Kawasaki KR 500 GP
Introduzione
Ha calcato le piste del motomondiale
dal 1980 al 1982 , correndo nella classe regina. Misteriosa ed esotica
come nessun'altra GP 2 tempi giapponese, la KR 500 ottenne pochi risultati
nonostante l'impegno di Kork Ballington.
Alla fine degli anni settanta la Kawasaki
dominava le classi 250 e 350 del Motomondiale con le bicilindriche
KR due tempi e distribuzione a disco rotante; la supremazia schiacciante
convinse gli ingegneri della Casa di Akashi a tentare la carta della classe
500 unendo due bicilindrici 250 cc, soluzione rapida, economica
e potenzialmente efficace per ottenere una moto vincente senza imbarcarsi
in un lungo lavoro di progettazione e sviluppo. Il prototipo muove i primi
passi in Giappone alla fine del 1979, mentre i piloti designati per il
debutto furono il sudafricano Kork Ballington e l'australiano Gregg Hansford;
quest'ultimo però non partecipa al lavoro di sviluppo essendo iscritto
alla World Series.
La caratteristica fondamentale della
KR 500 è il telaio monoscocca disegnato da Kinuo Hiramatsu, ispirato
palesemente alla Ossa 250. La struttura è rigidissima, al punto da sopportare
qualsiasi sforzo torsionale e laterale senza il minimo problema, tuttavia,
i 138 kg a secco non rendono giustizia del gran lavoro fatto dai tecnici;
inoltre, questa struttura non permette alcun tipo di
regolazione,
ed è per questo motivo che nella versione del 1982 fra la flangia del cannotto
di sterzo e la monoscocca si può inserire un distanziale che a seconda
el suo differente spessore permette di modificare l'inclinazione del cannotto
di sterzo e - di conseguenza - l'interasse e l'avancorsa della moto.
Il motore, pur nascendo dall'accoppiamento
di due bicilindrici KR 250, presenta notevoli analogie con quello della
Suzuki RG 500 di quegli stessi anni. I due motori hanno lo stesso alesaggio
x corsa 54x54 mm (per una cilindrata totale di 494,6 cc), i due alberi
motore sono disposti su di un unico piano e hanno manovelle a 180°. Alle
loro estremità sono calettati i due ingranaggi che azionano i dischi rotanti.
I cilindri sono separati, hanno cinque travasi e la canna cromata (nel
1981 i travasi diventeranno sei). Le teste hanno le camere di combustione
a cupola centrale con area di squish molto pronunciata, mentre i pistoni
presentano la cupola bombata e montano una sola fascia elastica di tenuta.
Ogni cilindro è fissato singolarmente al basamento motore con quattro
prigionieri
passanti. I carburatori sono dei Mikuni da 34 mm che lavorano con dischi
rotanti in fiberglass, gli stessi delle KR 250/350.
Il cambio a sei velocità non è estraibile,
così per cambiare i rapporti interni i meccanici sono costretti a smontare
il motore dal telaio e nel 1981 Ballington può scegliere fra quattro diverse
rapportature per prima, seconda e sesta marcia e su tre per i restanti
rapporti.
Le gare
Attesissima dagli appassionati, durante i primi GP la nuova moto è lungi
dall'essere competitiva. A Misano Ballington è costretto al ritiro
mentre a Jarama giunge tredicesimo. La situazione migliora in Francia dove
il pilota sudafricano si classifica ottavo, raccogliendo i primi punti
iridati della KR. A frenare gli entusiasmi della squadra ci pensa però
un blocco intestinale che tiene Ballington lontano dalle piste per due
mesi, compromettendo irrimediabilmente la stagione.
Tutto sommato però, la KR 500 del 1980 mostra un discreto
potenziale:
il suo motore dà subito prestazioni all'altezza della concorrenza.
"All'inizio della stagione -ricorda oggi Ballington - avevamo
problemi sia in accelerazione sia in velocità massima. Dal GP di Francia
in poi la situazione migliorò perché il motore come prestazioni arrivò
quasi al livello dei migliori. I problemi erano il peso (138 kg a secco),
la poca accelerazione e la scarsa maneggevolezza. Portare la KR sui circuiti
guidati era un bel problema e richiedeva un notevole impegno. Prima di
ritirarmi al Nürburgring, devo aver perso un paio di chili per lo sforzo.
Il telaio monoscocca era così rigido che avrebbe sopportato le torsioni
di un motore da 2.000 cc, anziché un
semplice 4 cilindri di mezzo litro".
Nel 1981 Ballington decide di concentrarsi esclusivamente sulla 500 e
assieme al team mette a punto un intenso programma che prevede anche la
partecipazione a gare non valide per il Mondiale. La squadra confida anche
nell'aiuto di Gregg Hansford (nella foto a sinistra), ma
lo
sfortunato pilota australiano in due cadute consecutive (alla 200 Miglia
di Imola e al GP del Belgio) si rompe malamente la rotula e il femore della
gamba destra, passando la maggior parte della stagione a curarsi. Il
ritiro forzato di Hansford lascia al solo Ballington il compito di gareggiare
e contemporaneamente sviluppare la motocicletta.
L'esordio nel Mondiale è promettente: a Salisburgo la KR 500 dimostra di
aver quasi colmato il gap di prestazioni con gli avversari e Ballington
conclude il GP
in sesta posizione a 38 secondi dal vincitore Mamola (Suzuki); in seguito
però, la moto non vuole saperne di andare forte, e il pilota sudafricano
conclude
in ultima posizione il GP di Germania, mentre a Monza si ritira sotto la
pioggia.
Sembra il preludio ad una nuova annata piena di problemi e avara di risultati,
ma Ballington reagisce da campione: al Paul Ricard qualifica la moto
in prima fila e termina in settima posizione per un calo fisico. In
Yugoslavia deve guardare la gara dai box (dopo un botto clamoroso) ma ad
Assen, con il terzo posto, acciuffa il primo podio nella storia
della KR facendo suo anche il giro più veloce in gara.
La settimana dopo però è di nuovo notte fonda: a Spa la moto è inguidabile
e non va oltre il 19° posto. Di seguito ci sono il 5° posto a Imola, la
bella gara di Silverstone -dove Ballington lotta per il primo posto con
Roberts, Mamola e Middleburg, fa di nuovo il giro più veloce del GP e poi
si ritira - ed i buoni piazzamenti nella doppia trasferta scandinava in
Finlandia e Svezia.
Ad Imatra Kork riporta la verdona in prima fila e in gara perde per tre
decimi con Mamola la volata per il secondo posto, mentre ad Anderstorp
finisce in quarta posizione l'infuocato GP che consegna il titolo iridato
a Marco Lucchinelli.
Con questi ultimi piazzamenti il pilota sudafricano conclude il campionato
in ottava posizione e getta le basi per il 1982, la stagione che sembra
essere quella della definitiva consacrazione per la KR 500.
Addirittura, durante l'inverno Ballington si sbilancia: "Vorrei
davvero diventare Campione del mondo anche della 500 prima di abbandonare
le corse - dichiara in un'intervista -. Non ho ancora deciso quando
verrà il momento di smettere, ma sto pensando seriamente a questa possibilità.
Mi piace l'Europa, ma chissà un giorno potrei alzarmi pensando che è ora
di smettere. Il titolo è alla mia portata se la Kawasaki quest'inverno
farà quello che ha promesso. Dopotutto la Casa ha sempre detto chiaramente
che il programma della KR ha una durata di tre anni. Se non vincono il
titolo questa volta, non sono affatto sicuro che si ripresenteranno nel
1983."
Vent'anni dopo
Baldè vent'anni dopo
Pilota ufficiale Kawasaki e Honda nel mondiale GP, il francese Jean
Francois Baldé guida abitualmente la KR 500 di Chris Wilson nelle
rievocazioni
storiche. Ecco cosa pensa della moto: "Non ho mai guidato la KR
500 quando ero pilota ufficiale Kawasaki, perché gareggiavo con le 250
e 350. Farlo oggi è come reincontrare una bellissima donna conosciuta vent'anni
fa e scoprire che non solo porta benissimo i suoi anni, ma che per poterla
assaporare in pieno vorresti essere decisamente più giovane!"
Il test di Cathcart
La KR 500 è lunga e seduta di retrotreno, la distanza fra sella e pedane
è molto ridotta, a misura di Ballington. Probabilmente il pilota sudafricano
ha cercato di impostare la moto in funzione del suo stile di guida, formatosi
con le KR 250/350, quindi viene privilegiata la velocità d'inserimento
in curva.
Sull'argomento è illuminante una battuta di Ballington "Non
ero affatto sicuro che la moto si comportasse allo stesso modo, nella stessa
curva, per due giri di seguito e per i tre anni in cui ho corso con la
KR 500 né io, né i ragazzi del team siamo mai riusciti a capire dove dover
intervenire", Nonostante tutto, ritengo che i freni siano
più gestibili di quelli montati sulla Yamaha OW 48 R di
Roberts
che ho avuto il piacere di provare
in precedenza (vedi Motociclismo d'Epoca n°12/1 2002). Sempre rispetto
a questa moto, ritengo che il quattro cilindri in quadrato della Kawasaki
sia più potente di almeno un 10%. Il rumore allo scarico è decisamente
addomesticato, perchè i silenziatori fanno ottimamente il loro lavoro.
Il marchio di fabbrica dei motori con distribuzione a disco rotante è comunque
ben presente, così come l'ergazione brusca e il campo di utilizzazione
molto ristretto. Questa caratteristica fa immediatamente ricordare che
si è in sella ad una moto da GP con almeno 20 anni di età: quando si spalanca
il gas non succede nulla fino a 8.000 giri, poi il quattro in quadrato
si scatena. Un così limitato campo di utilizzo significa che la scelta
dei rapporti del cambio risulta fondamentale per mantenere il motore a
regime ottimale.