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Calabria in moto, cercando radici e identità dell'Aspromonte

Una meta imperdibile per un viaggio in moto in Italia è la Calabria. In Aspromonte con una Yamaha Ténéré 660. Tra fiumare e paesi fantasma, ecco un itinerario che riscopre fascino e identità del “Capolinea dell'Appennino”: da Locri a Bagnara Calabra, dal parco Nazionale a Bova Marina
1/19 Viaggio in Calabria: l'Aspromonte in moto.

il fascino della fine e del confine

Viaggio in Aspromonte: il nostro itinerario
Dopo aver parlato della Puglia, con l’apprezzatissimo articolo sul viaggio nel Salento, saltiamo dal… tacco alla punta dello Stivale, proponendovi di visitare con noi la Calabria, precisamente l’Aspromonte. Lo facciamo col racconto di Antonio Femia, meglio conosciuto come Totò Le Motò, calabrese esploratore del Mondo, era ora guarda alla propria terra con occhi apolidi e cosmopoliti (qui le foto del viaggio).

Più che una definizione geografica l’Aspromonte è uno stato dell’anima, qualcosa la cui essenza sfugge agli stessi abitanti di altre zone della Calabria. Per lungo tempo il tratto terminale della catena appenninica ha rappresentato una terra imperscrutabile come i suoi abitanti, ammantata com’era da un alone di pericolo incombente. Erano gli anni della guerra di ‘ndrangheta e dei sequestri di persona, quando l’esercito presidiava le strade della montagna... Da allora molte cose sono cambiate e l’aria minacciosa sembra appartenere al passato. Quello che rimane è, però, il senso di terra inesplorata, il fascino della fine e del confine: degli Appennini, dell’Italia, dell’Europa.

La montagna "bianca"

Le strade che collegano i borghi abbandonati dell’area grecanica sono spesso franate o mal tenute, ma offrono panorami spettacolari. In foto, la strada che porta a Gallicianó, con vista sulla fiumara dell’Amendolea.
La Statale 106 corre parallela a una bianca costa di sabbia fine pressoché deserta dove potersi godere il mare in libertà e solitudine. Sull’altro lato, nell’entroterra, si stagliano austere le cime dei primi rilievi aspromontani, retroguardie dei bianchi calanchi d’argilla che riflettono la luce del sole, tra campi ingialliti e punteggiati di ulivi. Aspro è riferito non solo alla durezza del territorio, ma deriva dal greco "aspros", bianco, con cui i primi colonizzatori greci qualificarono la montagna proprio per l’argilla abbagliante. Questa regione, penisola nella penisola, è come una grande montagna al centro del Mediterraneo e la catena dell’Aspromonte, capolinea dell’Appennino, ne è l’esempio più imponente. Di questo gioco di frattali geologici risentono i borghi aspromontani, abbarbicati a cocuzzoli e picchi, scelti dagli antichi fondatori per scampare alle invasioni o semplicemente perché vi trovavano condizioni favorevoli. Un territorio il cui ritmo è scandito dalle fiumare, piccoli rigagnoli in estate che si gonfiano in inverno e che, quando pare a loro, straripano cambiando i connotati alla terra. La gente di quest’angolo di Mondo rispecchia questo scenario: ospitale e accogliente ma dai modi ruvidi; gli anziani gestori del bar della piazza di Palizzi, il primo borgo che visitiamo, ci fanno sedere con loro rispondendo alle nostre domande: lei con umorismo secco e sagace, lui più taciturno ma sempre bonario. Ci sono due organetti di fianco al bancone, domandiamo a lui se sono suoi: “No, ieu non sonu. Peró stannu ddá: cu voli mu sona poti sonari!” (no, io non suono. Però stanno là, chi vuole suonare può suonare) e da un mangianastri parte una tarantella riggitana che ci fa sentire accolti con tutti gli onori.

Illustri incisori innamorati (di Palizzi)

Palizzi, tipico borgo preaspromontano: costruito a ridosso dell’omonima fiumara e intorno al versante sud est di un’enorme sperone roccioso, sulla cui sommità domina l’antico castello
Palizzi è un tipico borgo preaspromontano: costruito a ridosso dell’omonima fiumara e intorno al versante sud est di un’enorme sperone roccioso, sulla cui sommità domina l’antico castello. Un agglomerato di case in pietra, alcune costruite sotto la roccia a strapiombo, altre ormai abbandonate, qualcuna rimessa in sesto. Edward Lear, il primo inglese ad avventurarsi in quella che, a metà ‘800, si chiamava ancora Calabria Ulteriore Prima, era un illustratore di paesaggio che rimase rapito dalle viste drammatiche offerte dal territorio. Ma il più noto tra i viaggiatori da qui passati è Cornelius Escher che, abituato com’era all’orizzonte piatto della Germania, nel 1930 rimase folgorato dai volumi incastrati come un Tetris tra cui giaceva una distesa di rampe, scalini e gradonate. Lo stupore per il garbuglio di collegamenti verticali che si perdono in infinite prospettive è stato d’ispirazione per le sue celebri illusioni ottiche. Dal dopoguerra la novità è l’uso del cemento, unanimemente ritenuto la causa dello scempio del paesaggio. Ma l’architettura è diretta espressione delle condizioni culturali ed economiche di chi abita un territorio: il “non-finito” edilizio del Sud ha lo stesso valore linguistico delle case in legno della Patagonia, del’adobe del deserto di Atacama o dei villaggi in mattoni crudi del Pamir. E ugualmente affascina il visitatore.

Sonáti ‘nti curvi! (Suonate, tra le curve)

Le provinciali che si diramano dalla SS106 verso l’interno iniziano il loro percorso lungo le fiumare per poi salire più o meno velocemente con andatura tortuosa e spesso ripida
Anche l’asfalto è arrivato sulle strade, seppure in netto ritardo rispetto al resto d’Italia. Le provinciali che si diramano dalla SS106 verso l’interno iniziano il loro percorso lungo le fiumare per poi salire più o meno velocemente con andatura tortuosa e spesso ripida. I ripetuti e stretti tornanti si snodano lungo costoni franati i cui detriti costellano l’asfalto arripezzatu in modo tutto sommato decente, con la vista che ora si chiude verso una curva e, subito dopo, si riapre verso vallate rocciose di cui non si scorge la fine, seguendo sempre i rilievi con rapidi cambi di quota in cui la landa arsa dal sole si trasforma repentinamente in foresta di conifere. Qui si guida lentamente con un occhio al paesaggio e l’altro a schivare buche e sassi sulla carreggiata, magari dando due colpi di clacson prima dei tornanti più arditi. Capita spesso di dover passare sopra o intorno ad una frana di decine di metri o dentro l’alveo di una fiumara. Da questo punto di vista il progresso ha reso le comunicazioni più difficili: quando qui era tutta pastorizia e agricoltura e ci si muoveva a piedi esisteva una fitta rete di sentieri che attraversavano vallate e torrenti permettendo contatti relativamente veloci. Almeno un paio di questi tracciati sono percorribili in moto.

Lo sterro, le "crape", il paese fantasma

L’antico sentiero che porta al paese di Africo Vecchio, dapprima sterrato, si trasforma in una mulattiera di roccia dura
Il vecchio sentiero tra Palizzi e Bova è panoramico. Dopo un tratto iniziale lastricato a cemento, sale in quota dominando le vallate sottostanti, il cui fondo è nascosto dall’ombra del tardo pomeriggio. L’azzurro del Mar Jonio si perde in quello del cielo in un orizzonte indefinito mentre, dall’altro lato, sullo skyline ondulato spicca il profilo della rocca di Bova. Nulla di nulla, tranne le casupole sparse dei crapari (pastori). Una fontana recintata coperta dagli alberi, una capra che ci guarda perplessa. La strada è ormai un sentiero pietroso adatto ai muli. E alle moto da enduro. La mia Yamaha dà il meglio di sé. Dopo l’ennesima sterrata, un abbozzo di pavimentazione ci porta giù fino al torrente, dal cui fondovalle risaliamo sbucando finalmente sul versante Sud dove, oltre il mare, troviamo la sagoma dell’Etna. Il giorno dopo, percorriamo la mulattiera che, ci assicurano, in una mezzoretta porta al paese fantasma di Africo Vecchio. Ci abbiamo messo più di due ore a percorrere il sentiero, prima sterrato poi sempre più sconnesso fino a diventare pietraia di roccia dura. Facciamo a piedi gli ultimi 500 metri, raggiungendo un paese spettrale e invaso dai rovi, da cui emerge solo l’edificio delle scuole elementari. Gli fa da contraltare, giù in fondo, la chiesa di San Leo. Negli anni ’30 Africo era forse il più isolato e malfamato tra i paesi dell’arretrato Meridione e i suoi abitanti vennero spostati con la forza 20 anni dopo, a seguito di un’alluvione nel 1951. Fatto che ha reso le rovine di Africo un Luogo della Memoria quasi sacro, che visitiamo in punta di piedi…

La radice antica

Suonatori e danzatori stanno nello stesso cerchio, diretti dal Mastru ‘i Ballu. In foto, "sonu a ballu" nelle piazze di Gallicianó e Roghudi, in occasione delle tappe del festival di world music Paleariza
Il tema dell’abbandono è ricorrente in Aspromonte e la lingua non fa eccezione. Sulla costa jonica il greco era usato fino al XVII secolo, quando Roma mandò vescovi cattolici a diffondere il latino e convertire una popolazione che praticava il culto ortodosso. La matrice greco-bizantina rimase viva nell’interno, trasmessa oralmente da pastori e agricoltori. Col ventesimo secolo il grecanico venne considerato lingua dell’arretratezza e, per senso di vergogna, smise di essere trasmesso. Le cose cambiarono negli anni ’70 grazie a Domenico Minuto, professore di liceo a Reggio: ascoltando due suoi studenti di Gallicianò parlare in lingua madre, comprese che c’era un complesso mondo prossimo all’oblio. Negli ultimi decenni, il tema dell’area grecanica è così diventato portante nel turismo sostenibile di questa parte di Calabria.
Facciamo tappa proprio a Gallicianó, dove il grecanico non è mai stato abbandonato del tutto. Arroccato su un cocuzzolo sopra la fiumara dell’Amendolea, è abitato da pochi anziani pastori. I nomi delle vie in greco, la chiesa ortodossa, il museo etnografico ne sono la sostanza fisica, ma la vera anima è ‘u Sonu, la Musica. Da qui proveniva l’eccellenza dei suonatori della provincia tanto che, fino agli anni ’50, una delegazione di zampognari suonava per il Papa a Natale. I gaddhicianisi sono convinti di essere geneticamente predisposti. Qui lo straniero è sempre benvenuto e il senso dell’ospitalità è nelle parole di Vincenzo, zampognaro e craparu: “Non m’interessa da dove vieni e che faccia hai. ‘A porta è aperta e ‘na possibilità ti l’aiu a dari, se no come so se siamo amici?”. Il borgo ospita una tappa del Paleariza, festival di world music dell’Area Grecanica che ha contribuito alla ribalta del territorio e a sdoganare la sua musica tradizionale, radice culturale di cui andare fieri.

Memorie dagli anni ‘80

Salendo di quota gli ulivi lasciano il posto a foreste di conifere così fitte che sembra di entrare in un tunnel. In foto, la strada che da Ciminá porta a Zervó (RC).
Lasciamo la costa dopo aver costeggiato a lungo la fiumara di Melito che, di colpo, sparisce dalla vista. Ci dirigiamo verso l’interno della montagna, coperta da conifere, castagni e lecci solcati dai numerosi tornanti. Dopo una visita alle cascate del Maesano, da cui nasce l’Amendolea, un temporale agostano trasforma le strade in guado e ci obbliga a ripiegare sulla costa jonica per ritentare l’indomani. Da Ardore saliamo per Ciminá e, poi, sempre dritto per la tappa finale. Nel verde ombroso spunta la Croce di Zervó, piantata in un crocicchio tra i castagni col suo Cristo di legno appena coperto da una piccola tettoia, finito sugli schermi di tutto il mondo quando Angela Casella ci andò a pregare chiedendo solidarietà alle donne calabresi e la liberazione del figlio Cesare, avvenuta a Natale due anni dopo il sequestro a Pavia. Il suo gesto eclatante, lì dove venivano pagati i riscatti e rilasciati i sequestrati, fu decisivo nel porre fine all’industria dei rapimenti. Ma al posto del checkpoint militare, all’ombra di una gigantesca quercia, il banco di un venditore offre formaggi, salumi e miele locali. Un gruppo di scout adolescenti consumano lì il loro pranzo al sacco mentre io scambio due chiacchiere col venditore che, abbozzando un sorriso, mi chiede da dove veniamo e perché siamo lì, con una scintilla di curiosità negli occhi quando gli dico il mio cognome (Femìa). Finiamo la giornata a Bagnara, sulla costa tirrenica, dopo aver percorso la strada tortuosa e dissestata che passa da Delianuova con la sterminata Piana di Gioia Tauro sullo sfondo.

Capire l’Aspromonte

Mentre la temperatura aumenta ad ogni tornante, penso a cosa renda speciale questa regione. Visitare la Calabria e ancor più l’Aspromonte non è facile. Bisogna sudarsela: i collegamenti sono pochi, il telefono non prende, le strade sono dissestate o franate. Il non-finito edilizio marca il paesaggio e ogni vallata parla un dialetto diverso. Montagne e valli dove non si incontra nessuno per ore, ma dove si può piantare una tenda con la certezza di essere assolutamente al sicuro. Decidere di andarci vuol dire superare una spessa barriera di luoghi comuni e paure ancestrali. Non è il Trentino o l’Emilia con la loro vocazione turistica collaudata, questa è la periferia della Calabria. Arrivarci e attraversarla è un Viaggio vero e di scoperta, la stessa che si può vivere a migliaia di chilometri dall’Europa. Coi piedi in acqua davanti allo Stretto di Messina e un senso di refrigerio che allevia la calura, mi sorprendo a sentirmi come fossi appena sceso dalle pendici dell’Himalaya. Guardo la Montagna che incombe alle mie spalle. E ho già voglia di ritornarci.
Lungo il sentiero che conduce ad Africo Vecchio, si alternano fondovalle dove gli animali accaldati si riposano all’ombr

Appunti di viaggio

Il borgo di Pentedattilo
Ospitalità
B&B Vúa
  • Via San Costantino 23
  • Bova (RC)
  • Tel. 349/737262
Una casa tipica su tre livelli ben restaurata e con vista spettacolare sullo Stretto di Messina, è gestito da Patrizia, esperta di minoranze linguistiche, che non lesina racconti e riflessioni sulla storia dei greci di Calabria. A richiesta visite guidate e trekking.
Prezzo a persona 25 euro.

Ostello della Gioventú Pentedattilo Ventiquattro posti letto in un ostello colorato e ben curato, che dispone di appartamenti ben ristrutturati sparsi per il suggestivo borgo. Ospita i ragazzi dei campi di lavoro organizzati da Libera nei beni confiscati alle malavite.
Prezzo: 30 euro a persona.

Cucina
Trattoria Nizio Paleo, Gallicianó
  • Via Cataforio, 8
  • Condofuri
  • Tel. 346/5325400
Un locale a conduzione familiare che propone esclusivamente piatti della tradizione grecanica con ingredienti prodotti in loco dagli stessi proprietari. Imperdibili i maccarruni cu u sucu d’a crapa (maccheroni al ragú di capra). Dispone di alloggi semplici e puliti immersi nel silenzio campestre di Gallicianó. A richiesta visite guidate e trekking.
Prezzi: 15 euro a persona il pasto, 30 euro la stanza doppia.

L’Aspromonte nella cultura

A Mammola si trova il Mu.Sa.Ba fondato e curato dall’artista Nick Spataro a partire dagli anni ’70
Film
“Anime nere”, di Francesco Munzi (2014)
Pluripremiata pellicola tratta dall’omonimo romanzo di Gioacchino Criaco girato tra Milano e Africo. Il film racconta con raffinata potenza il sottile confine tra l’ancestrale cultura del rispetto e la forma mentis criminale, fino allo spiazzante finale.

Libri
“Gente in Aspromonte”, di Corrado Alvaro (1931)
Tredici racconti di un mondo duro e arcaico da non rimpiangere ma di cui va custodita gelosamente la memoria, dalla penna di un maestro del novecento.

“Diario di un viaggio a piedi”, di Edward Lear (2009)
Il viaggio del paesaggista, primo inglese a viaggiare per le terre d’Aspromonte, raccontato con la tipica ironia britannica. Personaggi e paesaggi di un mondo che fu, ma che a ben guardare si possono tuttora ritrovare.

Siti web
www.inaspromonte.it: testata di cultura, ambiente, risorse ed eventi sul massiccio montano. Una pubblicazione cartacea con un sito web ricco di informazioni e spunti critici.
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