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Voglio fare il tester

Ho scritto un libro, sul tema. Vi racconto come questa travolgente passione è diventata anche il mio lavoro. Dalle prossime domeniche, via la censura da alcune marachelle da tester ormai andate, si spera, in prescrizione…

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Da dove comincio? Dalla Aprilia AF1 50 Project 108. È l’anno 1988, finalmente ho 14 anni e non mi interessa nient’altro al mondo. La mia moto spicca tra le bici nel cortile del Ginnasio. È l’unica col monobraccio, la sola con le carenature viola. E profuma di Castrol TTS. In classe il casco di Kevin Schwantz rivela anche ai professori qual è la mia materia preferita. Studio poco il greco e molto la geometria: curve, rette, ma anche entità e leggi della fisica come il baricentro, l’accelerazione, la forza centrifuga e centripeta. Sono piccolo, tronfio e incosciente. Ho persino un mio fan club di mocciosi per i quali sono il mito più a portata di mano.

La passione è la molla di tutte le imprese al limite nelle quali mi cimento. O memorabili, come quel primo, lunghissimo viaggio in moto(rino) da Milano a Principina a Mare effettuato a 14 anni. Con il mio amico Oliver, baby motociclista già grande manetta, programmiamo l’avventura da mesi. Dopo la scuola ci troviamo come due carbonari davanti alla cartina dell’Italia per mettere a punto il percorso che meglio possa esaltare la nostra... tecnica di guida. Passo del Penice, Passo del Bracco, oppure là dove la Statalona 62 si biforca e si può scegliere tra costeggiare il mare o assaggiare i tornanti marmorei delle Apuane. Siamo noi, nell’estate del 1989, quei due puntini che a 50 km/h percorrono più di 500 km con la vacanza e la libertà nello zaino.

I PRIMI CONTATTI CON LE REDAZIONI

Alla fine degli anni Ottanta i contatti con le redazioni avvengono tramite lettera o telefono, fisso. Niente cellulare, niente computer, la mia è l’ultima generazione che ha qualche ricordo dell’analogico. Invio centinaia di lettere – centinaia – alla rubrica di posta delle riviste di moto per formulare critiche e commenti o creare dibattito intorno al mio illuminato parere.

È una fase molto importante perché inconsapevolmente sto producendo, attraverso una scrittura serrata e logorroica, l’embrione di quella che sarà la mia cifra stilistica di giornalista. Scrivo così tanto che la mamma zittisce i miei fratelli: Fede ha tanti compiti, poverino.

Inizio degli anni Novanta, la mia moto è una Aprilia Futura 125 preparata Sport Production, ma io sono ancora a girare a Bonola. Ecco un talento incompreso. Senza pista per dimostrare. Senza uno straccio di nessuno che investa su di me. Sempre a caccia di qualcuno da sfidare. Invece l’imprevedibile accade, passa il famoso treno da prendere al volo: Motosprint mi stana dalla posta dei lettori, nonostante gli pseudonimi con cui mi maschero per continuare a vedere pubblicate le mie lettere. Vogliono conoscermi.

Detto fatto, sono su quel treno. Accedo al primo gradino della scala che porta al Sogno non in virtù delle mie performanti esibizioni, ma grazie all’interesse suscitato dalla freschezza di una passione che cerca di esprimersi in tutti i modi possibili. Dal colloquio nasce una collaborazione che sono disposto a prestare anche gratis. Nell’apprezzamento e probabilmente nell’ilarità generale la richiesta viene accolta.

SALA STAMPA QUESTA SCONOSCIUTA

Eccomi nel mio ufficio, camera mia. Telefono, fax, fotocopiatrice, macchina da scrivere. Ho 19 anni. Il primo computer arriverà l’anno dopo, importante investimento a rate (70.000 lire al mese) nel mio futuro. Seguo il campionato regionale di Motocross, sono il capo e il sottoposto dell’ufficio passacarte della Federazione Motociclistica Italiana, curo l’ufficio stampa per conto di aspiranti piloti, manager, organizzatori di Monomarca, promotori di eventi. Mi faccio le ossa nel girone ruspante delle due ruote.

Gettone presenza e rimborso spese spesso non bastano neppure a seguire le gare più vicine. Indimenticabile la trasferta a Varano de’ Melegari. Porto con me la mia ragazza perché per seguire la gara scelgo una collinetta da dove è possibile vedere tutto il circuito, ma ho bisogno di qualcuno che legga col binocolo i numeri delle moto mentre io prendo appunti. Arrossisco ancora adesso. Eppure il ricordo di quella patetica strategia è l’esatta fotografia dei due amori su cui ho costruito la mia vita e non avrebbe trovato cornice migliore nella attrezzatissima sala stampa di cui allora ignoravo l’esistenza.

LA SVOLTA VIA FAX

Hockenheim, 26 maggio 1991, Kevin Schwantz infila Wayne Rayney all’ingresso del Motodrom. Forse non correrò mai, io. Ma voglio appartenere a quella bella storia almeno col cuore nella penna. Affido a quel sorpasso l’articolo della svolta. Spedisco via fax (ebbene sì, si usava ancora il fax!) a tutte le redazioni di moto un foglio A4 con la cronaca del finale di gara tra i più belli di sempre. Piace.

Tre anni più tardi sono pubblicista a 100.000 lire a pezzo. Tra il ‘94 e il ‘97 curo i principali servizi sul Campionato Italiano Minimoto che ruota intorno a bambini prodigio che si chiamano Marco Simoncelli e Andrea Dovizioso, Marco Melandri e Michel Fabrizio. Entro nelle grazie dei loro genitori e del coordinatore FMI Carlo Gasparini, mio primo mentore, paterno e generoso compagno di tante trasferte. Quando non posso autofinanziarmi per seguirli sui kartodromi di mezza Italia mi pagano le spese con una colletta alla buona. Non sarà ancora il massimo della vita, ma intanto eccomi qui giornalista di moto: sono al settimo cielo!

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