dal 1974). Le frecce sono più piccole e prive dei catadiottri
laterali.
Colori disponibili nero, blu e rosso. | |
La "Vallelunga"
Con un motore così, rinunciare a correre in pista sarebbe stato un
delitto.
Ecco allora che la versione “pistaiola” nacque nel
1973
non in Giappone ma in Italia. La SAIAD di Torino,
importatore
delle Suzuki, creò una special a tiratura
limitata per correre
nelle gare riservate alle derivate di serie. Dai 214 kg della
versione
di serie si scese ai 190 kg, grazie anche alle sovrastrutture in
vetroresina. L’elaborazione del motore interessava i cilindri e
le espansioni di scarico, prive di silenziatori.
La
moto era monoposto e nel codone era alloggiato il serbatoio
dell’olio della lubrificazione separata. La trasformazione era completata
da pedane arretrate, semimanubri e silenziatori per
l’utilizzo
stradale. Interessante l’incremento delle prestazioni, con la
velocità
massima di poco superiore ai 220 km/h.
Inizialmente
si chiamava semplicemente GT 750 S, la denominazione
“Vallelunga”
arrivò più tardi in onore della vittoria di Renato Galtrucco
alla Coppa
Cecere del 1973 sul circuito alle porte di Roma.
La carriera agonistica della “Vallelunga” finì nel 1975
con un discreto
bottino di vittorie e piazzamenti. La categoria era dominata dalle Ducati
e dalle Laverda che sfruttavano a dovere le lacune di un regolamento abbastanza
permissivo.
Merita
un cenno la Suzuki TR 750, “cugina da GP” della GT
750.
La TR era una moto da competizione costruita in appena 14 esemplari,
tra il 1972 e il 1975, per partecipare alla 200 Miglia di Daytona
ed alle gare del Trofeo FIM 750.
In comune con la GT aveva solo le misure di alesaggio e corsa. Impiegando
materiali pregiati e leggeri il peso era di soli 148 kg.
La prima versione aveva poco più di 107 CV, l’ultima aveva
raggiunto
i 116 CV (a 8.250 giri). Impressionante la velocità massima,
rilevata a Daytona, di 293 km/h!
Nonostante a portarla in gara siano stati piloti del calibro di Barry
Sheene e Pat Hennen, il palmarès di vittorie fu piuttosto
magro,
dovendo misurarsi con mostri come la Kawasaki H2R e, soprattutto, la Yamaha
TZ 750.
Il californiano Hennen arrivò terzo alla 200 Miglia di Daytona del
1976,
dietro a Johnny Cecotto su Yamaha e Gary Nixon su Kawasaki.