09 December 2003

Honda CB 450

Prove d’invasione.

Honda cb 450


È con questa bicilindrica che nel 1966 la Honda dà l’assalto al mercato USA proponendosi per la prima volta anche nelle medie cilindrate ma offrendo prestazioni da maxi. Dalla prima versione con gli inevitabili difetti di gioventù, all’ultima del 1972, attraverso modelli poco noti in Italia ma ricchi di fascino alternativo.

Alla metà degli anni Sessanta quando la Honda CB450 si affaccia sul mercato motociclistico mondiale il monopolio delle moto di grossa cilindrata è nettamente in mano all’industria inglese. I giapponesi si sono per ora limitati a costruire motociclette di cilindrata ridotta. L’arrivo di una cilindrata medio/grossa “made in Japan” mette quindi senz’altro sull’avviso che un’era sta per concludersi. Fin dal marzo 1965 qualche esemplare aveva incominciato a circolare negli Stati Uniti affidato a dei collaudatori. La moto, inizialmente chiamata dalla Honda con il soprannome di Condor, aveva impressionato più d’uno. In effetti, almeno sulla carta, le caratteristiche dell’uragano la nuova Honda CB450 le ha davvero tutte: bicilindrica 4 tempi doppio albero a camme in testa, 43 CV ad 8.300 giri, 180 km/h di velocità massima, 100 m con partenza da fermo in 5” e 3 decimi, quarto di miglio in poco più di 13”.

Difetti di gioventù

Oggi non ci si stupisce più dei traguardi tecnici dell’industria giapponese, ma nel 1965 questi dati suscitano meraviglia non senza qualche perplessità. Il motore è infatti un concentrato di innovazioni. Se la struttura del bicilindrico verticale frontemarcia ha la sua ragione d’essere proprio per competere con gli inglesi sul loro terreno preferito, il motore Honda è però un superquadro a differenza dei britannici.
La distribuzione è oltremodo raffinata: doppio albero a camme in testa comandato da catena. Le valvole sono richiamate non da comuni molle a spirale, ma da barre di torsione che riducono il pericolo di sfarfallamento agli alti regimi, consentendo ampi margini di fuorigiri. Le bielle sono disposte a 180° con notevole riduzione delle vibrazioni rispetto ai 360° comuni sui bicilindrici inglesi.
L’estetica invece non piace a tutti. In effetti il grosso serbatoio cromato ha una forma alquanto sgraziata ed appare eccessivo il “salto” tra sella e serbatoio. Per il resto la bicilindrica giapponese riserva soddisfazioni e delusioni. Su strada emergono alcuni difetti non lievi: la moto è pesante da guidare, lenta da inserire in curva, vibra notevolmente a qualsiasi regime, le guarnizioni trasudano olio, il cambio non è un portento di precisione ed i rapporti non sembrano scelti nel migliore dei modi. La nuova Honda soffre di un “complesso d’identità”, perchè se la cilindrata di 450 cc la fa rientrare tra le medie, e quindi ci si aspetta soprattutto agilità e facilità di guida, il peso eccessivo (oltre 188 kg) la colloca nella categoria superiore, dove però soffre un poco il confronto prestazionale con le più grosse biciclindriche inglesi.

L’elasticità lascia a desiderare: con una coppia di 3,82 kgm a 7.250 giri si ha a che fare con un motore nervoso ed appuntito che infatti evidenzia i suoi limiti nella guida cittadina dove serve elasticità ed un buono spunto dai bassi giri. La bialbero Honda prima serie dopo gli entusiasmi iniziali lascia quindi un po’ di amaro in bocca. Prima di lasciare spazio alla nuova versione che giungerà nel 1968, la Honda presenta al Salone di Londra del ‘67 una versione Super Sport, o Sportster a seconda del mercato, che introduce i parafanghi cromati, il motore lucidato ed il manubrio basso in due pezzi. Le prestazioni comunque sono analoghe salvo il lieve guadagno offerto dalla posizione di guida più aerodinamica.

Sbagliando si impara: le K1 e K2

All’inizio del 1968 viene presentata la CB450 K1 : l’estetica è assai più accattivante e dà una sensazione di leggerezza rispetto alle massicce fattezze della progenitrice. La moto è ora snella e filante, il “brutto uovo” è stato sostituito da un elegante serbatoio, forse un po’ limitato come capienza, ma con la forma a goccia che tanto piace agli americani, ed i due seriosi colori disponibili, il nero e l’argento per la fascia superiore ed i fianchetti, hanno lasciato spazio ad una gamma più vivace di tinte metallizzate. Cromatissimi e lucenti i parafanghi, e lucidato a specchio il motore, mentre due moderni strumenti circolari rimpiazzano l’antiquato quadrante ovale. Il cambio ha acquistato una marcia ed ha perso i problemi di legnosità ed imprecisione.

L’albero motore, la lubrificazione, la distribuzione, il diametro e le molle delle valvole, la compressione, i carburatori, le camere di scoppio, la frizione, tutto è stato passato al setaccio per eliminare i problemi emersi in due anni di utilizzo pratico della macchina.
La carburazione è più a punto e si sono guadagnati altri due CV salendo a 45 CV a 9.000 giri con un incremento della coppia a 4 kgm a 7.000 giri. Il telaio è un po’ più lungo ed il motore vi è collocato in modo più bilanciato.

La struttura monoculla che si sdoppia sotto al motore è la stessa, ma le quote sono differenti e la rigidità superiore. La forcella ha le molle esterne inguainate da soffietti in gomma, steli di maggior diametro e nuovi ammortizzatori interni. I freni non avevano denunciato grossi problemi e rimangono soddisfacenti anche nell’uso urbano. In definitiva la K1 è una moto completamente rifatta, più potente, ed assai più guidabile ai bassi e medi regimi, rimediando ai problemi che erano stati denunciati nell’utilizzo pratico della quattro marce.

Nel novembre del ‘68 arriva il modello per la stagione successiva che si discosta in pochi particolari dalla K1. La nuova K2 monta però inediti ammortizzatori De Carbon costruiti su brevetto francese e pressurizzati con nitrogeno a quasi 400 psi. La tenuta di strada è ancora migliorata sia nell’inserimento nelle curve strette, che nella guida su superfici irregolari, dove per la scarsità dei vecchi ammortizzatori posteriori, si erano avuti forti problemi di guidabilità e controllo della traiettoria. Come la K1, la K2 raggiunge i 171 km/h in posizione abbassata al regime di 9.000 giri, contro i 169,8 a quasi 10.000 giri della quattro marce.

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