Statistiche web
10 May 2013

Maximoto, le regine delle ipersportive (seconda puntata)

In ogni periodo c’è un modello sportivo che spicca: e non è detto che sia sempre il più veloce. Rassegna delle superstar a due ruote. Anni 90, si rallenta: meno novità, ma certo non meno velocità!

Maximoto, le regine delle ipersportive (seconda puntata)

di Mario Ciaccia

 

Vi avevamo lasciati, nella puntata precedente (cliccate qui), con una Yamaha FZR1000 Ex-Up dalle formidabili prestazioni, ma gli anni Novanta sono stati caratterizzati da moto meno esplosive, che puntavano tutto sulla guidabilità. Sono stati anni più maturi, in un certo senso, ma hanno anche accentuato lo scollamento tra ciò che tali moto erano in grado di fare e ciò che le strade, al di fuori della pista, non permettevano. Ricordiamo che tale articolo non ha alcun valore scientifico: parla solo di quelle moto che spiccavano rispetto alle altre, a livello di desiderio degli appassionati, di carisma, di carattere (cliccate qui per la gallery)

 

1991, HONDA CBR900RR

Questa moto rappresenta un punto preciso nella storia di Honda. Nulla a che fare con le "sboronate" tipo CBX1000 o VF1000R: non si punta più ai CV, allo spettacolo, ai muscoli ma a una guidabilità sopraffina. La nuova 900 non è stata la più potente e neanche la più veloce della sua epoca, ma era ciò che giustificava il detto "Honda è Honda": una moto che mette subito a proprio agio, come se la guidassi da anni; bella e facile da guidare, leggera, affidabile e ben rifinita. Che spettacolo, il gruviera ai lati del doppio faro! Seguiva fedelmente la ricetta classica della moto giapponese, ovvero motore a 4 cilindri in linea trasversale e telaio perimetrale in alluminio, ma aveva la ruota anteriore da 16". Forse è stata l'ultima supersportiva ad averla. La moto si è evoluta costantemente, ha avuto la 17", è cresciuta fino ai 1.000 cc, ha vinto un titolo Superbike ed è stata la prima ipersportiva a montare l'ABS e l’ammortizzatore di sterzo elettronico, ma solo le prime 900 hanno avuto quella personalità così forte da farle considerare il riferimento sia in pista, sia al bar.

 

1993, DUCATI 916

Era dagli anni Settanta che non veniva immessa nel mercato una ipersportiva italiana capace di eccitare gli appassionati al punto da farne un riferimento mondiale. Fino al 1986, nessuno si sarebbe aspettato una moto come questa Ducati. Già le 851 e 888 andavano ben oltre gli standard di potenza, ciclistica e prestazioni della media delle obsolete sportive made in Italy, ma questa 916, creata dal genio Massimo Tamburini, spaccava veramente. Da qualunque lato la si guardasse era diversa e innovativa, era unica, personalissima e inconfondibile. Il doppio faro anteriore schiacciato. La carena attilatissima, a ricordare a tutti che un bicilindrico longitudinale è stretto quasi come un mono. Il forcellone monobraccio, con la ruota posteriore a sbalzo. Il sensuale scarico sotto la sella. La moto andava fortissimo, in pista era efficace tanto da diventare la bestia nera del Mondiale Superbike, cosa che ne ha aumentato il carisma. Ma poi Ducati è stata venduta, Tamburini è rimasto in Cagiva (dove ha creato un altro capolavoro, la MV F4) e sono quasi 15 anni che si cerca di rinnovare il fascino della 916. Forse neanche la Panigale c'è riuscita...

 

1995, SUZUKI GSX750R

La sigla è la stessa della moto del 1984, ma il concetto è diverso. Quella era una endurance replica che, poi, venne adattata alla superbike e rinnovata ogni due anni. Questa ne sembrava l'evoluzione, ma di fatto era una moto completamente nuova, che affrontava le maxi facendosi forza di una notevole potenza specifica (130 CV dichiarati all'albero) e di un peso molto più basso rispetto a tutte le altre 750. La ciclistica, come quote e geometrie, cercava di non discostarsi troppo da quella della RGV500 da gran premio. Era una moto estrema, molto avanti, che in pista bastonava la GSX1100R (destinata all'oblio) e lottava spalla a spalla con le varie Honda CBR900RR, Ducati 916, Yamaha Thunderace e Kawasaki ZX-9R, nonostante il motore più piccolo.

 

1997, YAMAHA R1

Una pietra miliare. Un motore da 150 CV inserito in una ciclistica leggera e dall'interasse inferiore al metro e quaranta (cliccate qui per sapere cosa dissero i tester di Motociclismo alla presentazione). In realtà, il motore non era molto diverso da quello delle FZR1000 e Thunderace che l'avevano preceduta, ma la ciclistica era più estrema (certo, il motore pesava 9 kg di meno e aveva il cambio disposto in maniera diversa, più in alto, per accorciare il motore e permettere il montaggio di un forcellone più lungo di 6 cm, nonostante l'interasse più corto). La moto era bellissima, con le sovrastrutture molto affilate. Cattiveria allo stato puro. Al bar, le prime volte, non ci credevi. Un conoscente, molto esperto di maxi, la comprò e dapprima disse che una libidine così non l'aveva mai guidata, poi si ritrovò sbalzato in aria senza neanche aspettarselo. La R1 ha subito numerosissime modifiche: ha perso la quinta valvola, ha guadagnato la fasatura variabile e l'albero motore a croce, ha vinto un Mondiale Superbike, ma non ha mai arrapato le folle come la primissima versione.

 

1999, HONDA VTR1000R SP01

Devo confessare che, dopo la R1, i miei ricordi vanno in crisi. Cioè, ricordo bene quali maxi sono uscite sul mercato dopo di lei, ma non ne ricordo una che spiccasse, anzi, che spaccasse come hanno fatto le varie GPZ900R, GSX1100R, CBR900RR, 916 ecc. Eppure alla gente le supersport piacevano, seguivano con attenzione i GP e la Superbike ed erano uscite tante moto interessanti, come la Triumph Daytona 955 (che riportava un tricilindrico nell'olimpo delle ipersport), la MV Agusta 750 F4, la Ducati 998, la Honda CBR954RR, le evoluzioni della Kawasaki ZX-9R. Allora citerò un fenomeno che ha caratterizzato i primissimi anni Duemila: poiché il regolamento della Superbike era nettamente sbilanciato verso le bicilindriche, si videro scendere in pista ben quattro V2, oltre alla Ducati: la Honda VTR1000R SP01, l'Aprilia RSV1000, la Suzuki TL1000R e la Bimota con motore Suzuki. I giapponesi, da sempre seguaci del 4 cilindri, s'erano dovuti turare il naso e creare questi potentissimi bicilindrici. La stranezza – che nessuno mi ha mai spiegato – è che la Honda e la Suzuki pesavano più delle rivali "interne" a 4 cilindri, ovvero la CBR954RR e la GSX750R, dopo che, per anni, mi era sempre stato detto che le moto a due cilindri pesavano meno di quelle a quattro. Eppure, la Honda VTR era più sofisticata e costosa della CBR. Ma non ricordo che l'uomo della strada sbavasse sulla VTR come aveva fatto, a suo tempo, con le varie 916, R1 ecc. Si trattò di una moto eccezionale, in ogni caso, visto che vinse due titoli mondiali negli appena tre anni che venne impiegata nella Superbike. Poi, appena i giapponesi riuscirono a far cambiare il regolamento, gettarono le loro V2 alle ortiche, senza alcun rimpianto. Anzi, Suzuki la TL1000R la fece correre solo negli Usa! Non ha disputato una sola gara del Mondiale Superbike, sebbene il suo motore sia riuscito a vincere una gara, montato sulla Bimota di Anthony Gobert. L'Aprilia corse per quattro stagioni, ad alto livello, poi venne mandata in pensione quando a Noale decisero di concentrarsi esclusivamente sulla fallimentare RS Cube da MotoGP. Insomma, fu il momento di gloria delle bicilindriche, ma fu una cosa più dovuta ai regolamenti che a una vera voglia di V2 da parte di non si sa chi.

 

2000, SUZUKI GSX1000R

Quando, nel 1995, Suzuki presentò quella 750 che andava come una 1000, gli appassionati si domandarono, ovviamente, come sarebbe stata una 1000 realizzata con quei criteri. La risposta arrivò solo 5 anni dopo, con questa modernissima 1000 che si meritò una copertina su Motociclismo, dove usciva di curva con l'avantreno a candela. Leggera, strapotente, efficace, per anni è stata la maxi di riferimento, quella che vinceva le comparative. E che vinse pure un Mondiale Superbike, con Troy Corser. La precedente 1100, a confronto, sembrava un camion, anche se ancora oggi c'è chi ne rimpiange il carattere e la forte coppia.

Ma poi? Io sono in crisi totale. Quella sensazione da appassionato, da uomo di strada che percepisce che una maxi spicca su tutte le altre non per come va, ma per come esalta le folle non l'ho provata per quasi dieci anni. Honda e Yamaha hanno evoluto costantemente le loro CBR e R1, Kawasaki ha rimpiazzato la ZX-9R con la 10R, la MV F4 è cresciuta a 1000, Ducati ha tentato di sostituire la 916 con la 999 e la 1098, ma non ne ricordo una che "spaccasse" veramente a livello di isteria di massa. KTM ha prodotto la RC8. Ci sono state anche sportive strane, come la BMW HP2 Sport, la Buell 1135, la Vyrus. Ma nulla, niente, nessuna è mai stata veramente la regina. Ah, ci sarebbe stata anche la bordata delle iper da 300 km/h, innescata dalla Honda CBR1100XX e completata dalla Kawasaki ZX-12R e dalla Suzuki Hayabusa 1300, ma si è trattato di una nicchia di moto poco guidabili e rimaste per poco nella fantasia degli appassionati. Allora sono giunto a una conclusione: sono state le naked a rubare la scena alle supersportive. Ricordo bene come la MV Agusta Brutale (e non la F4), ad esempio, venisse “percepita” come una vera e propria moto da riferimento tra i mezzi da sparo da usare sui passi la domenica.

 

2008, BMW S 1000 RR

Ho, finalmente, riconosciuto una vera regina nella BMW S 1000 RR. Quando è uscita, mi ha fatto cascare le braccia: ma come, in BMW fanno sempre gli originaloni a tutti i costi e adesso presentano la fotocopia di una moto giapponese? E chi vuoi che se la compri: se devo comprare una 4 cilindri in linea con motore trasversale e telaio perimetrale in alluminio, tanto vale prendere l'originale, non l'imitazione. Poi, a mano a mano che i giornalisti specializzati la provavano, la voce si diffondeva: BMW, al debutto nel settore più difficile, aveva vinto al primo colpo. Rispetto alle jap, questa moto era molto più potente, ma era anche facilmente gestibile, anche perché montava l'elettronica più avanzata mai vista fino a quel momento. Di colpo, le quattro sorelle giapponesi apparivano vecchie e stanche. Che quello BMW fosse un progetto avanzatissimo è testimoniato dal fatto che ancora oggi è una delle migliori, nonostante le rivali si stiano dotando di un'elettronica altamente evoluta come la sua. Questa moto ha una sola macchia: corre in Superbike da anni, ma non ha mai vinto un titolo.

 

2012, APRILIA RSV4

Quando, al Salone del 2011, abbiamo visto la Ducati 1199 Panigale, siamo rimasti a bocca aperta. Una delle moto più belle mai viste. La prima Ducati capace di agitare i sonni come la 916. Quasi 200 CV dichiarati all'albero, la più potente bicilindrica della storia. Eravamo convinti che avrebbe sbancato sia in Superbike sia nelle comparative, ma non è stato così. Da due anni, la sportiva stradale più efficace è l'Aprilia RSV4, prodotta dal 2009 e vincitrice di due titoli iridati con Max Biaggi, nonché delle nostre ultime due comparative. La moto era già stata concepita come una moto da corsa targata (piccola, rigida, reattiva), ma è diventata il nuovo riferimento da quando è stata dotata di un'elettronica completa ed efficace almeno quanto quella della BMW. Usa un motore a 4 cilindri, perché attualmente è quello trattato meglio dai regolamenti della Superbike. La Ducati Panigale fa fatica, anche perché è un progetto nuovissimo, che va sviluppato. Ma sembra sempre di più che la supersportiva di riferimento, quella che tutti vorrebbero guidare, sia una sportiva travestita da maxienduro, ovvero la Ducati Multistrada, che sta mettendo a cuccia pure le naked. Credo che, negli anni futuri, sarà sempre più difficile identificare una ipersportiva che spicchi sulla massa...

 

© RIPRODUZIONE RISERVATA