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Pedrosa e Guintoli: campioni (solo) di sfortuna

Il destino avverso ti tempra. Oppure ti logora fino a piegarti. È forse questa la condizione di Dani Pedrosa e Sylvain Guintoli, questo week end incolpevoli protagonisti di circostanze rocambolesche. Che ci hanno ricordato quanto conti la fortuna per vincere un Mondiale

Pedrosa e guintoli: campioni (solo) di sfortuna

Dani Pedrosa e Sylvain Guintoli hanno la fortuna (e il merito) di guidare le moto a mio parere più competitive del rispettivo campionato e di essere ancora in lotta l’uno per il titolo MotoGP e l’altro per quello Superbike. In queste due categorie sarebbe la prima consacrazione “mondiale” per entrambi. Che, a torto o a ragione, non sono mai stati considerati due “vincenti”. Ecco il punto: che cosa occorre davvero per essere un campione? Questo week end mi sono convinto definitivamente che non basta essere fenomenali nella guida e solidissimi di testa. Non basta neppure guidare una moto ufficiale e affidarsi a un top team. No, non basta: occorre anche essere un predestinato. Un uomo immune da colpi di sfortuna.

Uno come Marc Marquez, tanto per fare il più inflazionato degli esempi. Quando cadi a 330 km/h al Mugello e ti rialzi illeso dopo aver accarezzato un muro di cemento, allora puoi pensarlo: sì, sono un predestinato. Sono uno baciato dalla fortuna.

Ci vuole anche quella, per diventare un “vincente”. E siccome Pedrosa e Guintoli questa domenica sono stati piegati da una sorte davvero beffarda, credo che non basti attaccarsi alla matematica, che pure li tiene in gioco, per darli ancora in corsa per il titolo 2013: sono troppo sfigati!

 

GUINTOLI, DA LEADER A GREGARIO: QUANDO LA SFORTUNA TRASFORMA UN PILOTA

Sylvain a Laguna Seca mostra fin dal venerdì il miglior passo tra i compagni di Marca, poi stampa la pole. Sabato parte in Gara 1 in maniera impeccabile, guida sciolto, e in cinque giri rifila distacchi imbarazzanti ai suoi avversari diretti nella lotta al titolo: al sesto passaggio, Sykes insegue a 2 secondi, Laverty e Melandri addirittura a 4. Insomma, a vederlo guidare così sicuro e senza sbavature, Guintoli sembra destinato a una cavalcata in solitario. Poi succede qualcosa: la Suzuki di Danny Eslick cade alla curva 5 e si infila nell’air fence, bucandolo. Bandiera rossa, tutto da rifare. Per carità, la sicurezza vien prima di tutto, e Aligi Deganello (purtroppo) lo ha imparato a sue spese. Ma il capomeccanico di Guintoli scuote la testa e sembra pensare più o meno quel che penso io davanti alla TV: “possibile che gli americani si sono accorti solo oggi che esiste la sicurezza?”. Io mi consolo registrando questo importante ravvedimento, lui vedendo Sylvain seduto al suo fianco sereno e disteso, carico come non mai per la ripresa di Gara 1. E in effetti è così. Nuovo semaforo verde, nuova staccatona alla Andretti Hairpin, nuovo allungo della Aprilia numero 50 sulla Kawasaki numero 66. Dopo soli 7 giri di questa seconda “minimanche”, Sylvain svetta come un vero fuoriclasse sui rispettivi compagni di Marca, in particolare su Eugene Laverty e Davide Giugliano, già staccati di 4 secondi.

Finché, al giro 8, anche Roger Hayden scivola e pure l’air fence che accoglie la sua GSX-R 1000 si affloscia. Insomma, nel breve volgere di 13 giri disputati in condizioni meteo ideali, si registrano due air fence perforati e una manche di Superbike già interrotta due volte: si è mai vista una cosa simile? Chi ne fa le spese è l’autore della pole position e dominatore assoluto delle due “minimanche” fin lì disputate. Evidentemente non è il mio giorno, si sarà detto Sylvain. E in quel momento esatto scatta qualcosa nella sua testa. Il risultato è un opaco quinto posto sia in Gara 1 sia in Gara 2 dietro a tutti i rivali in corsa per il titolo e dietro alle Aprilia ufficiali e private.

Vien da domandarsi: che effetti poderosi ha la fortuna sulla classifica e sulla testa del pilota?

 

PEDROSA E IL PRIMATO DI SUBIRE UN GRAVE DANNO TECNICO DALLA CAREZZA DI UNA TUTA

Dani Pedrosa arriva ad Aragon fiducioso, forte del successo del 2012, e dopo un buon venerdì il sabato guadagna la prima fila a 1 decimo dalla pole position. Per uno che in gara dà il meglio di sé ci sono le premesse per puntare alla vittoria. Infatti, la domenica, Dani si accoda immediatamente dopo il via a Marquez e a Lorenzo, determinato com’è a giocarsi una delle ultimissime chance per riaprire il “suo” Mondiale. Infila agilmente Marc al quarto passaggio, spegne sul nascere il tentativo di fuga di Jorge e stampa il giro record della gara (1’48”5: nessuno riuscirà neppure ad avvicinarlo) guidando come sul velluto. Insomma, una gara fin lì perfetta, una vittoria a portata di mano.

Poi, al giro 6, Pedrosa getta tutto alle ortiche finendo a terra alla curva 12. Una manata di gas in seconda marcia innesca un high side che appare subito anomalo, e la conseguenza è una violenta botta al bacino e alla gamba sinistra, fortunatamente senza troppe conseguenze.

Ma Che cosa è successo?

Quello che è accaduto, ovvero che Marquez lo ha urtato leggermente, conta fino a un certo punto. In questo caso non ci preoccupiamo delle reazioni di chi ha messo Marc sotto inchiesta (la Direzione Gara) né di chi lo ha criticato (Livio Suppo) né di chi lo ha severamente redarguito (Dani Pedrosa). Ciò che stupisce e che conta, adesso, è che anche volendo ripetere milioni e milioni di volte una manovra del genere, è impossibile riuscire a disattivare il controllo di trazione di una Honda MotoGP accarezzando in piega il forcellone con lo slider posto sul gomito o sul ginocchio.

A Tokyo hanno già in progetto una placca di protezione sul sensore posto di fronte al freno a disco posteriore della RC213V. Se la HRC avesse sede a Napoli, si sarebbero accontentati di un corno e un ferro di cavallo.

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