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Passo falso

La scrambler d’epoca Laverda Chott, lanciata nel 1974 e provata da Motociclismo. La Casa di Breganze sfrutta il momento d'oro della Regolarità e propone la Chott 250, la sola fuoristrada tutta italiana di grossa cilindrata. Mancherà il successo, per problemi tecnici e per la natura di moto che fa tutto e... niente, mentre gli appassionati chiedono modelli specialistici

La voleva il mercato

All'inizio degli anni Settanta, Laverda è un Marchio di grande prestigio in Italia ed all'estero. Sono soprattutto le sue 'maschie' bicilindriche SF ed SFC di 750 cc, e la poderosa 1.000 tre cilindri, che rendono famosa la fabbrica di Breganze (VI). Con queste moto, e le loro elaborazioni sportive, anche un semplice appassionato dotato di talento può ritrovarsi pilota con possibilità di ben figurare nelle gare di durata, che in quegli anni vedono le Laverda primeggiare anche sulla fortissima concorrenza giapponese. La Laverda vive insomma un periodo di prosperità economica, senz'altro il momento più felice della sua vita anche futura, e desidera ampliare la sua penetrazione sul mercato motociclistico, che in quegli anni segue tre filoni principali, tutti di grande portata. Accanto al settore delle maxi moto, dove  Laverda è protagonista, ma in cui comunque a farla da padrone sono le quattro sorelle giapponesi, grande successo hanno anche il comparto ciclomotori, che vede leader indiscussa tutta l'industria italiana, con modelli per ogni gusto ed esigenza, ed infine quello delle motociclette da fuoristrada, specialmente di 125 cc. Quest'ultimo settore, analogamente a quello dei ciclomotori, rappresenta un fenomeno più italiano che europeo, al contrario di quello delle maxi moto, e favorito sia da uno stile di vita più 'libertino' ed emozionale, anche rispetto al rigore che ha contraddistinto gli anni Sessanta, almeno fino alla rivoluzione del '68, che da leggi e regolamenti del nostro Codice stradale, ma anche da un'intensa attività sportiva, che promuove il fuoristrada come la disciplina motociclistica più accessibile a ragazzi e dilettanti in genere che vogliono cimentarsi agonisticamente, anche al solo scopo di divertimento. Visto il successo che riscuotono i ciclomotori e le 125 da fuoristrada, la scelta più logica sarebbe progettare una moto di tale cilindrata,  o anche un 50 cc, da Regolarità, per penetrare più facilmente in questa allettante fetta di mercato. Ma una Casa importante e famosa come la Laverda non può debuttare con una cilindrata così bassa, e ci si vuole anche distinguere dalla moltitudine di fabbriche medio/piccole, e dai molti assemblatori, che, cavalcando il fenomeno del fuoristrada, sono nati fin troppo numerosi in breve tempo.

Nella foto, da sinistra: Edoardo Dossena, noto regolarista che ha collaborato allo sviluppo della moto, Luciano Zen, dir. tecnico, e Piero Laverda, proprietario della fabbrica veneta

Progetto furbo, marketing sbagliato

In Laverda ci si orienta verso una motocicletta di cilindrata importante, prevista dall'inizio sia come 250 che 420 cc, e con caratteristiche particolari che ne facciano un esempio unico nella produzione nazionale, che ancora non va oltre la 175 cc. Non si vuole inoltre 'scontrarsi' con Marchi che da anni si sono specializzate nelle grosse cilindrate da fuoristrada, come ad esempio KTM, Maico, Husqvarna e le spagnole Montesa, Ossa e Bultaco, ma offrire un prodotto da... gentleman rider. Non una moto con cui impegnarsi nelle competizioni ad alto livello, bensì un mezzo poliedrico e raffinato, quasi una Scrambler, ma più comoda e rifinita.
Se però nella mente dei progettisti la nuova moto è ben chiara e delineata nella sua destinazione e fisionomia, ciò proprio non si verifica quando questa viene presentata al Salone di Milano del 1973, e nemmeno quando viene messa in vendita, all'inizio della primavera dell'anno dopo. La pubblicità di Laverda punta a far percepire la Chott come una moto non specialistica ma sempre adatta al fuoristrada, una specie di Scrambler di oggi, o meglio, una monocilindrica da entrofuoristrada. Solo che, forse volendo soggiacere ai desideri del mercato, alcuni concessionari la presentano spingendo troppo sulle sue invece modeste caratteristiche 'offroad' (Car Moto di Milano, uno dei più importanti rappresentanti Laverda, la qualifica ad dirittura come una moto da Cross). Non così invece la nostra rivista, che in un'anteprima pubblicata a pochi giorni della presentazione al Salone di Milano del novembre 1973, scrive: “Per ora è prevista la realizzazione di una sola versione, quella turistico-sportiveggiante. In seguito saranno però molto probabilmente commercializzati dei kit di trasformazione destinati a rendere competitivo il mezzo nelle gare regolaristiche. Non è escluso che la stessa Laverda provveda direttamente a realizzare versioni Regolarità e Cross di queste macchine”.
Anche il nome scelto non aiuta a qualificare bene la nuova Laverda. 'Chott' è infatti il “nome dei bacini poco profondi di acqua salmastra che si formano in ambiente sub-desertico e, quando non alimentati dalle rare precipitazioni, si presentano come conche ricoperte da croste saline. Esso viene usato particolarmente in Algeria e Tunisia (fonte Enciclopedia Treccani)”. 

chiaramente una moto da fuoristrada, ma non certo da competizione

Le premesse non sono quindi del tutto incoraggianti, anche se la Chott si presenta con un aspetto accattivante e impreziosito da alcuni esclusivi particolari. Offerta in due scelte di colore per serbatoio e fiancatine, rosso o verde, a colpire di più sono il basamento del motore ed i grossi mozzi, entrambi fusi in preziosa lega di magnesio (electron) e verniciati in oro. Ad un attento osservatore non sfugge comunque che accanto ad alcuni particolari tipici delle Regolarità di quei tempi, ad esempio la borsetta porta attrezzi fissata sul serbatoio, la grossa marmitta rialzata e fornita di una protezione sul collettore, dove è più esposto ai contatti col terreno, o ancora le ottime sospensioni Ceriani, i robustissimi cerchi in lega a bordo alto, ed il largo manubrio con traversino, si abbinano invece componenti da stradale pura. Ecco allora una completa strumentazione con tachimetro/contakm e contagiri, un grosso faro cromato, pedane per il passeggero, parafanghi in acciaio cromato, con l'anteriore che sfiora la gomma, mentre al retrotreno spicca la grossa scatola ermetica che protegge la corona e la catena, un particolare che sfoggiano le Jawa e CZ da Regolarità, ma che stona un poco su una moto per altro leggera e filante nella linea.
Anche la potenza del motore, dichiarata in 26 CV a 7.600 giri, non è esuberante rispetto agli oltre 30 di altri esempi, mentre il telaio, seppure strutturato come allora va per la maggiore sulle fuoristrada, cioè doppia culla con triangolatura sotto la sella, ed il forcellone oscillante, sono piuttosto esili nella sezione dei tubi. Il telaio inoltre non mostra quelle rassicuranti piastre e fazzoletti di rinforzo nei punti più sollecitati. Infine la presenza della batteria, del cambio a sole 5 marce, e la scelta di montare gomme con battistrada da trial rispetto all'amato tassello per il fuoristrada più "impestato", diminuiscono parecchio la grinta della Chott, e pure le aspirazioni di chi pensa di acquistarla. 

La stranezza del cannotto, il problema all’accensione

A questo dualismo, che non favorisce una netta classificazione tipologica, si abbinano poi un paio di stranezze che non convincono tutti quanto a utilità. Il cannotto di sterzo, definito “a geometria variabile”, si può modificare nell'angolazione su tre posizioni (25°, 27°30' e 30°) semplicemente togliendo il serbatoio e svitando i due bulloni, superiore ed inferiore, per riposizionare la piastrina superiore dotata di tre fori che fissa il cannotto al telaio. Ma una simile articolazione nel punto più sollecitato nel fuoristrada, si chiedono gli appassionati, reggerà o il telaio andrà in pezzi al primo salto? In realtà la sicurezza è a tutta prova anche nelle condizioni peggiori, ma alla prova sul campo, conviene lasciare l'angolazione a 30°, che è quella con cui viene consegnata la moto dalla fabbrica, perché nelle altre due posizioni, la moto diventa quasi inguidabile. Un'altra complicazione tecnica è poi la frizione a secco, contenuta però nel carter della primaria dove naturalmente c'è olio, e che necessita quindi di un apposito coperchio per renderla completamente ermetica. Infine la doppia accensione, con due candele sulla testa che producono sempre entrambe la scintilla, e non, come su altre grosse fuoristrada del tempo, con la seconda era di scorta. L'accensione è naturalmente elettronica, quindi priva di manutenzione, e realizzata dalla Bosch, quindi una firma più che sicura. Ma proprio questo importante particolare si rivelerà il più grave difetto della Chott 250, che soffrirà in modo davvero anomalo di arresti improvvisi o... gite mancate perché la moto proprio non vuol partire. La Laverda, fintanto che durava la garanzia, interveniva senza spese, e furono anche fatti richiami ufficiali, senza però riuscire a risolvere definitivamente il problema. Alcuni 'fortunati' possessori della Chott, ricordano ancor oggi le numerose sostituzioni dell'accensione, che purtroppo si rivelavano solo palliativi. 

Cattiva fama (forse esagerata)

La Chott quindi, pur apprezzata nelle sue belle linee, nonché per essere la prima moto da fuoristrada costruita interamente in Italia con una cilindrata veramente  importante, non trova quel successo che la Casa di Breganze si aspettava. Così anche il prototipo di 420 cc ottenuto aumentando corsa ed alesaggio, esteticamente identico alla Chott 250 ed ormai pronto per entrare in produzione, viene del tutto abbandonato. La Chott 'vivacchia' fino al 1976, sebbene nell'estate del 1975 le venga affiancata la 2T/R (2 Tempi/Regolarità), la versione più specialistica che ne migliora le prestazioni e, si spera, l'affidabilità. Anche esteticamente la 2T/R appare più grintosa, moderna ed in linea con la concorrenza, con la livrea in bianco/rosso ed i parafanghi in materiale plastico. Il motore, passato alla vernice nera, grazie a modifiche al cilindro ed all'aspirazione (carburatore sempre da 32 mm ma con differente taratura, e nuovi pistone, disegno delle luci e dei travasi) esprime 4 CV in più, mentre il cambio ha la prima accorciata per poter meglio aggredire gli ostacoli più impegnativi. Il telaio, ora dipinto in rosso, è rinforzato nei punti critici con ampie piastre, pur mantenendo l'inutile possibilità di variare l'inclinazione dell'angolo di sterzo. Arrivano finalmente gomme tassellate degne di questo nome, e sono eliminati i grossi strumenti stradali, sostituiti da una aggressiva tabella porta numero per scendere in gara. Inspiegabilmente invece non si elimina la batteria, del tutto inutile su una moto che ha velleità competitive nel fuoristrada. La 2T/R purtroppo sconta la fama di inaffidabilità della Chott, che forse con un tantino di esagerazione è ormai diffusa tra gli appassionati di fuoristrada. Inoltre pesa una decina di kg in più rispetto alle concorrenti, e dà l'impressione di essere più voluminosa ed imponente di quanto invece sia in realtà. Delusa anche in questo tentativo di rendere più appetitosa la sua 250 tra i regolaristi, la Laverda decide di  cambiare completamente soggetto varando una nuova linea di motociclette ispirate alle svedesi Husqvarna da Regolarità, dalle quali vengono presi motore e telaio, personalizzando poi la moto con una nuova estetica e componentistica che arriva dal nostro Paese. Anche queste moto, prodotte nelle cilindrate di 125 e 250 cc e sicuramente più idonee al fuoristrada impegnato rispetto alle precedenti, non riusciranno però ad imporsi sul resto della concorrenza, e chiuderanno definitivamente il capitolo Regolarità in casa Laverda.

La prova di Motociclismo

La Chott viene provata a lungo da Motociclismo che ne pubblica il resoconto sul numero di settembre del 1974. Ne rileggiamo i punti più significativi. “La Chott è la prima media cilindrata italiana concepita secondo moderni criteri sia per il fuoristrada turistico (a quello agonistico ci si penserà più avanti...), sia per l'impiego stradale anche in due...notevole l'impiego di materiali speciali per il telaio ed il motore, elementi che vengono così a pesare il 20% in meno di quelli costruiti con i soliti materiali... stupisce però che siano rimasti parafanghi e serbatoio in lamiera d'acciaio, più qualche altro elemento non certo all'insegna della leggerezza...(abbiamo infatti registrato un peso a vuoto di 117 kg). Ottima la finitura: il carter è trattato con tre mani di vernice speciale, e testa-cilindro-scarico con due...la linea della Chott risulta un po' appesantita dalla conformazione del tubo di scarico, dal sellone, e dal carter di protezione per la catena; il grosso motore è sistemato piuttosto in alto...la posizione di guida è comoda e sufficientemente naturale, anche se la sella è discretamente alta da terra...grazie alla doppia accensione l'avviamento è sempre pronto.... Le doti di potenza sono eccellenti e ben distribuite, ma sotto ai 3.000 giri si manifesta qualche tendenza al funzionamento a 4T...buono il cambio, un po' rude negli innesti ma preciso...la frizione resiste a meraviglia, stacca sempre perfettamente, e non si gonfia sotto sforzo...nella guida fuoristrada si evidenzia l'ottima maneggevolezza e la buona distribuzione dei pesi...sul terreno pesante sarebbero tuttavia preferibili coperture tipo Cross anziché quelle tipo Trial con cui viene consegnata la macchina...i freni sono ben dimensionati anche per il fuoristrada veloce, però sull'asfalto mostrano presto segni di affaticamento... buona l'impermeabilità”.

DATI TECNICI (tra parentesi le varianti per 2T/R 250 del 1975)

Motore
  • Tipo: monocilindrico, 2 tempi, cilindro in lega leggera con canna riportata in ghisa e 7 luci, inclinato in avanti di 10°, testa in lega leggera,
  • Raffreddamento: ad aria
  • Alesaggio e corsa: 68x68 mm
  • Cilindrata: 246,95 cc
  • Compressione: 10: 1
  • Potenza max: 26 CV a 7.600 giri (30 CV a 7.400 giri)
  • Accensione: elettronica Bosch, 2 candele Bosch W240T2.
  • Alimentazione: a caduta, miscela olio/ benzina al 5%, Carburatore Dell'Orto PHB32, filtro dell'aria a cartuccia di spugna posto sotto la sella, pulizia ogni 3.000 km
  • Capacità serbatoio carburante: 11 litri compresa riserva di 3 litri
  • Lubrificazione cambio e trasmissione primaria: a sbattimento
  • Capacità della coppa: 1 litro di SAE 20W/50
Trasmissione
  • Primaria: ad ingranaggi a denti dritti, rapporto 1:3,154 (denti 26/82)
  • Finale: a catena con carter ermetico in electron, rapporto 1:2,857 (denti 14/40)
  • Cambio: in blocco a 5 rapporti con ingranaggi ad innesti frontali, comandato da leva singola sulla sinistra.
  • Frizione: a dischi multipli a secco
Ciclistica
  • Telaio: a doppia culla in tubi di acciaio ed elementi di lamiera saldata
  • Cannotto di sterzo: inclinabile su tre posizioni: 25°, 27°30', 30°
  • Sospensioni anteriori: forcella Ceriani con steli da 35 mm di diametro e con 220 cc di olio per gamba
  • Sospensioni posteriori: forcellone oscillante con due ammortizzatori Ceriani teleidraulici regolabili nel precarico molla
  • Cerchi: in lega leggera Borrani, ant WM121, post WM2-18
  • Pneumatici: Metzeler Trial, ant 3,00x21”, post 4,00x18 (Metzeler Six Days)
  • Freni: a tamburo laterale da 180 mm di diametro, larghezza utile pista frenante 25 mm
  • Impianto elettrico: con volano alternatore da 12V-55W, batteria da 12V-6Ah
Dimensioni e peso
  • Lunghezza: 2.086 mm
  • Interasse: 1.398 mm (variabile con le regolazioni del cannotto di sterzo)
  • Larghezza manubrio: 890 mm
  • Altezza sella: 870 mm
  • Altezza pedane: 320 mm
  • Altezza min. da terra: 200 mm
  • Peso a vuoto: 110 (113) kg
Prestazioni rilevate nella prova di Motociclismo
  • Velocità massima: 126,98 km/h
  • Accelerazione: 400 m in 16,762 sec. con uscita a 119,20 km/h
  • Consumo: medio 15 km/litroPeso: a vuoto 117 kg
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