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100 anni di BMW: gli anni 70 e 80

Questo è un ventennio importante, da una parte con un susseguirsi di alti e bassi economici dettati dal periodo storico, dall’altra per la realizzazione di moto sempre più performanti e… penetranti. Dalla metà degli Anni 70, infatti, la Casa tedesca rispolvera un vecchio pallino, quello per l’aerodinamica. E intanto, ai vertici c’è chi mette in dubbio il futuro del boxer

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A sinistra, la R 100 RS durante i test nella galleria del vento Pininfarina. Sopra, come si è evoluta la carenatura, dal cupolino della R 90 S alle sempre più coprenti della R 100 RS, K 100 RS e l’integrale della K 1, che riprende il concetto “totale” della moto dei record di Henne sullo sfondo.

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Siamo negli Anni 70, il mondo intero è in ebollizione, e non per presunti o meno cambiamenti climatici, quanto per la nascita di una coscienza sociale sempre più forte che vede nella pace (mezzo mondo è in guerra e l’altro sotto lo spettro della Guerra Fredda) e nel riscatto delle classi meno abbienti motivi di grande fermento, enfatizzati da una economia non propriamente stabile, anche per via delle crisi energetiche del 1973 e 1979. In questo panorama BMW mette in atto la sua piccola “rivoluzione”, una serie di operazioni che la portano a riguadagnare una posizione di prestigio nel mondo delle due ruote.

In verità tutto prende il via un pelo prima, nel 1969 con l’arrivo della famiglia “Barra 5” composta dalle R 50/5, R 60/5 e R 75/5, con quest’ultima punta di diamante della produzione per prestazioni e qualità costruttiva. Con le tre “Barra 5” la Casa bavarese porta avanti un progetto stilistico di totale rottura col passato, a partire dal look: adesso c’è un serbatoio più importante, meno allungato e sviluppato verticalmente, una sella lunga pensata per due e un faro anteriore più compatto e privo di strumentazione, ora indipendente e a due elementi circolari. Insomma, si intravedono quelle forme che oggi ispirano la gamma Heritage come le R nineT. Completamente riprogettata la ciclistica, che vede in primis un telaio inedito, sempre in tubi di acciaio ma diviso in due parti e non più lungo fin quasi al mozzo della ruota posteriore: il monotrave superiore, infatti, ora si sdoppia in una culla inferiore chiusa in prossimità dell’uscita dell’albero cardanico, mentre al retrotreno c’è un leggero triangolo in tubi imbullonato con funzione di reggisella. A questo sono fissati gli ammortizzatori dalla lunga escursione, mentre all’avantreno la forcella oscillante lascia il posto a una telescopica da 214 mm di corsa.

E il motore? Tutto nuovo anch’esso. Sempre bicilindrico boxer con due valvole in testa comandate da aste e bilancieri ora è completamente chiuso (ingloba il filtro dell’aria e lo avviamento elettrico) sviluppato in verticale come il serbatoio e con i cilindri sono realizzati in alluminio con camicia in ghisa. Per fare spazio allo starter, l’albero a camme si sposta nella parte bassa del basamento insieme alle aste di comando delle valvole. Ad alimentare il boxer “750”, due carburatori da 32 mm a pressione costante della Bing, mentre sulle R 50 e R60/5 continua ad esserci la versione a “ghigliottina”.

Le vendite vanno forte e le Barra 5 si evolvono prima nel 1972 con un serbatoio più piccolo da 18 litri e poi l’anno successivo con l’arrivo di un forcellone più lungo, soluzione adottata per avere maggiore stabilità sul veloce e lo spazio necessario per montare una batteria più grande. Il 1973 è però un anno di svolta: BMW presenta la R 90 S, erede delle fortunate R 50 S e R 69 S, entrambe del 1960. Come queste è una sportiva, ma i suoi “meriti” sono da imputare al cupolino protettivo (che ne allarga l’uso verso il turismo), al look più sportiveggiante della coda e l’adozione del boxer più grande mai prodotto fino ad allora: un 898 cc da 67 CV che si fa forte di piccole migliorie come pareti del basamento più spesse, carburatori Dellorto da ben 38 mm di diametro e provvisti di pompa di ripresa (utilizzate in quegli anni anche da Ducati e Moto Guzzi), il cambio a cinque marce (finalmente). A questi vanno poi ad aggiungersi la strumentazione Moto Meter con contagiri e tachimetro separati dalle spie di servizio, il freno anteriore a doppio disco, l’ammortizzatore di sterzo regolabile tramite pomello sulla piastra di sterzo, oltre ai pistoni più voluminosi.

Oltre alla R 90 S, anche le nuove R 60/6, R 75/6 e R 90/6: se le prime due sono praticamente le rispettive Barra 5 con alcuni dettagli estetici differenti (blocchetti elettrici ridisegnati, strumentazione della S, copriammortizzatori più corti, freno a disco singolo – il “doppio” è optional), la R 90/6 invece, dalle /5 riprende solo il design, mentre tecnica e meccanica (depotenziata a 60 CV) sono della sorella S.

La R 90 S resta in gamma fino al 1976 quando la Casa bavarese tira fuori dal cilindro la tanto desiderata “mille”, declinata in tre versioni. Sono loro, le R 100/7, R 100 S e R 100 RS le principesse di una famiglia boxer tutta rinnovata che si allarga comprendendo anche le R 60/7, R 75/7 e R 80/7. Di tutte, però, è la R 100 RS a finire sotto i riflettori per via della sua propensione al turismo veloce. Si può dire che è con lei che nasce il filone delle sport tourer.

Costruita intorno alla base meccanica della 90 S, mette in mostra una carena più vistosa, protettiva (dal faro si allunga fino ai cilindri) e soprattutto aerodinamica: con lei BMW riscopre lo studio dei flussi d’aria in galleria del vento (usa quella di Pinifarina) per offrire maggiore stabilità sul veloce e al contempo una superiore protezione al pilota. Il boxer ora è da 980 cc e tira fuori 70 CV grazie a condotti d’aria ridisegnati mentre il telaio, ripreso anch’esso dalla 90 S, ha tubi perimetrali più spessi e un ulteriore traversino che unisce i due discendenti sotto il cannotto, per aumentarne la resistenza torsionale. Infine, un ulteriore passo verso la modernità sono le inedite ruote in lega al posto delle classiche a raggi.

Ad affiancarla, due sorelle, la roadster (o naked, come le chiamiamo oggi) R 100/7 che adotta il boxer da 60 CV della /6, e la sportiva R 100 S, più potente con i suoi 65 CV ottenuti grazie all’utilizzo di carburatori più grandi (40 mm invece di 32), un maggiore rapporto di compressione e la presenza di fori sul filtro dell’aria. L’offerta BMW non si conclude qui: oltre alle “mille” sono presenti in gamma anche le R 60/7 e R 75/7 (sostituita l’anno successivo dalla R 80/7) che ereditano le migliorie telaistiche implementate sulle boxer da un litro. La nuova generazione /7 si riconosce facilmente dai coperchi valvole che abbandonano le forme tondeggianti degli Anni 50 e 60 in favore di un design squadrato (a esclusione della solo R 60/7). Le R 100 sono il fiore all’occhiello della produzione bavarese, hanno una qualità costruttiva elevata, una buona dinamica di guida, comfort da vendere e punte velocistiche vicine a quelle delle innovative giapponesi (che intanto stanno sbaragliando il mercato mettendo al palo le storiche case europee). Non solo, sono anche tra le migliori interpreti del filone sport tourer, continuamente perfezionato con l’introduzione nel 1978 della R 100 T (che prende il posto della S) e ancor di più con la R 100 RT, che si differenzia dalla RS per il plexi più verticale.

Mentre BMW è concentrata sulle sue boxer stradali dal pallino per il turismo a lungo raggio, le giapponesi fanno la voce grossa non solo con le loro potenti e veloci quattro cilindri, ma anche con le enduro. Entrambe sono tendenze che in quel di Monaco di Baviera non vengono prese alla leggera tanto che, zitta zitta, nel 1980 la Casa tedesca rielabora il concetto di enduro pura e dura prestata alla strada (in tanti le acquistano per viaggiare su asfalto) svelando quella che sarà la mamma delle crossover moderne, la R 80 G/S. La fuori/stradale tedesca spiazza tutti perché in un colpo solo mette in mostra doti da stradale vera e da dura offroad.

Sviluppata sui campi da gara del Campionato tedesco categoria “settemmezzo”, la G/S sfrutta la base meccanica delle piccole boxer R 45/65 cui affianca un telaio alleggerito e con quote ciclistiche ridisegnate. Non solo, all’anteriore spunta un inedito freno Brembo con pinza fissa sullo stelo, mentre al posteriore fa bella mostra di sé il monobraccio Monolever, studiato per accrescere il livello del comfort, della facilità manutentiva e del risparmio di peso. Alle vendite della G/S contribuisce anche la partecipazione ai rally raid come la Paris-Dakar, tra l’altro vinta nei 1981-83-84-85. Come negli Anni 20 e 30, ancora una volta le competizioni fanno da volano nelle vendite dei modelli di serie, insieme all’incontestabile fascino dell’avventura resa dalla G/S a portata di mano anche di piloti meno esperti. A sottolineare la bontà della base tecnica della G/S è la successiva sorellastra R 80 ST, stradale pura del 1982 con stesso motore boxer da 797 cc e 50 CV incastonato in un telaio rivisto nelle quote ciclistiche che adotta all’anteriore una ruota da 19” invece della 21” della sorella endurona.

Nonostante il successo della R 80 G/S e il continuo buon andamento delle altre bicilindriche boxer, in BMW continua lo sviluppo di un progetto nato parallelamente alla enduro stradale, quello di una quattro cilindri in salsa bavarese. Originariamente i vertici pensano all’architettura boxer, marchio di fabbrica delle Casa dell’elica e perfetta continuazione con la filosofia aziendale. Peccato solo che una certa Honda dal 1975 ha in listino la Gold Wind, una boxer quattro cilindri dalla forte vocazione turistica. Un vero gioiellino di moto. BMW, giustamente, non ha intenzione di passare per quella che copia ed è così che prende piede l’idea di un propulsore modulare da 4 o 3 cilindri in linea posizionati longitudinalmente rispetto al senso di marcia.

Nasce nel 1983 la K 100 e il suo motore a “sogliola” da 987 cc e 90 CV, raffreddato a liquido, con distribuzione a due valvole in testa e i cilindri sdraiati e bassi come il boxer è subito sulla bocca di tutti. L’idea viene fuori nel 1977 dal progettista Josef Fritzenwenger ma è solo due anni dopo che i “capoccia” di BMW lo approvano. Dietro alla moto ci sono anche Gunter Schier per la ciclistica, Klaus Volker Gevert per lo stile e Martin Probst al propulsore, che forte della sua esperienza sui propulsori maturanta in Formula 2, porta nel nuovo 4 cilindri bavarese proprio alcune soluzioni automobilistiche, come la corsa lunga dei cilindri (si punta più sulla coppia che sulle prestazioni pure) e la gestione elettronica dell’iniezione. La fortuna di questo motore è quella di essere realizzato sulla base di tecnologie da tempo collaudate in casa BMW, il che lo rende parecchio affidabile.

Tra i problemucci che si sono riscontrati nei suoi anni di vita c’è una tendenza a cedere da parte delle guarnizioni della testa: sulla K 100, infatti, il quattro-in-linea svolge funzione portante, sorretto dai “bracci” dell’inedito telaio a traliccio in tubi di acciaio che corre superiormente. Come da tradizione, la maxi roadster tedesca non nasce da sola, insieme a lei BMW mette al mondo anche la gemella diversa RS, una sport tourer con semicarena appuntita, mentre nel 1984 e nell’86 arrivano le ultra turistiche RT e LT (quest’ultima con in più il set di valigie, la radio e l’ammortizzatore autolivellante, tutto di serie). La serie K va così bene che l’azienda bavarese inizia a pensare che forse è tempo di pensionare il boxer, vista anche la difficoltà dei motori ad aria a rispettare le restrittive norme antinquinamento acustico.

E intanto la famiglia si allarga verso il basso con l’arrivo nel 1985 della più piccola tre cilindri K 75, nata come spesso è accaduto in passato per cercare di conquistare nuovo pubblico attraverso una moto più facile e meno costosa. Questa non è altro che una K 100 rivista in alcuni aspetti, in primis nel motore che perde un cilindro e guadagna camere di combustione ridisegnate e un rapporto di compressione maggiorato. La potenza scende a 75 CV eppure, nonostante l’architettura a “sogliola” e le soluzioni tecniche siano praticamente le stesse, il propulsore sembra godere di una erogazione più fluida e di trasmettere minori vibrazioni. Sempre per andare incontro a un pubblico teoricamente meno esperto, sulla tre cilindri il pneumatico posteriore ha una sezione ridotta, il peso è inferiore di 11 kg ed è anche riposizionato in modo tale da accentuare la facilità d’uso (i bracci del telaio sono più lunghi verso il basso).

Sempre nell’85, alla versione base si affianca la S: la forcella più rigida e dalla minore escursione, il manubrio più stretto e la semicarena portano un maggiore carico sull’avantreno, regalandole un avantreno solido e adatto a una guida sportiva. Tra K 100 e K 75 il boxer sembra non essere più il centro gravitazionale della produzione bavarese. Nonostante questo, verso la fine del 1984 viene rivisto nella distribuzione e nei condotti di aspirazione e scarico, mentre tra le alette di raffreddamento dei cilindri spuntano inediti inserti in gomma atti a ridurre la rumorosità del propulsore. Non solo, in questi anni sempre più preparatori si dilettano nel preparare i grossi boxer, tendenza che spinge gli uomini BMW a riproporre versioni aggiornate prima della R 100 RS (con potenza ridotta a 60 CV per riuscire a superare le omologazioni antirumore) poi della enduro stradale GS, che da una perde la barra nel nome ma dall’altra guadagna il bicilindrico boxer “mille” e l’inedito Paralever, un monobraccio con doppio snodo studiato per ridurre il beccheggio tipico della trasmissione ad albero, e ottenere così una guida più stabile ed efficace.

È il 1987, la R 100 GS e la versione Paris-Dakar dell’anno successivo rilanciano l’enduro tedesca e, allo stesso tempo, portano il boxer dritto dritto nel nuovo decennio, ma senza prima dare spazio a uno dei progetti più azzardati dei 100 anni BMW, la K 1. Con questa super-sport-tourer la casa tedesca punta tutto sulla tecnica e ancor di più sull’innovazione tecnologica e sul profilo aerodinamico, un “mito” che i bavaresi avevano accantonato nel 1937, dopo il record di velocità stabilito da Ernst Henne su di una boxer 500 Kompressor completamente carenata come un lungo siluro (ne abbiamo scritto sul nr 7 Motociclismo del Luglio 2023).

Quella della penetrazione dell’aria a favore del comfort di marcia (e non solo delle prestazioni pure) è una “fissazione” per BMW, così come lo sta diventando anche per le propositive concorrenti giapponesi. La casa tedesca, però, lo fa con maggiore convinzione e sperimentazione (un po’ come oggi Aprilia e Ducati in MotoGP), tanto da realizzare una carenatura totale, o quasi. Le forme, un mix di spigoli e linee morbide, corrono dal parafango anteriore che copre mezza ruota (unica nel suo genere) fino alla massiccia coda squadrata – già vista sulle sportive nipponiche – con in più delle protuberanze laterali (una sorta di “ali”) e quella forma a “coda d’ape” che tanto verrà poi sviluppata sulle Suzuki GSX-R Anni 90. E, al centro, una carenatura integrale che lascia spazio alle sole feritoie laterali per lo sfogo del calore prodotto dal motore che, dietro alla ormai nota architettura a “sogliola”, si scopre avere alcune importanti novità: sempre da 987 cc, adotta un albero motore alleggerito, un’elettronica più compatta (c’è una sola centralina che gestisce accensione e iniezione), una inedita distribuzione a 4 valvole per cilindro (e non due come sulle K 100), candele d’accensione poste centralmente e un rapporto di compressione maggiorato.

Risultato, 100 CV (limite di potenza imposto dalle leggi tedesche del tempo) e 100 Nm di coppia, con una velocità autolimitata a 233 km/h. L’attenzione, ovviamente, non cade solo sulla meccanica ma anche su alcune soluzioni tecniche adottate al fine di ottenere un’elevata stabilità sul veloce. Per questo motivo la K 1 utilizza il telaio delle K 100 ma con pareti più robuste, quote ciclistiche che vedono un avancorsa contenuto abbinato a un interasse lungo, dischi freno da 305 mm, pneumatici di larga sezione, una forcella dai grossi steli e, al posteriore, il monobraccio Paralever già visto sulla R 100 GS. Ma non è tutto: la K 1 non è solo un riferimento a livello aerodinamico ma anche tecnologico, visto che è la prima moto ad adottare il sistema di antibloccaggio in frenata, meglio noto come ABS, e già in uso nel mondo automobilistico da una decina d’anni. Il decennio si chiude con la reintroduzione della K 100 RS, o meglio di una K 1 vestita con la carena tagliente della cugina RS. Un classico firmato BMW che ha da subito un grande successo di vendita, grazie anche a due modifiche (manubrio più largo e specchietti riposizionati rispetto alla sportiva) che la rendono ancora di più una perfetta sport tourer. In quel di Monaco, intanto, si vocifera da tempo di un prossimo step evolutivo per il bicilindrico boxer ad aria. Ma di questo vi racconteremo in futuro.

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