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In moto verso una meta inconsueta sull’appennino tosco-emiliano

Una meta immancabile per un viaggio/gita in moto in Italia è l’appennino tosco-emiliano, coi suoi passi più famosi ma anche quelli meno battuti. Come il Passo della Scalucchia (RE): strade divertenti, paesaggi unici e misteriosi, storie di Medioevo e di Guerra Fredda…
1/19 Le nebbie insidiano i ruderi del Castello di Canossa, formidabile struttura difensiva che si erge alta sulla Pianura Padana, sopra Reggio Emilia

Uno che di passi se ne intende

Leo Pezzoli
Leo Pezzoli ha vinto il Pick The Peaks* nel 2015, mentre nel 2016 si è aggiudicato la categoria Epoca. Nell’ultima edizione ha spaziato lungo tutti gli Appennini in lungo e in largo, spingendosi fino all'Etna in Sicilia, ma ci ha detto che l'ascesa più bella è stata quella del Passo della Scalucchia, in Emilia. "Scalucchia?". Confessiamo la nostra ignoranza: non l'avevamo mai sentito, ma siamo strafelici di conoscere un passo nuovo, ci dà il gusto della sorpresa. Così abbiamo organizzato di andare a vedere… (qui le foto)

*: Pick The Peaks è il contest dedicato ai motociclisti cultori e i collezionisti delle strade d'alta quota e delle grandi vette. Il gioco, che si svolge da maggio a ottobre, consiste nel raggiungere passi e vette le cui iniziali compongono la parola chiave da noi scelta e comunicata (insieme al regolamento) solo 20 giorni prima dell'inizio della sfida. Ogni anno viene definita la zona geografica entro cui dev'essere circoscritta la sfida: nel 2015 è stato l'arco alpino, nel 2016 gli Appennini, per il 2017 si ritorna alle Alpi e ai grandi passi, anche fuori dai confini italiani.

Cliccate qui per le info su come iscriversi e partecipare all'edizione 2017

Tre linee parallele...

Il nostro itinerario
L'Italia, gli Appennini e i suoi passi si possono schematizzare così: tre linee parallele oblique da nord ovest a sud est (costa adriatica, crinale appenninico e costa tirrenica) e una serie di linee interne perpendicolari a quella centrale, ovvero il sistema di valichi che consente i coast-to-coast (ad esempio il Bocco, il Centocroci, la Cisa, il Cirone, il Lagastrello, il Cerreto, il Radici, l'Abetone, ecc.). Sono serviti da strade larghe e trafficate, che risalgono valli molto popolate, ma ci sono anche stradine che superano un valico a loro volta e che sono molto meno note. Il passo della Scalucchia, ad esempio, collega la strada che sale al Cerreto a quella che sale al Lagastrello. Siamo andati a studiarlo con Google Earth, che non mostra l'aspetto esatto di un posto, ma permette di capire com'è fatto paragonandolo ad altri posti conosciuti. Della Scalucchia capivamo che era una strada stretta che, nella parte finale, era quasi in pianura, sulla costa di una montagna dai profili tondeggianti e poco più alta. C'è venuta la voglia di andarci.

I giusti compagni di viaggio

Siamo ad appena 2 km dal Passo della Scalucchia: partita alle 9 da Solbiate (CO), la coppia dei coniugi Lorenzetti si congiunge al resto del gruppo dopo avere valicato il Passo di Pratizzano.
Su Motociclismo tentiamo di dare lo stesso spazio ai viaggi da sogno in giro per il Mondo e a quelli dietro casa, fattibili senza problemi di tempo e soldi. Lo Scalucchia ricadeva perfettamente in un servizio del secondo tipo. Era la fine di novembre 2016, si era appena chiuso il Pick The Peaks: gli incontri con i "picker" erano stati brevi ma intensi e c'era rimasta la voglia di condividere un vero giro in moto con loro. Sono cacciatori di passi, gente interessante, abituata a macinare km e a scoprire posti affascinanti, normale che volessimo fare una gita in loro compagnia. Hanno aderito in quattro, a cominciare dallo stesso Leo Pezzoli: oltre a lui c'erano Alfredo Malandra, Franco Zoppi e Lorenzo Stefanetti, con la moglie. Quindi due provenienti dal Novarese, uno da Pisa e uno dalla provincia di Como.

Il Bagdad Cafè della pianura padana

Vista da Canossa
Alle 7 di mattina ci siamo ritrovati a Milano in tre: Malandra, Pezzoli e il sottoscritto (Mario Ciaccia, ndr). Per essere la fine di novembre faceva "caldo", 6° sopra lo zero, ma c'era un bel nebbione, di quelli che non vedi nulla, che si appanna la visiera e che ti bagni tutto (ma che ammanta anche tutto di mistero…). Iniziavamo con i 150 km della tratta autostradale fino all'uscita Terre di Canossa – Campegine, "aperta" da pochi anni e con un nome intrigante: non invoglia al viaggio quel "Terre di..."? Siamo usciti qui perché era l'imbocco della valle del fiume Enza, la via naturale più veloce e scorrevole per avvicinarci allo Scalucchia. Nei gruppi di motociclisti tocca sempre a qualcuno il ruolo di quello che va in ansia per l'autonomia della propria moto. Alfredo Malandra guida una delle moto più interessanti del Mondo, la Kawasaki KLE500. Onesta enduro bicilindrica con la ruota anteriore da 21", robusta e versatile, ma più leggera di tutte le altre enduro bicilindriche carenate, non avendo una grande personalità e neanche prestazioni esuberanti, non ha mai goduto di molta stima e, una volta uscita di produzione, è finita nel dimenticatoio, o quasi. Così oggi è possibile trovarla usata, a prezzi incredibili: Alfredo ha pagato la sua 300 euro! Con 15 litri di serbatoio e 20 km/l di media, questa moto consente di viaggiare tranquilli per almeno 250 km prima di entrare in riserva, ma Alfredo entra in paranoia verso i 130: a quel punto vuole fare benzina. La cosa ci faceva approdare a un isolato distributore di Calerno (RE). Si trattava della versione padana del "Bagdad Cafè" dell'omonimo film, in cui una stazione di servizio isolata nel deserto del Mojave (lo stesso di Las Vegas) funge da calamita per l'umanità di passaggio. Solo con la nebbia al posto del caldo torrido. All'interno c'erano una splendida bionda diciottenne che ci serviva il caffè con gentilezza e una signora sulla quarantina che si incuriosiva sul dove stessimo andando in moto in una giornata simile. Allora ci dava le dritte sul dove poter "cercare" viste panoramiche con l'inversione termica (nebbia in basso, sole in alto). Arrivava anche un crossista, con la moto dentro il furgone: "Scalucchia". Rideva: "Io abito da quelle parti, c'è un sole splendido, ma per fare cross devo scendere in pianura e mi becco il nebbione. A voi funziona al contrario!". Aveva ragione, anche se in realtà ci sarebbe una pista in zona Lagastrello. Ma ci tenevamo all'inversione termica, così provavamo a salire al Castello di Canossa.

Ma perché il Papa stava a Canossa?

Le nebbie insidiano i ruderi del Castello di Canossa, formidabile struttura difensiva che si erge alta sulla Pianura Padana, sopra Reggio Emilia
Si tratta di un rudere isolato su una delle prime colline appenniniche che si incontrano dalla Pianura Padana. Un posto piccolo e impervio, eppure è stato sede di uno storico episodio che vide lo scontro di massimi sistemi come il Papa Gregorio VII e l'Imperatore Enrico IV di Franconia, nel gennaio del 1072. Erano anni in cui Chiesa e politica erano strettamente intrecciate. Enrico doveva stabilire a chi dare la diocesi di Milano e lo doveva fare senza scontentare né il Papa né i nobili. Ma la cosa non gli riuscì molto bene e finì con Gregorio che lo scomunicava e lui che dichiarava la deposizione del Papa. In questo braccio di ferro, i nobili tedeschi decisero che la scomunica era da evitare e convinsero Enrico ad andare da Gregorio a chiedere scusa. E dove si trovava Gregorio? Giusto giusto a Canossa, nel castello di Matilde. E perché un Papa avrebbe dovuto rintanarsi in un posto così impervio? Semplice: temeva di essere vittima di attacchi proprio dalle milizie di Enrico, per cui si era rifugiato in questo castello, famoso per la sua difendibilità e per la posizione strategica a poca distanza da Bologna e dalla Pianura Padana. Gregorio, comunque, si fece pregare lasciando per tre giorni Enrico senza risposta. La leggenda dice che l'imperatore dovette restare tutto quel tempo in ginocchio, scalzo, vestito con un saio e con la cenere sulla testa, mentre nevicava fitto (da qui il detto “tornare a Canossa”, nel senso di scusarsi umiliandosi). Sarà vero? Non importa. Quello che ci serve è una storia suggestiva, che si leghi al clima cupo e nebbioso che ci accoglie a Canossa. E siamo stati premiati: il castello stava al di sopra della nebbia. Abbiamo avuto la visione che speravamo di trovare, con il vicino castello di Rossena che galleggiava sulle nuvole come un vascello sul mare mosso.

Aveva ragione Leo

Il profilo della Pietra di Bismantova si staglia sul crinale tra le valli formate dai fiumi Enza e Secchia. Siamo in provincia di Reggio Emilia.
Tornavamo nella nebbia e risalivamo il corso dell'Enza fino a Vetto, con splendide viste sul chiudersi della valle: è così che nasce un Appennino. La Pianura Padana sembra infinita, poi ti rendi conto che stai costeggiando un fiume larghissimo, la nebbia si dirada, vedi boschi gialli/arancioni, colline che si alzano intorno al fiume e poi... sei in montagna. Se avessimo proseguito costeggiando l'Enza, saremmo arrivati allo Scalucchia da nord, mentre Leo ci aveva detto che il versante migliore era quello meridionale. Questo comportava il passare da Vetto a Castelnuovo Ne' Monti, sul crinale che separa la Valle dell'Enza da quella del Secchia. Da qui si vedeva molto bene la Pietra di Bismantova, montagna dall'aspetto inconfondibile: è un parallelepipedo che si alza per 300 metri sulle colline circostanti. Citato da Dante nella Divina Commedia (sarebbe, addirittura, il Monte del Purgatorio!), è ricco di fossili di molluschi e alghe marine, perché faceva parte del fondale marino nel Miocene. Adesso eravamo sulla strada del Passo del Cerreto, ma l'abbandonavamo a Collagna, perché è da qui che iniziava la salita per la Scalucchia: 10 km per passare da quota 757 ai 1.367 m del passo. Qui ci attendeva al varco Franco Zoppi, che era partito da Pisa la mattina presto.

Non neve, ma "dune d'erba"

La spalla della montagna, a quota 1.100 m, dove il paesaggio della Scalucchia inizia a farsi particolare: iniziano le "dune d'erba".
Eccoci così a risalire lo Scalucchia, eccitati perché sapevamo che era molto bello, ma senza sapere perché. Iniziavamo subito bene: la strada è stretta e il tracciato presenta curvoni, curvette, tornanti ed esse. Fino a quota 1.100 m non succedeva nulla di trascendentale, poi raggiungevamo una "spalla" della montagna con un crocifisso e lì il paesaggio iniziava a farsi coinvolgente, con profili tondeggianti. Non c'era neve, ma le temperature rigide avevano reso l'erba dal verde estivo al bellissimo oro autunnale. Oltrepassavamo il minuscolo paese di Valbona, poco sopra i 1.100 metri e il paesaggio migliorava ancora. Ma per capire l'entusiasmo di Leo bisognava salire ancora, fino al bivio per il passo di Pratizzano, ad appena 100 m di dislivello sotto al passo. Erano gli ultimi 2 km di salita, su pendenza contenuta ed in mezzo a colline tondeggianti e morbide come batuffoli, del tipo che ci piace definire "dune d'erba" (le migliori le trovate in Toscana e Basilicata). Qui sostavamo non solo per goderci la visione delle colline vicine e delle montagne lontane, ma per salutare Lorenzo Stefanetti, arrivato da Solbiate (CO) insieme alla moglie. Si ripartiva alla volta del pranzo, con la conferma che il versante settentrionale del valico era meno attraente di quello meridionale: la strada è quasi sempre dentro un bosco dall'aspetto non memorabile. L'agriturismo "Valle dei Cavalieri" (Succiso Nuovo, telefono 0522-892346) vale la pena per la bontà dei primi e dei secondi che abbiamo preso: paste fresche a base di funghi e tartufi, carni arrosto o fritte di manzo e agnello...

Troposcatter: monumenti abbandonati

I radar posti in vetta al Monte Giogo (Comano, MS) fanno impressione nelle giornate di nebbia (foto Leo Pezzoli)
Bene, la gita sembrava finire qua, ma c'era ancora spazio per andare in un posto interessante: la base troposcatter della NATO. Si tratta dell'ACE-HIGH Network, il sistema di comunicazioni radio che la NATO aveva realizzato in Europa, durante la guerra fredda, per poter fronteggiare un attacco russo con conseguente taglio delle linee telefoniche. Se so queste cose non è perché sono un appassionato di radiocomunicazioni, ma perché negli anni 90, girando in moto sui monti del Bresciano, a quota 2.200, sul Dosso dei Galli, avevo trovato una stazione militare abbandonata, con dei radar enormi. Questo posto dal fascino incredibile, una visione postatomica, mi aveva fatto scoprire l'esistenza di queste stazioni, che sfruttano il sistema di comunicazione radio troposcatter e sono poste in cima alle montagne, in posizioni isolate e suggestive, sparse tra la Norvegia e la Turchia e poste più o meno a 300 km di distanza in linea d'aria. In tutto ce n'erano più di 150, 18 delle quali in Italia, per un'estensione di 4.000 km. Con la caduta del Muro di Berlino e la fine della guerra fredda, queste stazioni sono state abbandonate, divenendo luoghi di culto per gli amanti delle situazioni architettoniche di degrado e abbandono. Quelle stazioni rappresentavano un mondo particolare, fatto di inverni passati rinchiusi nelle caserme accanto ai radar, di cui esiste una testimonianza nel sito www.strettoweb.com: cercate "Monte Nardello" e "Jim Hoose" per avere il racconto dell'esperienza di un militare americano che visse nella stazione troposcatter sul Monte Nardello, in Aspromonte, in Calabria, alla fine degli anni 70.

I fantasmi del monte Giogo

La base che incontriamo noi è quella del Monte Giogo, sopra il Passo del Lagastrello, già in Toscana. Comunicava con le basi di Nizza a nord ovest e di Civitavecchia a sud est ma poi, quando la Francia uscì dalla NATO, la comunicazione venne deviata a nord est fino a Craviana (MN) che, a sua volta, trasmetteva al Dosso dei Galli e, da questo, alla Germania. Nella tratta verso il Monte Giogo qui era tornata la nebbia, a partire dal valico del Lagastrello, che ha un lago cupo come quelli scozzesi. Dovevamo arrampicarci fino a 1.500 m tramite una strada asfaltata tutta rotta, con buche, rigonfiamenti, spaccature e sassi. C'erano cartelli di diveto vecchi, arrugginiti e deformati: risalgono agli anni Sessanta, quando qui nessun civile doveva neanche avvicinarsi. Adesso, lassù, è tutto in stato di abbandono, ma i quattro radar che emergono dalle nebbie creavano un effetto di grande soggezione. C'è venuto facile immaginare film horror ambientati qui: gente che sparisce, strane impronte sul terreno, rumori inspiegabili ma terrificanti e cose così. Eravamo talmente suggestionati che, quando uno di noi ha detto: "Ehi, in quella baracca abbandonata c'è un neon acceso..." abbiamo pensato a cose tipo il Neon Fantasma che si accende quando arriva un intruso, o il Neon Eterno che resiste dagli anni 70 senza spegnersi mai. In realtà questa base non è abbandonata del tutto, perché è gestita dalla sede di Comano dell’Associazione Radioamatori Italiana, ente morale, con lo scopo teorico di abbattere le barriere tra i popoli e quello pratico di dare una grossa mano alla Protezione Civile durante le calamità naturali.
Monte Giogo: base Livorno troposcatter
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