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Matchless Silver Hawk: l'unica 4 cilindri a V di 26°

Pochissimi gli esemplari venduti in Italia. La Matchless Silver Hawk 600 resterà comunque nella storia come l’unica quattro cilindri a V di 26°
1/14 Matchless Silver Hawk 600
Cocciuta razza di conformisti e addirittura retrogradi, questa l’accusa che veniva spesso rivolta ai Costruttori inglesi negli anni Venti-Trenta, quando erano tantissimi e si può dire costituissero un formidabile impero. Ma è anche vero che in quel periodo fiorente non sono mancate Oltremanica realizzazioni all’insegna di originalità ed esclusività, frutto di concezioni avanzate e fiducia nel potenziale dei mercati. Citiamone un esempio che vale per tutti ed è rimasto famoso, l’Ariel Square Four, che venuta al mondo nel 1930, sopravvissuta alla guerra, rimarrà in listino quasi trent’anni e verrà prodotta in 25.000 esemplari. Contemporanea come nascita dell’Ariel (ma vissuta assai meno) c’è un’altra quattro cilindri britannica altrettanto notevole per tecnica e prestazioni, la Matchless Silver Hawk (Falco d’Argento), una 600 che veniva descritta ai suoi tempi come “la miglior moto mai uscita dalla fabbrica londinese”.
Matchless Silver Hawk: notare la fprma particolare del terminale di scarico
Fabbrica che essendo stata fondata nel 1899 ed avendo presto raggiunto forte capacità produttiva, di moto ne aveva fatte tante, da 250 a 1.000 cc, fornendo inoltre motori ad altre aziende, tra cui la Brough Superior. Non solo, ma presentando la ghiotta novità sul numero 42 del 18 ottobre 1930 Motociclismo ne approfittava per dare una tiratina d’orecchi ai Costruttori italiani scrivendo che “da lungo tempo dormono sui passati allori un sonno che minaccia di diventare letargo, sarebbe quindi ora che ci regalassero qualche bella novità razionale e moderna come la quattro cilindri inglese, esempio veramente da imitare”. Chi è dunque l’innovatore (tanto più notevole perché inglese) cui si deve la lodata paternità del Falco d’Argento? E perché aveva sviluppato per il motore uno schema tecnico mai prima d’allora affrontato in campo moto e mai più ripetuto in seguito? Cioè un V stretto di 26°? Prima di rispondere a queste domande, bisogna fare una premessa indispensabile, bisogna cioè citare la Matchless Silver Arrow (Freccia d’Argento), una bicilindrica a V stretto di 18°, una 400 cc a valvole laterali descritta come “turistica di buone maniere”, capace di superare sia pur di poco i 100 km/h, grande attrazione al Salone di Londra del 1929. Progettata in società da Harry e Charlie Collier, figli del fondatore della Casa e piloti di successo negli anni eroici.
Il motore della Matchless Silver Hawk, con logo in bella mostra
La Silver Hawk è invece opera del fratello minore Bert che dimostra ancora maggior fantasia, accoppiando due motori Silver Arrow e nobilitandoli con la distribuzione monoalbero in testa ed altre caratteristiche tali da farne una sportiva in grado di toccare i 130 km/h ma sempre in scioltezza, tanto da consentire una velocità minima in quarta di 10 km/h senza strappi. Riceve l’ovazione popolare al Salone di Londra 1930. E la tanto discussa questione del “V stretto”? Se è un curioso inedito in campo moto, è invece ben noto in campo auto, dove per esempio la Lancia ne ha fatto una specie di bandiera della propria produzione di classe a quattro, sei e otto cilindri, cominciando dalla Trikappa del 1922 per finire alla Fulvia di quarant’anni dopo passando attraverso storici esempi (ne citiamo solo alcuni) come Lambda (1926), Astura (1934), Aprilia (1937), Ardea (1940), Aurelia (1950) e Flaminia (1957) con l’angolazione dei cilindri variabile secondo i modelli da 13° a 60°.
In poche parole una sportiva di lusso veloce e confortevole, ma docile e tecnicamente avanzata ed esclusiva.
Cosa si proponeva Bert adottando questo schema? Prima di tutto compattare il motore, fare un quattro cilindri con l’ingombro di un bicilindrico e senso di rotazione longitudinale per consentire la trasmissione classica a catena sia primaria come secondaria. La “cardanica” allora non era ben accetta nel Regno Unito... Scopo ottenuto anche con due belle fusioni monoblocco di teste e cilindri generosamente alettate che però, essendo completamente in ghisa e parzialmente “in ombra”, daranno qualche problema di raffreddamento “tirando” un po’, con l’aggravante di un forte consumo d’olio (rimediato in secondo tempo lavorando sui segmenti). Altro suggestivo aspetto tecnico, la distribuzione monoalbero a coppie coniche con relativa immagine corsaiola (che la Matchless aveva adottato fin dal 1923 su una 350 monocilindrica), anche qui tuttavia con il rovescio della medaglia, la difficoltà di mantenere il corretto accoppiamento tra le varie parti, con relativa rumorosità. Per completare il quadro del propulsore nei suoi elementi fondamentali, ecco infine l’albero motore composito, ben supportato anche al centro, con due manovelle a 180° per le quattro bielle di particolare lunghezza data la corsa di 73 mm contro un alesaggio di soli 50,8 mm, dimensioni preferite da Bert per offrire “la più dolce erogazione” (anche se il funzionamento è piuttosto galoppante, come spiega Motociclismo, perché le esplosioni non si succedono ad intervalli regolari, infatti la miglior soluzione anche per l’equilibratura sarebbe rappresentata dal quattro a V di 90°).
L’insolita posizione del serbatoio olio con relativo filtro, che citando una pubblicazione della Casa “non può essere danneggiato da alcun incidente mentre riceve il miglior raffreddamento”
Da sottolineare che anche nella ciclistica la Silver Arrow e la Silver Hawk sono all’avanguardia perché sfoggiano un robusto triangolo oscillante con molle e ammortizzatori (a frizione) sotto la sella, registrabili anche in marcia, come quelli sulla forcella. Così almeno prometteva la fabbrica. Ricca la dotazione di bordo, frenata integrale e curatissima la finitura. Una rara completezza per quei tempi, quindi un mezzo di alta classe anche se, pur entusiasmante in zona teste-cilindri lato destro, la linea non è certo nitida e quel serbatoio olio davanti al carter... Gli storici inglesi sostengono che la Silver Hawk (e in subordine la sorella minore Silver Arrow) sono nate nel momento più sbagliato, durante la depressione mondiale che durerà buona parte degli anni Trenta (poi verrà la Seconda guerra mondiale). I mercati dimostravano quindi scarsa ricettività per moto di questo tipo, inevitabilmente care nonostante la Matchless tenesse i prezzi di vendita al limite della perdita. La Silver Arrow sparirà dal listino nel 1933 (quando costava in Italia come la Zündapp Kardan 500), la Silver Hawk terrà botta ancora un paio d’anni ma poi se ne andrà anche lei, dopo una produzione in cinque anni di appena 550 pezzi (all’incirca). Costava, in patria, come l’Ariel quattro cilindri, anche lei di 600 cc (75 sterline) mentre in Italia il confronto era tutto a suo vantaggio (8.600 lire contro le 9.800 della Zündapp Kardan 800 e le 10.000 lire dell’Ariel Square Four 600, altre quattro cilindri non c’erano). Eppure, le stime più attendibili ne danno una vendita di appena una decina di esemplari tramite rappresentanti per l’Italia che cambiano spesso, segno che le cose non vanno bene e men che meno bene per la Silver Hawk che dopo una sola pagina iniziale su Motociclismo di gennaio 1932 non viene più pubblicizzata, a preferenza di altri modelli della Casa, assai meno avanzati ma più economici. Un trattamento immeritato...
Il ricco quadro di bordo comprendente anche una spia dell’impianto di lubrificazione. Nel gruppo figurano pure clacson e frenasterzo
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