26 November 2003

Laverda Chott 250

Agonismo ma non troppo

Intro


Nata per il fuoristrada non impegnativo, la Chott non è stata capita. La scarsa affidabilità dell’accensione elettronica ha poi contribuito a limitarne le vendite, malgrado alcune soluzioni affascinanti tipiche della Casa di Breganze.

Le Laverda sono moto strane. Alcuni modelli hanno riscosso notevole successo, non solo sul mercato nazionale. Le sportive a 2 e 3 cilindri costruite dalla Casa di Breganze sono state - e sono tuttora - il sogno segreto di molti appassionati, affascinati dall’alone di moto solide e sportive ma anche di classe e con soluzioni tecniche all’avanguardia. Ai modelli di maggior successo però si sono affiancati altri che non sono riusciti a meritarsi un angolino nel cuore dei motociclisti, vuoi perché anonimi, vuoi per qualche difetto che tale è rimasto. E’ così anche per la Chott 250 da fuoristrada che la Laverda presenta nella prima metà degli anni 70. Ideale per il motoalpinismo, le escursioni in montagna, non è però il mezzo più competitivo presente sul mercato. In compenso ha alcune soluzioni ancor oggi encomiabili e raffinate che consentono una sua tardiva riabilitazione.

L’incompresa
Chott, sulle prime, mette curiosità. E’ il nome dato ad alcuni bacini lacustri salati dell’Africa Settentrionale, zona in cui la moto viene collaudata prima di essere posta in commercio. Ecco allora che il tributo alla località si concretizza con il nome della moto stessa.

Proprio il nome, Chott, le prestazioni non al top ed alcuni problemi costano invece alla Laverda il vezzeggiativo di “ciod”, chiodo, in dialetto lombardo. L’intenzione della Casa era infatti quella di realizzare un mezzo dedicato al fuoristrada leggero, turistico e al motoalpinismo a medio raggio.

Una conferma di ciò ci arriva dalla lettura della prova in anteprima che Motociclismo effettua, prima ancora che il modello venga presentato al Salone di Milano nel 1973. “Per ora - si legge - delle nuove 250 e 420 è prevista la realizzazione di una sola versione: quella turistico sportiveggiante. In seguito saranno però molto probabilmente commercializzati dei kit di trasformazione destinati a rendere competitivo il mezzo nelle gare regolaristiche.

Non è comunque escluso che la stessa Laverda, una volta avviata la produzione e viste le richieste del mercato, provveda direttamente a realizzare versioni regolarità e cross di queste macchine”. Il kit non arriverà mai, in compenso la Laverda due anni dopo commercializzerà la 250 2TR (che sta per “due tempi regolarità”). In pratica una Chott più leggera e performante, più “specialistica”.

Professionista



Polivalente, ma non troppo


Fatte le dovute premesse sull’insuccesso commerciale che ha accompagnato la Chott, passiamo ad analizzare la “creatura” che, come quasi tutte le moto nate a Breganze, contiene soluzioni inedite ed interessanti, a cominciare dal telaio tubolare al cromomolibdeno con geometria variabile.

Il cannotto dello sterzo, grazie ad un sistema brevettato, semplice quanto affidabile, può assumere tre diverse inclinazioni: 28° per un uso “trialistico”, 29° per la Regolarità e 30° per il Cross. Alla prova dei fatti però, il più delle volte il compromesso migliore rimane quello dei 30°. Un’altra finezza è la catena di trasmissione finale completamente racchiusa in un carter in magnesio (electron).

Il magnesio è utilizzato pure per i mozzi dei freni - realizzati dalla stessa Laverda - e per i carter e relativi coperchi del motore, dotati, questi ultimi, di attacchi per contagiri e tachimetro. Per la colorazione di questi particolari, la Casa sceglie il bronzo. La frizione, collocata nel carter della trasmissione primaria, dunque in bagno d’olio, lavora però a secco, grazie ad un coperchio che racchiude i dischi ermeticamente. Infine vi sono l’utile decompressore, 2 candele e l’accensione elettronica Bosch.

Per il resto, la Chott è esente da critiche e svolge ancor oggi il compito per cui è nata. Freni, sospensioni, ciclistica, cambio, tiro del motore e potenza non scontentano nessuno. Solo l’avviamento, quasi sempre immediato, non è facilitato dalla leva, posizionata troppo in alto.


Quasi “professionista”


Come abbiamo già accennato a 2 anni dal lancio sul mercato della Chott, la Laverda presenta una nuova versione della sua fuoristrada. La base è invariata, ma alcune migliorie cambiano non solo l’aspetto ma anche il carattere della motocicletta, che si presenta ora più professionale, più specifica per affrontare il fuoristrada.

Non più verde scuro o rosso il serbatoio, ma bianco, con delle piccole strisce verdi e rosse, che ricordano la bandiera nazionale. Il motore diventa nero, come per altro i mozzi e i tamburi delle ruote. A colpo d’occhio poi si notano subito le gomme tassellate ed i parafanghi di plastica, con l’anteriore posizionato in alto, come nelle moto da Cross e Regolarità, e non alla “trial”. Aggiungiamo la colorazione del telaio, rossa, il portanumero sul manubrio e l’eliminazione della strumentazione, ed ecco che sembra quasi di avere a che fare con un’altra moto.

Per resistere alle maggiori sollecitazioni il telaio, nei punti critici è rinforzato mediante delle squadrette saldate. Infine il motore subisce alcuni interventi: viene rivista la carburazione, le luci di travaso e sostituito il pistone con uno privo di finestrella per il travaso supplementare e dotato di un solo segmento normale in luogo a quello ad “L”. La cura sortisce i suoi effetti ed il motore guadagna circa 4 CV ad un numero di giri leggermente inferiore.

© RIPRODUZIONE RISERVATA