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17 June 2013

Valentino Rossi, comunque vada... che carriera!

Perché trovare così scandaloso se non vince più? Con quello che ha fatto finora, basta e avanza...

Valentino rossi, comunque vada... che carriera!

di Mario Ciaccia

 

Rossi è talmente grande che, se a 34 anni e dopo tre stagioni difficili arriva quarto, la gente è delusa e dice che è bollito. Pensare che, a fine anni 80, un quarto posto di Pierfrancesco Chili veniva salutato come un grande successo. Allora viene da pensare che la stima non dipenda da ciò che fai, ma da ciò che la gente si aspetta da te. Luca Cadalora, che è stato uno dei più grandi piloti italiani, all'età di Rossi era ormai a fine carriera, aveva vinto tre titoli tra 125 e 250, ma nessuno in 500: “solo” 6 gran premi. La gente aveva accettato questo fatto e Luca venne sempre portato in palmo di mano. Rossi, invece, è vittima della sindrome da piedestallo: finché ci stai sopra la gente ti venera, ma basta il primo segno di cedimento che coloro che ti adoravano iniziano a deriderti. Perché siamo fatti così, noi umani? Sei sulle stelle e ti lecco il deretano, scendi nelle stalle e ti denigro. Rossi arriva quarto e la gente gli dice “vai a giocare a bocce”. Se lo fa Bautista, gli danno le pacche sulle spalle. Ma perché non accettare l'evidenza: a 34 anni, con 9 titoli in carriera, si ha anche il diritto di patire la carogna e il massimo stato di forma dei 20-25enni. Fisicamente, Valentino è in forma, si allena duramente. Di testa vuole ancora vincere. Ma non vediamolo come uno condannato a vincere, “altrimenti che giochi a bocce”. Vediamolo come un fuoriclasse, un veterano che, nella fase discendente della carriera, è ancora in grado di fare sognare e di sferrare colpi di gran classe, come il secondo posto in Qatar. Marquez è il ventenne con la vena chiusa che abbina immenso talento a incoscienza giovanile. Rossi è il 34enne con esperienza infinita che abbina immenso talento a furbizia. Il suo talento è stato messo leggermente in ombra da due vicende: il passaggio dalle scorbutiche 500 2 tempi, che esaltavano le sue doti perché livellavano di meno rispetto alle MotoGP con controllo di trazione e le attuali regole della qualifica. Se si tratta di fare un tempone in 15 minuti, è evidente, in questo momento Rossi vale meno degli altri. Ma non possiamo nascondere che, da qui alla fine del campionato, stiamo sperando in una sua vittoria. Il Mondiale lo vincerà? Verrebbe da pensare di no. Anche se sarebbe il suo capolavoro, farcela ancora a 34 o 35 anni.

 

CI SONO TRE FASI PER TUTTI

Tutti i piloti hanno tre fasi: la crescente, l'apice e la calante. Rossi, da vero campione, ha ridotto al minimo la prima e fatto durare tantissimo la seconda. La prima, secondo me, è iniziata col suo esordio al Motomondiale, in 125 nel 1996 ed è cessata col suo primo anno in 500, quando si piazzò secondo, nel 2000. Quelli sono stati gli anni dell'apprendistato, dei titoli nelle classi minori. Era già un personaggio, per il look, per la parlata da paperino, per la sua condotta di gara incredibile. Era in grado di superare cinque piloti in una sola curva, facendo traiettorie assurde. Il grande Loris Reggiani disse, di lui: “Valentino non ha voglia di andare a scuola, per cui in moto fa cose contrarie alla fisica, perché la ignora”.

Dal 2001 al 2005 abbiamo il Rossi spaziale, quello che vince cinque titoli di fila, che li vince pure con la Yamaha nell'anno in cui questa moto andava male, che vince le gare anche quando deve recuperare dal fondo; era il Rossi che riusciva a sistemare moto disastrose con pochi test e che metteva in soggezione psicologica i suoi avversari. Nel 2005 vinse con più del doppio dei punti di Melandri, secondo classificato.

 

MANGIARSI LE MANI

La sua fase calante, sempre secondo me, inizia nel 2006. Non è tanto lui a calare, solo che la fortuna, che fino a quel momento lo ha sempre assistito, decide di voltargli le spalle tutto in un botto. Il 2006 è un anno che lui, credo, voglia eliminare dalla sua memoria. Inizia con Elias che lo butta per terra e procede con gomme che si spellano, motori che friggono, mani che si rompono. Nel frattempo sembra che gli altri stiano facendo a gara a perdere punti, più che a guadagnarne. Capirossi, Melandri e Pedrosa sono velocissimi ma, per un motivo o per l'altro, non riescono ad approfittare troppo delle sfighe di Valentino. Ce la fa Hayden, che acchiappa l'occasione della vita. A metà stagione, Hayden ha una cinquantina di punti di vantaggio su Rossi. Poi succede che  incappa in una serie di gare squallide (anche perché in Honda erano sbilanciati verso il debuttante Pedrosa) e perde una decina di punti a gara da un Rossi che, sebbene non più colpito dalla sfiga, non è comunque il martello vincitutto dell'anno prima. A due gare dal termine, il distacco è sceso a 12 punti, quando Pedrosa cade e stende Hayden, che all'epoca era il suo compagno di squadra. Una cappella pazzesca, che consegna a Rossi il titolo nella maniera più triste. Ma ci sta: dopo tante sfighe, era ora che un colpo di fortuna arridesse anche al nostro fuoriclasse. A una gara dalla fine, lui ha 8 punti di vantaggio su Hayden ed è impossibile che quest'ultimo possa ribaltare un pronostico che lo vede sconfitto al 99%. Strappare il titolo, all'ultima gara, quando si hanno 8 punti di svantaggio su Valentino Rossi è  impossibile. E invece, il nostro eroe cade, in maniera inspiegabile, a inizio gara, quando è già in una posizione che gli garantirebbe il titolo. Lui non ha mai saputo spiegarsi come fosse possibile cadere in quel punto, in quel momento. Lui non lo sa, ma la Sfiga sì. Quell'anno aveva deciso di umiliarlo fino in fondo, con tanto di beffa finale. Sono sicuro che Rossi si mangerà le mani tutti i giorni pensando a quella caduta, che lo ha privato della possibilità di fare cifra tonda e vincere dieci titoli.

 

ARRIVANO I GIOVANI

Nel 2007 perse di nuovo, ma lì fu una cosa razionale: Casey Stoner era più forte di tutti e Rossi soffriva ancora l'affidabilità non impeccabile della sua moto. Anzi no, non fu una cosa razionale, perché nessuno si aspettava che “Rolling” Stoner, passando da Honda-Michelin (la migliore moto del Mondiale, con cui cadeva sempre) a Ducati-Bridgestone, diventasse imbattibile.

Nel 2008 e nel 2009, Valentino è tornato al vertice e ha vinto due titoli, mettendo a segno uno dei sorpassi più cliccati su Youtube, quello in sterrato a Laguna Seca, sullo stesso piano delle ruote bloccate di Kevin Schwantz a Hockenheim 1991. Ma lo consideriamo lo stesso in fase calante, perché non era più in grado di vincere i titoli facendo quello che voleva, ma aveva a che fare con rivali molto più giovani di lui (fino ad ora aveva combattuto con gente più anziana, o di pari età). Soprattutto nel 2009, quando si trovò a combattere con un Lorenzo che era solo alla sua seconda stagione, ma che non soffriva di alcuna sudditanza psicologica ed era capace di mettere pressione a Rossi fino a farlo cadere. Se sei un grandissimo, i titoli li vinci anche quando sei in fase calante: non domini, ma usi l'astuzia e l'esperienza. Ma, nel frattempo, stava accadendo che Rossi  giganteggiava, rispetto ai rivali, non tanto sul fronte dei risultati, quanto su quello della personalità. Sembrava un campione anni Settanta, alla Barry Sheene, fantasioso e mai banale nei discorsi, finito per errore tra gente sempre triste, noiosa, che parlava (e parla tuttora) nella maniera più diplomatica possibile e che piangeva dalla direzione gara se i sorpassi non avvenivano a un metro di distanza come minimo. Insomma, se da un lato Lorenzo, Stoner e Pedrosa ormai andavano come lui, erano però  lontani anni luce dalla sua personalità carismatica.

E poi eccoci al 2010, quando la sua fase calante, fino ad allora appena accennata, si inclina verso il basso. Domina i test invernali (è il più veloce in cinque giornate su sei), sembra il più forte, ma per la prima volta soffre infortuni piuttosto seri: spalla lussata malamente e gamba rotta. Riesce, comunque, a piazzarsi terzo nella classifica finale della classe MotoGP. Ecco, però qui secondo me non si comporta nella maniera più simpatica. Non riesce a soffrire Lorenzo (e lo capiamo, non è un mostro di simpatia), fa erigere il muro ai box perché lo spagnolo non gli copi le regolazioni, fa capire alla Yamaha che... o lui, o Lorenzo. E Yamaha preferisce Lorenzo.

 

ROSSI ALLA DUCATI, FINALMENTE IL SOGNO SI AVVERA

Ma è un incubo: in due anni Rossi non ha mai vinto un solo GP, ha sempre fatto fatica a guidare, non è riuscito a modificare la moto come voleva lui, come aveva fatto nel 2004 con la Yamaha. Possibile? Possibile che in due intere stagioni non sia riuscito a vincere una sola gara, magari col bagnato? I detrattori ci hanno dato dentro, un fuoriclasse con 9 titoli mondiali di colpo diventava il bollito che doveva andare a giocare a bocce. Eppure questa storia ha dell'incredibile. In pratica, Rossi perdeva un decimo di secondo a curva rispetto ai migliori. Dopo 15 curve, ovvero un giro di pista (stiamo generalizzando), il distacco era, quindi, già di un secondo e mezzo. Dopo 20 giri, eravamo già arrivati ai 30” di gap...  Ma è possibile che fosse così difficile recuperare quel decimo perso in una singola curva? Un decimo è un battito di ciglia. Ma, evidentemente, il mio è un ragionamento troppo astratto. In due anni, quel decimo è rimasto dalla prima all'ultima gara. Ma il fallimento di Rossi ha messo in mostra i caratteri. I tifosi più accecati dalla Ducati hanno considerato questa cosa come un affronto: non era la Ducati a essere una moto sbagliata, ma Rossi uno privo del cuore per capirla. E hanno prodotto la famosa maglietta “Rossi vattene”. Rossi stesso, di fronte a questo tonfo, ha reagito in una maniera splendida: con tanta autoironia, mettendo in mostra un'intelligenza e una classe mostruose. Essere il numero uno, odiato da molti (anche perché lui non ha mancato, in certe occasioni, di far pesare il proprio ruolo, nei confronti di sponsor e giornalisti) e riuscire a sorridere di fronte alla sconfitta non s'è mai visto fare da nessuno meglio di lui. Pedrosa e Lorenzo, a sorpresa, non lo hanno deriso. Non hanno mai smesso di considerarlo un riferimento, uno da rispettare, un'icona della storia del motociclismo. Al contrario, Stoner ha perso ogni ritegno. Odiava Rossi e non ha mancato di sottolinearne il declino in maniera beffarda.

 

E ADESSO?

Adesso, Rossi ha ripreso a guidare forte. In gara, Qatar a parte, non è ancora rientrato nel giro dei Fantastici Quattro – uscito Stoner, al suo posto è arrivato Marquez – ma in prova gira come loro. Fa impressione vedere che le possibilità ce le avrebbe, ma che le vanifica in quegli odiosi 15 minuti di prove decisivi. Finisce in terza fila, poi al via impiega qualche giro prima di spingere come i migliori. Come pilota è ancora al vertice, insomma. Forse è per questo che non viene spontaneo dire: “Va be', è stato un grande comunque, anche se non vince più non fa nulla”. No, ce la può ancora fare. Molti, però, sarebbero curiosi di vederlo correre in superbike, dove le gare sono spettacolari e non mancano i piloti interessanti. Forse sarebbe più un personaggio da superbike... e potrebbe vincere ancora qualche mondiale. Quanto peserebbe, sul suo ego, andarci senza essere riuscito a togliersi ancora qualche soddisfazione in MotoGP?

 

NON IMPORTA SE VINCI, IMPORTA COSA CI SI ASPETTA DA TE

Comunque è ingiusto che un pilota che ha vinto nove titoli sia messo così sotto pressione dal pubblico. Come dicevo all'inizio, non sono i risultati in sé a determinare l'indice di gradimento di una carriera, ma ciò che ci si aspettava. Ci sono piloti che sono diventati grandi con un solo titolo, con una sola vittoria... o con un solo secondo posto. Intanto, va detto che in MotoGP ci corrono solo professionisti estremamente veloci. Ma è chiaro che, al grande pubblico, uno Yonny Hernandez non può sembrare un gran che, rispetto ai Fantastici Quattro. Nicky Hayden negli Usa era un fenomeno, era velocissimo, vinceva tutto e aveva anche uno stile spettacolare, con un grande controllo della derapata ma, quando approdò al Motomondiale, si beccava 2” al giro dai migliori. Nel giro di due anni aveva quasi colmato il gap, ma nessuno ha mai pensato a lui come a un Campione del Mondo. Eppure, nel 2006, è riuscito a diventarlo. La sua non fu affatto una superiorità schiacciante, ma riuscì a districarsi in un campionato impazzito dove i favoriti combinavano guai,  o subivano ogni genere di sfiga. Si trovò al posto giusto al momento giusto. In seguito, nessuno ha mai preteso che si ripetesse. Quella si può considerare una vita felice, senza rimpianti. Mentre da Max Biaggi, pilota di immensa caratura, la Storia chiedeva almeno un titolo nella classe regina, che non è mai arrivato (ce la farà, invece, Pedrosa?). Uh, poi c'è una categoria strana di piloti entrati nella storia senza che si chiedesse loro di vincere dieci titoli: Garry McCoy, che nel 2000 vinse tre gare con uno stile assurdo (guidava la Yamaha 500 come una motard, superando anche tre moto di fila in staccata, con la moto di traverso) e Ryuichi Kiyonari che nel 2008, a Donington, Mondiale superbike, dominò prove e gare con le derapate più agghiaccianti della storia del motociclismo: cliccate qua per godervele

 

 

SECONDI POSTI CHE VALGONO ORO

E chi sono i piloti diventati grandi per un secondo posto? Me ne vengono in mente tre, tutti protagonisti, una sola volta nella vita, sul bagnato. Il primo è il francese Jean Philippe Ruggia (uno dei primi a piegare strisciando il gomito) che, nel 1990, arrivò secondo al GP del Belgio. Erano gli anni in cui gli europei potevano sperare, al massimo, in un quinto posto. Ruggia era al suo primo anno in 500, odiava la pioggia, ma quel giorno aveva un bel passo, era sicuro, non scivolava e, nel finale, rischiò addirittura di andare a prendere Wayne Rainey, che vinse la gara con poco margine. La sua fu considerata una vera impresa: erano anni in cui gli europei erano dei comprimari.  Poi c'è Akira Ry?, che era un collaudatore 35enne della Suzuki a cui fu data la possibilità di correre il GP del Giappone del 2002 come wild card. Non era una gara qualsiasi: era la prima dell'era della MotoGP. Pioveva, lui sul bagnato era un fulmine e conosceva la pista di Suzuka come le proprie tasche, per cui andò in fuga per tutta la gara e rischiò di essere il primo vincitore della storia della MotoGP. Chi lo usurpò di tale prestigioso titolo? Ma lui, Valentino Rossi, che lo superò nelle fasi finali della gara. Il terzo pilota è Olivier Jacque, che in 500/MotoGP non ha mai concluso molto. Ma nel 2005, al GP della Cina, sempre sotto la pioggia, dal quindicesimo posto iniziò un'esaltante rimonta che lo vide risalire fino alle spalle... del solito Rossi. Ricordo che Guido Meda, commentando la gara in tv, lo definì “un pazzo su una moto verde” (guidava una Kawasaki). Ah, ma ora che ci penso mi viene in mente un altro pilota che, da outsider, ha conquistato un insperato e spettacolare secondo posto sul bagnato: Valentino Rossi, a Le Mans nel 2012, dopo un esaltante duello con Stoner.

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