Sua maestà Norvin e la regina Triton
Introduzione
La loro data di nascita risale a quel
magico periodo che va fra gli anni Cinquanta e Sessanta sull’onda della
moda giovanile dei Rocker. Le Cafe Racer sono le prime special sportive
dell’era moderna. Strutture ridotte all’osso, telai derivati dai GP
e
motori preparati: questo il loro biglietto da visita. Norvin e Triton sono
stati i modelli più rappresentativi di questo fenomeno.
Percorrendo la North Circular Road di Londra
verso Southgate, il paesaggio è tutto uguale. Quella che una volta era
la circonvallazione della capitale inglese, oggi è stata inglobata quasi
interamente dalla città. Il grigiore delle abitazioni è spezzato dai cartelli
pubblicitari multicolori, tutti diversi ma tutti uguali. Ad un certo punto
la strada sfiora un muretto in mattoni verniciato di nero su cui
risaltano
due vecchie scritte Ferodo che sfidano il tempo e le intemperie.
“La
solita pubblicità sbiadita” potrebbe osservare distrattamente la
maggioranza
degli automobilisti londinesi, prima di passare sotto l’anonimo ponticello
di Stonebridge. Chiusi nelle loro scatolette metalliche, ignorando invece
di aver appena sfiorato la Storia, quella con la S maiuscola
che
ha visto protagonisti migliaia di giovani motociclisti
londinesi,
amanti delle due ruote e del rock’n’roll che frequentavano un locale
proprio nelle vicinanze della North Circular Road: l’Ace
Cafe.
Ma quali sono le moto usate dai rocker all’inizio degli anni Sessanta? Quali i modelli più adatti per vincere le sfide attorno all’isolato dell’Ace Cafe? Innanzitutto sono rigorosamente inglesi, mono e bicilindriche. Elaborate, alleggerite e personalizzate, perché la moto di un Rocker che si rispetti deve essere unica, essenziale, cattiva. Spesso trasformata da lui stesso...
Due modelli mitici e indimenticabili di quegli anni sono le Triton e le ancora più pregiate Norvin. Ma scopriamo prima insieme da dove arriva il celebre telaio Featherbed base di partenza di queste cafè racer.
Il Featherbed, il telaio utilizzato sulle Triton, vede la luce nel 1950 grazie ai fratelli McCandless di Belfast. Realizzato in tubi Reynolds 531 per le Norton GP ufficiali, passa sulle Manx destinate ai privati la stagione successiva. Nel novembre del 1951, al Salone di Londra viene presentata la sua versione stradale denominata Wideline e adottata sulla Dominator Model 88. Durante la sua carriera il Featherbed viene più volte modificato: nel 1960 compare la versione Slimline, che mantiene la stessa geometria del telaio precedente, compresa l’inclinazione dell’angolo di sterzo di 26°, ma ha i tubi superiori che si restringono nella zona di contatto fra sella e serbatoio.
Cambia anche il tenore dell’acciaio per avere una struttura più robusta. Anche se negli anni 60 in Inghilterra c’è una piccola disponibilità di telai da corsa, perché diverse Norton Manx vengono smembrate ed i loro motori impiegati sulle monoposto di Formula 3, l’acquisto di questi telai da GP non è alla portata di tutti. Ricordiamoci infatti che la maggior parte dei giovani motociclisti è di estrazione operaia e per loro la moto è un simbolo da conquistare con enormi sacrifici economici.
Meglio quindi orientarsi sui Featherbed stradali, disponibili in maggior quantità e più a buon mercato. Per alcuni appassionati non tutti i telai sono uguali e si avverte una certa differenza nel comportamento delle due versioni Wideline e Slimline, ma sostanzialmente qualsiasi Featherbed si presta benissimo allo scopo.
La Norvin
La Triton può essere considerata la Cafe Racer alla portata di (quasi)
tutti. Se invece si vuole avere una motocicletta ancora più
esclusiva,
da esibire orgogliosamente sul lungomare di Brighton o davanti al pub preferito,
la mossa vincente è procurarsi il bicilindrico a V della HRD-Vincent
e lanciarsi nello stesso trapianto effettuato con la Triton.
Per dare un’idea della differenza di classe e contenuti fra queste due
bellissime special britanniche potremmo paragonarle a due Honda, CBR900RR
e VTR1000SP2, preparate ai giorni nostri: il carattere, il prezzo e
la personalità della seconda fanno la differenza. E
di classe
ed esclusività, la HRD-Vincent ne ha da vendere. Innanzitutto perché è
stata per anni la moto di serie più veloce (e costosa…) del mondo.
Il suo monumentale V twin di 47° (portati a 50° nel 1945) con
distribuzione
ad aste e bilancieri vede la luce nel 1936 ed equipaggia la Rapide
1000, ma è solo nel dopoguerra che il Marchio diventa sinonimo di potenza
e velocità grazie alle versioni Rapide B e C. Più delle parole parlano
i numeri: la Rapide B Black Shadow del 1948 ha 55 CV a 5.700 giri e sfiora
i 200 km/h, prestazioni che all’epoca sono appannaggio dell’AJS E 90
Porcupine di 500 cc da GP, mentre la C del 1949 promette ancora prestazioni
di tutto rispetto e un peso contenuto in appena 204 kg.
A causa del suo prezzo esorbitante - nel 1949 la C costa 400 sterline,
quasi il doppio della più costosa concorrente - e della crisi che inizia
ad interessare il mercato inglese, la Vincent è costretta a chiudere
i battenti alla fine del 1955.
La sua fama resiste però al trascorrere del tempo perché il suo poderoso
e robustissimo bicilindrico è sempre citato come esempio in fatto di prestazioni
e affidabilità, mentre i fortunati possessori di una Rapide non sono
affatto disposti a privarsene: la moto è una vera opera d’arte anche sotto
l’aspetto estetico. Il mito era già nato...
La Triton
Per realizzare una triton partendo dal telaio Featherbed è sufficiente
eliminare gli attacchi del motore sul telaio che non servono più, adattare
gli altri e realizzare nuove staffe, magari partendo dalle piastre di serie
Norton e Triumph oppure realizzandoli ex-novo. Croce e delizia di tutte
le Triton sono le vibrazioni che per essere smorzate necessitano di
un accurato montaggio: dei fori con un po’ di gioco, dei silent-bloc in
pessimo stato e dei serraggi approssimativi danno come unico risultato
vibrazioni, crepe e rotture. Anche il motore deve ricevere qualche
attenzione
prima di finire su una Triton, perché di installare un bicilindrico
Triumph originale non se ne parla nemmeno.
I preferiti sono ovviamente quelli pre-unit, cioè con cambio
separato.
Ovviamente perché la moda delle Cafe Racer come le Triton conosce il suo
periodo di massimo splendore nel periodo 1963-1966, quando la Casa di Birmingham
mette in produzione i motori monoblocco e il mercato dell’usato viene
invaso da vecchie “Bonnie” da cui attingere i motori. Anche la
versione
monocarburatore montata sulle Tiger va benissimo.
Anzi, molti trasformano questi motori, più a buon mercato, sostituendo
la testata e ottenendo così un bicilindrico bicarburatore come quello della
Bonneville. Successivamente anche sulle Triton fanno la loro comparsa
i motori unit, ma i puristi oggi guardano queste moto con sufficienza
perché i motori precedenti sono esteticamente più appaganti e meglio rifiniti.
Ogni Triton che si rispetti può avere solo un tipo di forcella: la celebre
Norton Roadholder che ha fatto la sua comparsa nell’immediato
dopoguerra
e ha legato la sua immagine alle competizioni. Èconsentito modificarla,
migliorarla, ma mai sostituirla completamente. Questa operazione è consentita
solamente sulle Triton delle ultime generazioni che, oltre al motore monoblocco,
adottano la forcella della Norton Commando MK V che a partire dal 1972
monta un freno a disco Lockheed da 272 mm di serie (prima veniva fornito
solo come optional).
Rispetto alla Roadholder (sia nella versione stradale sia in quella da
corsa) quest’ultima è molto più lunga, quindi rispetto alle vecchie Triton
l’assetto della moto è completamente stravolto. Negli anni Sessanta
qualcuno
usava mettere in mostra le molle delle forcelle telescopiche asportando
gli astucci metallici che le ricoprivano, come facevano alcuni piloti privati
del Mondiale sulle loro Manx. Anche per quanto riguarda l’impianto
frenante si guarda sempre con attenzione al mondo delle corse, lasciando
comunque l’ultima parola ai gusti personali e alle tasche.
Prima dell’avvento dei dischi Lockheed, anteriormente è un trionfo di
tamburi di varie dimensioni e foggia. Oggi sulle Triton ancora in
circolazione
si vedono degli enormi doppia camma a 4 ganasce di scuola italiana,
ma all’inizio degli anni Settanta - quando il fenomeno delle Cafe Racer
artigianali sta scemando sotto la spinta dei preparatori come Harris, Spondon
e Dresda - chi continua con pochi soldi usa addirittura il tamburo a doppia
camma della Suzuki GT 750 o quelli della produzione giapponese coeva, adattabili
senza troppe modifiche. Al posteriore invece, per rafforzare l’immagine
e la parentela con le varie Manx, AJS 7R e Matchless G50 da GP, molti
recuperavano
il mozzo conico (montato di serie sulla gamma BSA/Triumph a partire dal
1971), per adattarlo poi alle dimensioni del forcellone originale Norton.
Pronti a ritornare on the road.
L'Ace Cafè
L'Ace
Cafè apre nel 1938 ed
inizialmente viene conosciuto come punto di ristoro aperto 24 ore su
24,
meta di automobilisti, camionisti e nottambuli, ma è solo dopo la Seconda
guerra mondiale che il locale diventa famoso fra i giovani londinesi. Il
motivo è piuttosto semplice: i ragazzi degli anni Cinquanta vogliono gettarsi
alle spalle gli orrori della guerra, amano il rock’n’roll, le grosse
motociclette sportive e i giubbotti in pelle nera resi famosi da Marlon
Brando nel celebre film “Il selvaggio”.
E cosa c’è di meglio per dimenticare se non incontrarsi in un pub di
periferia,
bere birra fino a tardi facendo i bulli mentre il juke-box spara nell’aria
le canzoni di Elvis Presley e Gene Vincent? Solamente che per tirarsela
con le ragazze non bastano la musica e le spacconate. Occorrono le sfide,
le gare di accelerazione ai semafori per stabilire chi è il più forte con
la moto.
Così le strade attorno all’Ace Cafe diventano in breve tempo una sorta
di mini circuito stradale da percorrere nel minor tempo possibile, prima
che l’ultima nota del 45 giri suonato dal juke-box si dissolva nella
notte.
È un ambiente rozzo quello dell’Ace Cafe, dove il diverso viene
guardato
con sospetto dai Rocker, i veri padroni del locale. Se la tua pelle
è nera devi starne alla larga, soprattutto se osi passare davanti al
locale in sella ad una moto. Oppure devi dimostrare di essere un duro,
di accettare la sfida, perché solo allora quelli dell’Ace Cafe dimostrano
un minimo di rispetto. Come padre Bill Shergold, pastore protestante
e motociclista convinto che una sera entra nel locale invitando tutti in
chiesa per la funzione religiosa e per iscriversi al 59 Club, uno dei più
grandi Motoclub al mondo e il più conosciuto fra quelli londinesi, di cui
è fondatore.
Per essere un vero duro devi cimentarti nel giro dell’isolato a ritmo
di rock e se vuoi fare la differenza con gli altri devi lanciarti a rotta
di collo verso sud fino alla rotonda di Hanger Lane, oppure salutare
la folla prima di iniziare la staccata di Stonebridge, pensando dentro
di te che non è ancora il momento di cadere.
Finché un bel giorno del 1969 la favola finisce. Sono troppi i ragazzi
dal ciuffo impomatato e ijeans con il risvolto che restano per sempre
stesi sull’asfalto (il picco massimo nel biennio ’56-’58
con 18
morti) per continuare un gioco così rischioso. Intervengono le autorità
e di forza l’Ace Cafe è costretto a chiudere i battenti.
Prima della sua parziale riapertura al pubblico a metà degli anni
Novanta,
di questo mitico locale e dei Rocker che lo popolavano sono rimasti il
ricordo sbiadito delle foto in bianco e nero, dove posano sorridenti con
le loro special.