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Il 2T alla resa dei conti

Tecnica: motore due tempi da moto e inquinamento. Il 2T è un motore eccezionale, ma con un difetto oggi imperdonabile: inquina. Ora arrivano i severissimi limiti della Euro 4. Quali soluzioni per non far “morire” un propulsore molto amato dagli appassionati? Se il catalizzatore non basta, serve l’iniezione diretta. I primi tentativi Aprilia, Honda, Peugeot, Piaggio; il lavoro attuale di KTM, Sherco, Ossa; le alternative da mare e neve 

Duro a morire

Arrivano le nuove Euro, le 4 in questo caso, e i progettisti dei 2T iniziano a preoccuparsi e a darsi da fare. Fino a oggi ad ogni annuncio - Euro 2, Euro 3... - erano sempre partiti con dichiarazioni drastiche (non si riuscirà a rientrare nei limiti) o con progetti importanti, nuovi motori, sistemi rivoluzionari. Poi a conti fatti tutto si è sempre concluso con il classico metodo economico: messa a punto del motore e scarico catalizzato. Il Codice inoltre aiuta ad applicare questo sistema, la potenza massima limitata a 11 kW per i 125 cc, e anche il rapporto potenza/peso non superiore a 0,1 kW/kg, permettono infatti ai progettisti di non occuparsi del calo di prestazione dovuto allo scarico “tappato”. Questa volta, con le Euro 4, la soluzione sembra però essere più complicata, tanto che una delle Case più rappresentative delle due ruote 2T, la KTM, ha dichiarato che per il 2017 l’enduro 125 EXC non sarà più prodotta, mentre rimangono in listino le 250-300 EXC, ancora a carburatore. In realtà è più complessa, la situazione: vero che la EXC 125 è uscita dal listino, ma al suo posto c’è la nuova XC-W. Si tratta di un modello non omologabile per la circolazione su strada (KTM non rilascia i documenti), quindi riservato alle competizioni in aree chiuse (come quelle "cross country" in voga negli USA, in Australia, in Germania e altri Paesi).
Sulla sorte delle loro 2T altre Case, come la Beta, dicono che continueranno a produrle nelle cilindrate di 250-300 cc, e la Yamaha, che rimanderà la decisione nel 2018, quando non sarà più possibile vendere le “fine serie”. Contro tutto e tutti - le norme antinquinamento, l’opinione comune, la moda e le strategie delle più grandi Case - il buon vecchio motore due tempi quindi ancora resiste. O tenta di resistere, anche con progetti davvero affascinanti, come la Suter MMX

Pregi e difetti

È facile capire perché si è restii nell'abbandonarlo. Anzitutto da un punto di vista tecnico è straordinario, al confronto di un 4T infatti è molto più semplice, quindi ha costo e manutenzione meno onerosi, è più leggero e le dimensioni sono decisamente contenute. Offre anche prestazioni elevate - quasi il doppio di un 4T, visto che tutti i cicli sono utili - senza ricorrere a tecnologie spinte, e infine, per le caratteristiche di erogazione (che con il progredire della tecnica sono diventate estremamente piacevoli), ha sempre una grande fetta di estimatori. Difetti? Solo due, ma che oggi sfortunatamente pesano molto: consumi elevati ed emissioni importanti. A mettere in pericolo i 2T sono anche i settori in cui sono presenti: enduro, cross, motard e trial di piccola cilindrata; poi ci sono i cinquantini, che però oggi sul mercato non godono più di un grande successo. In sostanza questi motori li troviamo solo su moto specialistiche, quindi vendute in numeri non particolarmente importanti. E non vale nemmeno il discorso in molti Paesi emergenti, dove il 4T detta ora legge.

L’allarme rientra

In Italia l’allarme inquinamento è arrivato nella metà degli anni ‘90, con l’avvento delle Euro 2: rientrare nei nuovi limiti con un motore tradizionale allora sembrava impossibile. E il problema era serio, poiché si vendevano moltissimi cinquantini, ma allora c’erano le risorse, e molte Case iniziarono a sperimentare anche soluzioni complesse, la più interessante era l’iniezione diretta. A livello prototipale sono stati realizzati tante versioni di questo sistema, che però furono presto abbandonate quando si è visto che il problema dei limiti sulle emissioni inquinanti si risolveva, come già detto, semplicemente adottando un catalizzatore. Dal punto di vista tecnico però alcune soluzioni erano molto eleganti e funzionali, ma con un grande difetto: andavano contro il più grande pregio del due tempi, la semplicità. Quindi con l’ovvio aggravio di costi, di produzione, di manutenzione e anche limiti di affidabilità. Tutto perciò è rientrato nella normalità, con gli scarichi catalizzati, fino a quando, a fine ‘90, è arrivato un nuovo allarme: l’Euro 3. Anche qui i progettisti si animarono, ma forti dell’esperienza precedente non ebbero problemi ad affinare i sistemi di catalisi, che permisero di rientrare nei nuovi limiti, se pur con qualche sacrificio nelle prestazioni e nei costi dello scarico, che doveva essere dotato di un catalizzatore più raffinato.

Sempre più difficile

Oggi gli ingegneri si trovano ad affrontare la Euro 4, che naturalmente impone obblighi e limiti ancor più restrittivi. A parte le esenzioni per alcune categorie di veicoli - ABS, diagnostica di bordo... - resta comunque di base il solito problema delle emissioni, la prima reazione è stata comunque drastica, ma già sentita: “Con il due tempi tradizionale non è possibile rientrare nei limiti con un carburatore. Occorre passare all’iniezione”. Ovviamente l’iniezione non può essere quella tradizionale, cioè nel collettore, perché così non si elimina il naturale problema del due tempi, motore intrinsecamente “sporco”. La carica fresca infatti si mescola con i gas di scarico, poiché è spinta nel cilindro dal carter in pressione attraverso i travasi, e il passaggio avviene con la luce di scarico aperta. Così parte della carica fresca si mescola inevitabilmente con i gas combusti, e un piccola quantità di benzina esce dallo scarico, aumentando il titolo di idrocarburi nei gas. Con un ulteriore effetto collaterale negativo: aumentano i consumi. Questo problema si risolve con l’iniezione diretta, cioè immettendo la miscela aria-carburante con le luci di scarico chiuse, tecnica che si può realizzare solo impiegando un iniettore che spruzza direttamente nella camera di combustione, eliminando la dispersione del carburante nell’atmosfera. Il concetto è quindi semplice, ma la realizzazione nasconde alcune difficoltà. Prima di tutto, come anticipato, il sistema è complesso, poiché sulle piccole cilindrate unitarie il carburante va dosato in minima quantità, e poi ci sono i problemi di sincronizzazione. Il motore 2T ha un ciclo utile ad ogni giro dell’albero motore, quindi il tempo a disposizione per sincronizzare l’iniettore è molto stretto, si parla di pochi millisecondi; occorre quindi lavorare con pressioni elevate, ma senza esagerare perché altrimenti ci potrebbero essere dei limiti inferiori, cioè anche con un tempo di apertura molto breve potrebbe entrare troppo carburante. Questo problema si risolve, ma più si scende di cilindrata, più è complesso, poiché questi motori oltre ad essere "miniaturizzati" hanno un intervallo di regimi molto ampio. In questo caso occorre perciò un sistema preciso e versatile in grado di iniettare piccole quantità di benzina al minimo (minime portate per il minimo impulso di apertura dell’iniettore) e portate superiori in un tempo molto breve in alto (a 12.000 giri ci sono meno di 5 ms per iniettare). Realizzare un iniettore così elaborato non è impossibile, ma ha un costo di produzione elevato, e questo è anche il motivo per cui sui motori fuoribordo, sulle moto d’acqua e sulle motoslitte troviamo 2T a iniezione, non solo per via delle superiori cilindrate, ma anche perché sono tipicamente oggetti più costosi di una piccola moto, ed è quindi è più facile giustificare l’extra costo di una complessa iniezione.
Comunque all’iniezione stanno lavorando (e sono in dirittura d’arrivo) KTM/Husqvarna, Beta, Sherco… Ossa, infine, ha già da anni in listino varie moto con motore 2T a iniezione (come la Explorer 280, ad esempio).

Complicazioni del passato…

Nel passato ci sono stati alcuni esempi di cinquantini con motori a due tempi ad iniezione diretta, il DiTech Aprilia, il TSDI Peugeot e il PureJet Piaggio, oggi abbandonati non solo per i costi ma anche per complicazioni tecniche. Il DiTech è stato il primo ad arrivare nella produzione di serie. Sviluppato in collaborazione con l’australiana Orbital (che già lo utilizzava su motori fuoribordo e in via sperimentale su autovetture), è un sistema molto elegante quanto complicato. Ha due iniettori, uno per l’aria e benzina e uno supplementare per l’aria, che sono alimentati dalle rispettive pompe, piuttosto complesse: quella dell’iniezione, che deve arrivare a lavorare a 7 bar e quella dell’aria, che deve lavorare fino a regimi che arrivano a 12.000 giri. In più c’è il circuito di lubrificazione separato, che ha il vantaggio di non essere a perdere, ma è complicato, avendo una pompa dedicata e dei circuiti che raggiungono i punti esatti da lubrificare. Oggi il DiTech è stato abbandonato, non solo perché troppo delicato e costoso per essere utilizzato su un cinquantino, ma anche il problema delle emissioni si è risolto, come di norma, con un ben più semplice catalizzatore sullo scarico.

Bicilindrico due tempi, 850 cc, 165 CV

Oggi un’applicazione importante di un 2T ad iniezione diretta è quella di alcuni motori del gruppo Bombardier; il sistema si chiama E-Tec ed è usato nei fuoribordo Evinrude, nelle moto d’acqua Sea-Doo e nelle motoslitte Ski-Doo. Prendiamo un esempio interessante di quest’ultima categoria, la Ski-Doo MXZ X. È spinta da un bicilindrico di 850 cc erogante ben 165 CV; il cuore dell’alimentazione è un iniettore-pompa elettromagnetico, che pressurizza la benzina e la inietta direttamente nella camera di scoppio. Vista la cilindrata unitaria elevata (425 cc) e il regime di funzionamento (massimo 7.900 giri) la realizzazione non è stata particolarmente complessa. La Casa dichiara che, grazie alla lubrificazione che non è affidata a una miscela, il consumo di olio è il 75% inferiore rispetto a un tradizionale motore 2T; che le emissioni di monossido di carbonio sono un quinto di quelle di un motore a quattro tempi e che lo scarico non emette praticamente fumo. Niente male, quindi: l’iniezione diretta è un’ottima soluzione, non solo per rientrare nei limiti delle sempre più severe normative antinquinamento ma anche per realizzare motori potenti, compatti ed efficienti. Perché non interessa il mondo delle due ruote? Nelle piccole cilindrate, fino a 125 cc i motivi li abbiamo visti (costo, complessità), e poi fino alle Euro 3 ci ha salvati il catalizzatore. Che oggi però, con le Euro 4, potrebbe non bastare più, visto che in alcuni casi le emissioni rientrano già a fatica nella Euro 3. Sarà quindi una soluzione che dovrà essere verificata.  

Chi potrebbe non vuole

Nel 1995 la Honda si è presentata alla Dakar con la EXP-2, una monocilindrica 2T di 400 cc ad iniezione. Non era diretta, ma il sistema era interessante, poiché in più aveva una valvola sullo scarico che lavorava modulando la parzializzazione in relazione al regime e all’apertura della farfalla (non con la semplice funzione aperta/chiusa). Gestendola così il sistema riusciva a controllare il rapporto di compressione e anche l’accensione, che in determinate condizioni avveniva senza l’innesco della candela, con vantaggi nella propagazione della fiamma e nel controllo della temperatura. Il sistema, insomma, era efficace e ben collaudato (tanto che la moto si classificò quinta col francese Brucy solo perché al pilota fu praticamente chiesto di non esagerare, per non… irritare gli avversari a causa delle prestazioni di una moto prototipo in un’annata in cui alla gara erano teoricamente ammesse solo moto di serie…), fu applicato anche allo scooter Pantheon 125 e 150, ma poi la Honda ha stoppato i progetti dei due tempi per intraprendere la strada del quattro, anche nel cross, nell’enduro, nel trial (oltre che… inventando la MotoGP). Peccato, perché se c'era una Casa che aveva la forza e la tecnologia per sviluppare un 2T di nuova generazione, era proprio la Honda, che con questa scelta sembra proprio aver decretato la fine di questi motori.
Oggi, visti i tempi non molto brillanti in tema di economia e l’orientamento del mercato, è difficile immaginare un’altra Casa motociclistica che si impegni in un nuovo progetto che, oltre al lavoro di messa a punto del sistema di iniezione richiede anche la riprogettazione del motore e della camera di scoppio. Un lavoro cioè lungo e costoso, per poi offrire un motore che potrebbe non essere compreso e apprezzato dal grande pubblico. Peccato, però, una maxi sportiva 2T sarebbe stimolante...
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