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Quando l’elettronica ti frigge il cervello

Come tanti altri, sono attratto dagli oggetti elettronici, ma sono spaventato dai menù troppo complicati e dai libretti di uso e manutenzione grossi come enciclopedie. Ero già a disagio di fronte alle istruzioni del telefonino, ma adesso mi succede anche con le moto!

Quando l’elettronica ti frigge il cervello

A fine anni Ottanta i genitori mi hanno insegnato a fotografare. Mi hanno regalato una reflex meccanica, con regolazione manuale di tempo, diaframma e messa a fuoco. Pasticciando su quei tre parametri, avevo il mondo in mano. A metà anni Novanta, però, un amico mi ha messo in mano la sua Nikon F4, che era il top del top delle reflex professionali di quell’epoca e sono rimasto di stucco per via dell’abbondanza di pulsanti e regolazioni. Non si capiva a cosa servissero, un po’ come quando si guarda la cabina di comando di un aereo di linea. Ma non bastava saper controllare tempo, diaframma e messa a fuoco? Poco tempo dopo, comprai una Canon Eos 5, che aveva dotazioni simili a quelle della Nikon F4. Mi studiai per bene il libretto d’uso e imparai il significato di ogni funzione: autofocus fisso e in movimento, compensazione dell’esposizione, compensazione del flash, regolazione del punto di messa a fuoco, messa a fuoco a mano o comandata dall’occhio, lettura esposimetrica spot, media ponderata, matriciale, ecc. ecc.
Beh, è stata l’ultima volta che sono riuscito a dominare un libretto di uso e manutenzione. Fino ad allora pensavo che l’Uomo avesse il dovere di controllare in pieno la Macchina.

FOTOGRAFIA DIGITALE, TELEFONINI, GPS, PERSONAL COMPUTER...
Oggi, invece, mi comporto da soccombente. Tutto a un tratto ho subito l’attacco di oggetti elettronici dal grande fascino, ma con funzioni e possibilità di regolazioni talmente complesse che ho rinunciato a impararle. Il primo è stato il telefonino: ero convinto che servisse solo per telefonare, invece ho scoperto che ha quarantamila tra funzioni incomprensibili e settaggi per i quali l’oggetto funzionerebbe meglio, se solo ci capissi qualcosa. Anzi no, il telefonino è arrivato per secondo: già quando mia madre portò a casa il Commodore Vic 20 (fine anni Ottanta) capii che i personal computer avevano milioni di funzioni troppo superiori alle mie capacità cerebrali, o alla mia volontà di impararle. A fine anni Novanta storcevo il naso quando qualche collega buttava via la pellicola per passare alla fotografia digitale: avevo capito che ero sull’orlo di un imbuto, che sarei caduto anche io dentro quella novità, ma non volevo, perché mi dicevano che era tutto più complicato, che dovevano imparare delle funzioni totalmente assenti nell’analogica, difficili da capire... e poi c’era Photoshop. Non capivo perché i miei colleghi digitalizzati passassero tutte le foto dentro quel programma, sprecandoci le notti. Adesso ne sono schiavo. Ma se mi avventuro nei menù, nei settaggi, nelle possibilità di personalizzazioni e nelle funzioni sia della mia reflex digitale sia di Photoshop, divento scemo. E il Gps? Quanto l’ho desiderato! Pensavo che fosse una cosa molto semplice: una mappa con me in formato puntino che ci si muove sopra. Invece, per i primi mesi era già molto se riuscivo a registrare il percorso mentre lo stavo facendo... Il fatto è che il libretto delle istruzioni non solo era enorme, ma era anche fatto male e spiegava le cose dandone per scontate troppe, così che non ci capivo nulla.

L’INGANNO DEL DEFAULT
Una delle cose più subdole di queste trappole elettroniche è che, nella maggior parte dei casi, sono vendute con dei settaggi preimpostati, che a te non vanno bene, ma non lo sai. Quando inizi a prendere un po’ di pratica vedi che ci sono delle cose che non ti piacciono, così le accetti come difetti con cui convivere finché un tuo amico, casualmente, lo viene a sapere, ti guarda come uno scemo e ti modifica il parametro in un secondo. Ad esempio: il mio Gps ha funzionato “a tempo” e non “a metri” per i suoi primi sei anni, finché un amico, sentendomi che mi lamentavo di come quello continuasse a registrare anche quando mi fermavo a fare la pipì, non mi ha dato del pirla e, schiacciando pochi pulsanti, mi ha risolto il problema. Ovvio, non sono tutti scemi come me, ma non sono l’unico che, di fronte a menù troppo complessi, soccombe e accetta l’idea mentale di possedere oggetti supertecnologici, ma di sfruttarne solo la funzione base.

LE MOTO
Non avrei mai pensato che questo disagio si potesse estendere alle motociclette. In fondo, sono come le reflex meccaniche: tempo, diaframma, messa a fuoco, tutto manuale. Ovvero gas, freni e trasmissione. Invece no, l’elettronica sta dilagando anche qui. E adesso ci sono moto con libretti di uso grandi come enciclopedie. C’è il dispositivo che non ti fa impennare, quello che non ti fa derapare, quello che non ti fa bloccare i freni quando sei in panico, quello che ti regola l’erogazione del motore in base alle situazioni e quello che lavora sulle sospensioni. Ci sono impianti stereo con milioni di tasti e settaggi, selle e manopole riscaldate, navigatori integrati nella strumentazione, parabrezza che si alzano e si abbassano elettricamente, cruise control. Volendo, puoi acquistare a parte il kit per l’acquisizione dati, o centraline da collegare al computer per combinare diversi valori di anticipo con le varie mappature. E non basta: su alcune moto, i vari parametri sono tarabili con diversi step, ad esempio, sei in piega con il ginocchio a terra e puoi decidere tra otto diversi livelli di intervento del controllo di trazione. Inutile negarlo, le moto moderne per me sono diventate come i telefonini, ovvero cerco di usare solo le funzioni base e capisco come mai Biaggi, quando nel 2005 passò dalla Honda privata alla HRC ufficiale, si trovò malissimo, con tutte quelle regolazioni elettroniche da fare.

LA JUNGLA DEI BOTTONI
Recentemente, m’è capitato di provare quattro moto da viaggio: Guzzi California 1400, Honda Gold Wing 1800, BMW R 1200 RT e Triumph Trophy 1200. In tutti i casi le ho prese in mano, per la prima volta, col buio della sera, senza riuscire a vedere i comandi. Appena partito, m’è venuto istintivo fare le cose più elementari, tipo azionare gli indicatori di direzione o l’abbagliante, ma era buio e la mano vagava su un numero spaventoso di tasti, cercando a tentoni i basilari. È evidente che, se hai tutti quei gadget, li devi azionare, in qualche modo, quindi sta succedendo che tasti di qualsiasi foggia e dimensione si stanno appollaiando sulle estremità dei manubri, come alveari o grappoli d’uva. La mattina dopo, col sole, osservo queste megalopoli dove milioni di tasti convivono uno accanto all’altro, in spazi ristretti e cerco di capirci qualcosa, ma capisco che anche questo è un caso dove dovrei leggere l’odioso libretto di uso e manutenzione. Alcuni tasti hanno simbologie universali, come quelli del cruise control. E alcuni giornalisti stanno studiando questi comandi, da veri professionisti, al punto che la loro funzionalità sta avendo un grosso peso nel giudizio globale della moto. Come dice una mia amica: “Beh, se spendo 25.000 euro per una moto, voglio che sia perfetta, anche da quel punto di vista”. Comunque, io mi sono adattato a usarle alla vecchia maniera, come delle vecchie monocilindriche anni Sessanta: gas, freni e trasmissione.

LA PREFERISCO, ANCHE SE…
E, di quelle quattro moto-poltrone, ho eletto come mia preferita la Triumph Trophy 1200, perché è quella che mi mette di più a mio agio: motore fluidissimo, ciclistica maneggevole, protezione totale, bella luce di notte e grande stabilità a tutte le andature, al punto che posso andare a 1 km/h tra le auto ferme al semaforo con la moto fermissima, che non tende a cadere di lato come le altre. Ne ho parlato con Tarcisio Olgiati e lui si è rivelato molto meno entusiasta di me, solo che ha focalizzato il suo giudizio proprio sulla funzionalità dei tasti: ne ha criticato diverse cose, tipo la difficoltà ad azionare quelli della radio coi guantoni, o alcuni settaggi che richiedono più passaggi. Me ne ha parlato per un quarto d’ora, piuttosto stizzito, mentre io mi sentivo in colpa per avere saltato a piedi pari quel capitolo. Ed ho capito che, per essere a la page con il motociclismo moderno, bisogna passare di lì, per il famigerato libretto delle istruzioni grosso come un’enciclopedia.

Mario Ciaccia

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