Honda CB 450
Honda cb 450
È con questa bicilindrica che nel 1966
la Honda dà l’assalto al mercato USA proponendosi per la prima volta anche
nelle medie cilindrate ma offrendo prestazioni da maxi. Dalla prima versione
con gli inevitabili difetti di gioventù, all’ultima del 1972, attraverso
modelli poco noti in Italia ma ricchi di fascino alternativo.
Alla metà degli anni Sessanta quando
la Honda CB450 si affaccia sul mercato motociclistico mondiale il
monopolio
delle moto di grossa cilindrata è nettamente in mano all’industria
inglese.
I giapponesi si sono per ora limitati a costruire motociclette di cilindrata
ridotta. L’arrivo di una cilindrata medio/grossa “made in
Japan” mette
quindi senz’altro sull’avviso che un’era sta
per concludersi.
Fin dal marzo 1965 qualche esemplare aveva incominciato a circolare
negli Stati Uniti affidato a dei collaudatori. La moto, inizialmente
chiamata dalla Honda con il soprannome di Condor, aveva impressionato
più d’uno. In effetti, almeno sulla carta, le caratteristiche
dell’uragano
la nuova Honda CB450 le ha davvero tutte: bicilindrica 4 tempi doppio
albero a camme in testa, 43 CV ad 8.300 giri, 180 km/h di velocità
massima, 100 m con partenza da fermo in 5” e 3 decimi, quarto di miglio
in poco più di 13”.
Difetti di gioventù
Oggi non ci si stupisce più dei traguardi
tecnici dell’industria giapponese, ma nel 1965 questi dati suscitano
meraviglia
non senza qualche perplessità. Il motore è infatti un concentrato di
innovazioni.
Se la struttura del bicilindrico verticale frontemarcia ha la sua
ragione d’essere proprio per competere con gli inglesi sul loro terreno
preferito, il motore Honda è però un superquadro a differenza dei
britannici.
La distribuzione è oltremodo raffinata:
doppio albero a camme in testa comandato da catena. Le valvole sono richiamate
non da comuni molle a spirale, ma da barre di torsione che riducono
il pericolo di sfarfallamento agli alti regimi, consentendo ampi margini
di fuorigiri. Le bielle sono disposte a 180° con notevole riduzione delle
vibrazioni rispetto ai 360° comuni sui bicilindrici inglesi.
L’estetica invece non piace a tutti. In
effetti il grosso serbatoio cromato ha una forma alquanto sgraziata
ed appare eccessivo il “salto” tra sella e serbatoio. Per il resto
la
bicilindrica giapponese riserva soddisfazioni e delusioni. Su strada
emergono alcuni difetti non lievi: la moto è pesante da guidare,
lenta da inserire in curva, vibra notevolmente a qualsiasi regime, le
guarnizioni
trasudano olio, il cambio non è un portento di precisione ed i
rapporti
non sembrano scelti nel migliore dei modi. La nuova Honda soffre di un
“complesso d’identità”, perchè se la cilindrata di 450 cc la
fa rientrare
tra le medie, e quindi ci si aspetta soprattutto agilità e facilità di
guida, il peso eccessivo (oltre 188 kg) la colloca nella categoria
superiore, dove però soffre un poco il confronto prestazionale con
le più grosse biciclindriche inglesi.
L’elasticità lascia a desiderare: con
una coppia di 3,82 kgm a 7.250 giri si ha a che fare con un motore
nervoso
ed appuntito che infatti evidenzia i suoi limiti nella guida cittadina
dove serve elasticità ed un buono spunto dai bassi giri. La bialbero Honda
prima serie dopo gli entusiasmi iniziali lascia quindi un po’ di amaro
in bocca. Prima di lasciare spazio alla nuova versione che giungerà nel
1968, la Honda presenta al Salone di Londra del ‘67 una versione Super
Sport, o Sportster a seconda del mercato, che introduce i parafanghi
cromati,
il motore lucidato ed il manubrio basso in due pezzi. Le prestazioni comunque
sono analoghe salvo il lieve guadagno offerto dalla posizione di guida
più aerodinamica.
Sbagliando si impara: le K1 e K2
All’inizio del 1968 viene presentata la
CB450 K1 : l’estetica è assai più accattivante e dà una
sensazione di leggerezza rispetto alle massicce fattezze della progenitrice.
La moto è ora snella e filante, il “brutto uovo” è stato
sostituito
da un elegante serbatoio, forse un po’ limitato come capienza, ma con
la forma a goccia che tanto piace agli americani, ed i due seriosi
colori disponibili, il nero e l’argento per la fascia superiore ed i
fianchetti,
hanno lasciato spazio ad una gamma più vivace di tinte metallizzate.
Cromatissimi
e lucenti i parafanghi, e lucidato a specchio il motore, mentre due moderni
strumenti circolari rimpiazzano l’antiquato quadrante ovale. Il cambio
ha acquistato una marcia ed ha perso i problemi di legnosità ed
imprecisione.
L’albero motore, la lubrificazione, la
distribuzione, il diametro e le molle delle valvole, la compressione, i
carburatori, le camere di scoppio, la frizione, tutto è stato passato al
setaccio per eliminare i problemi emersi in due anni di utilizzo
pratico della macchina.
La carburazione è più a punto e si sono
guadagnati altri due CV salendo a 45 CV a 9.000 giri con un incremento
della coppia a 4 kgm a 7.000 giri. Il telaio è un po’ più lungo ed il
motore vi è collocato in modo più bilanciato.
La struttura monoculla che si sdoppia
sotto al motore è la stessa, ma le quote sono differenti e la rigidità
superiore. La forcella ha le molle esterne inguainate da soffietti in gomma,
steli di maggior diametro e nuovi ammortizzatori interni. I freni
non avevano denunciato grossi problemi e rimangono soddisfacenti anche
nell’uso urbano. In definitiva la K1 è una moto completamente
rifatta,
più potente, ed assai più guidabile ai bassi e medi regimi, rimediando
ai problemi che erano stati denunciati nell’utilizzo pratico della
quattro marce.
Nel novembre del ‘68 arriva il modello
per la stagione successiva che si discosta in pochi particolari dalla K1.
La nuova K2 monta però inediti ammortizzatori De Carbon costruiti
su brevetto francese e pressurizzati con nitrogeno a quasi 400 psi.
La tenuta di strada è ancora migliorata sia nell’inserimento nelle
curve strette, che nella guida su superfici irregolari, dove per la scarsità
dei vecchi ammortizzatori posteriori, si erano avuti forti problemi di
guidabilità e controllo della traiettoria. Come la K1, la K2 raggiunge
i 171 km/h in posizione abbassata al regime di 9.000 giri, contro i 169,8
a quasi 10.000 giri della quattro marce.