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10 March 2016

Motociclismo USA: idee e domande sul mondo delle special e delle cruiser

L’american style è poco condiviso, qui in Italia. Noi usiamo le maxicruiser per lunghi viaggi; Oltreoceano è tutto un alto piano di maniche. Lì le Bagger lunghe e basse, inguidabili e vistose, vanno per la maggiore. Ma tanto servono solo per farsi notare, mica per viaggiare…

Dal nostro inviato negli “States”

Non si possono raccontare le moto americane senza prima conoscere e capire la cultura USA. Lo stereotipo delle cruiser grosse, pesanti, cromate e buone solo per andare a passeggio ha dei fondamenti ben radicati. Ultimamente Harley-Davidson, Indian e Victory stanno costruendo moto più maneggevoli e vicine ai gusti europei, piacevoli da utilizzare anche sulle nostre strade e non solo sulle stracitate highway americane (senza arrivare ai concetti tecnico-filosofici di Erik Buell, la cui azienda è recentemente ripartita ma, in verità, non ha mai goduto di gran fortuna…). Il fatto però è che gli Yankee, sulle highway, in moto ci vanno pochissimo! L’ho scoperto durante i miei viaggi negli States degli ultimi anni, che spesso hanno coinciso con eventi di grande rilievo, due per tutti: il raduno di Sturgis (South Dakota) e la Bike Week di Daytona (Florida: qui il nostro reportage fotografico). Quest’anno l’occasione è stata la presentazione delle nuove Victory Octane e Indian Springfield, avvenuta a Orlando nel periodo della Bike Week.

Cruiser “da struscio”

Con una Tourer o una Maxienduro puoi viaggiare comodo e veloce. Ma anche le cruiser sono gustosissime se devi macinare centinaia di km al giorno (come abbiamo fatto nella nostra comparativa in Puglia). Ho fatto diversi viaggi con maxicruiser americane, anche di 1.000 km in una tirata unica, e ho scoperto il piacere di volare sull’asfalto come su un cuscino d’aria, rilassato come in poltrona e coccolato da un bel sound del motore e, in alcuni casi, anche da un impianto stereo degno di una discoteca. Per me una Harley Road Glide Ultra, una Indian Roadmaster o una Victory Vision sono sinonimi di grandi distanze, magari con passeggero e borse zeppe di indumenti per il viaggio. Ma non è così in America. Là le moto sono roba da struscio domenicale così come da noi sono le Ducati Scrambler. Faccio alcune foto con lo smartphone da inviare agli amici in Italia via Whatsapp; un reportage nell’era di Instagram (lo vedete qui). Ho visto maxicruiser carenate buone per traversate continentali trasportate anche solo per poche centinai di km sui cassoni dei pick-up o su carrelli, solo per essere scaricate in prossimità del raduno o della spiaggia di turno. Due vasche su e giù per il lungomare o sulla main street, luci LED colorate accese, radio a tutto volume e scarichi rumorosi come quelli di un buldozzer. Chi le guida lo fa senza casco (a Sturgis e a Daytona si può, in altri stati degli USA invece è obbligatorio), indossando T-shirt o canottiere, sfoggiando una miriade di tatuaggi e trotterellando a velocità codice. Perché in America puoi spaccarti il cranio per una banale scivolata e puoi fare tutto il baccano che ti pare, ma se superi il limite o sorpassi le auto in coda, stai certo di prenderti una multa.

Diavolerie elettroniche: servono davvero?

E poi c’è un’altra cosa. Sapete che la moto più venduta del mondo (tenendo conto le over 500 cc) è la Harley-Davidson Street Glide e al secondo posto c’è la Electra Glide (qui la Ultra 2014)? C’è da riflettere. Vuol dire che il mercato americano pesa enormemente e che le regine delle strade europee (BMW R 1200 GS, Yamaha Tracer e, ultimamente, la Honda Africa Twin) arrivano dietro. Allora non stupisce che, chiedendo ad un boss della Indian come mai la loro nuova Springfield non abbia riding mode e traction control, mi abbia guardato stupito come se chiedessi infradito per il mercato esquimese: “Non servono! Nessuno ce li ha mai chiesti” è la sua risposta. “Ma scusa -ribatto- su una strada di montagna sotto la pioggia, non sarebbe male avere un aiuto elettronico per gestire quasi quattro quintali di moto, no?”. La faccia del tizio si storce in una smorfia tra il disgustato e l’allibito. Curve? Pioggia? Come se le moto fossero oggetti da utilizzare solo su asfalto asciutto e possibilmente dritto. E mi viene in mente l’enfasi con cui i tecnici Harley-Davidson, solo un paio di anni fa, ci hanno presentato l’assoluta novità dell’infotainment, come fosse una svolta epocale: radio, GPS e computer di bordo integrati in un display touch-screen di serie. Roba da futuro remoto, per loro.

Questione di stile

Detto questo, le Indian e le Victory soprattutto, ma anche le Harley-Davidson di ultima generazione (specie le nuove Touring e la maneggevole Dyna Switchback) sanno accontentare anche i motociclisti e le strade del Vecchio Continente; gli Americani si aprono ai nostri mercati, ma il core businnes rimane a casa loro. Con una connotazione tutta particolare e lontana dallo stile europeo. Un po’ burina, lasciatemelo dire. Un po’ tanto. Decisamente tamarra, anzi. Bagger psichedeliche e rasoterra (ma come fanno a curvare?) con ruote anteriori di diametri siderali, luci di ogni genere, aerografie da museo del Louvre. Vetrine mobili, non moto. Supersportive deturpate da forcelloni lunghi come il Golden Gate e appesantite da cromature senza senso. E trike! Negli USA mettono due ruote dietro (ma a volte anche davanti)a tutto quello che nasce per stare in equilibrio su due. A Daytona, la scorsa settimana, ne ho visti come mai prima in vita mia. Un mondo a parte insomma. Che può piacere oppure no (a me, proprio no), ma che rappresenta una grossa, ingombrante realtà fuori dai minuscoli confini del nostro praticello italiano, legato alla moda delle maxienduro, delle crossover e delle special scrambler e café racer, come ad esempio quelle viste a Motodays 2016
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