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Maledette trasferte in moto: perché fare sempre così tardi?

Partire con l'idea di arrivare per cena, senza riuscirci mai: è il mondo delle trasferte di Mario Ciaccia. Perché ci sono persone che riescono a rispettare i piani di viaggio ed altre che vedono i tempi dilatarsi all'infinito, spesso non per colpa loro?

Maledette trasferte in moto: perché fare sempre così tardi?

Anni fa, mio fratello trovò una Cagiva 350 T4 R usata e andò a comprarla. All'epoca viveva a Milano e il venditore era di Milano. Si misero d'accordo sul prezzo. Quando mio fratello andò a prendere la moto, erano le 18 e il sole era già tramontato. Il tipo era stupito: "Come mai vieni a quest'ora? Come fai a portare via la moto?". Mio fratello non capiva. Allora l'altro parlò più chiaro: "Adesso è buio, non è il caso che tu guidi la moto a quest'ora". Non stavano parlando di attraversare la foresta amazzonica alle tre di notte, ma di andare da una via di Milano ad un'altra.

Altro esempio: il figlio di un amico è talmente convinto che non si debba guidare la moto dopo il tramonto che, l'unica volta che s'è trovato costretto a farlo, s'è scontrato con un'auto. Sicché, adesso ha pure le prove che se guidi di notte muori.

Mi viene in mente anche un tizio che mi rispose stizzito mentre dicevo che amavo guidare di notte. Mi disse che lui una volta era entrato dentro una galleria buia e lo sbalzo rispetto alla luce di fuori lo rese cieco per qualche secondo, facendolo cadere. "Quindi, andare di notte è da idioti", concluse.

Conosco tantissimi  motociclisti che si rifiutano di guidare col buio. Hanno il terrore della notte. Quando mancano due ore al tramonto, vanno in paranoia e dicono la frase-icona "Sbrighiamoci, che fa buio!", come se al calare del sole arrivassero delle manone che li rapissero. Hanno pianificato la loro esistenza a due ruote in modo da andare dove vogliono, senza mai dover accendere i fari (ma no, che scemo, sulle moto moderne sono accesi di default). Si svegliano presto, fanno poche soste, arrivano alla meta in tempo per fare la doccia, rilassarsi, bere un aperitivo e poi fare una bella cena. Per me, questa cosa è fantascienza. Ho perso il bandolo della matassa anni fa.

 

I RICORDI MIGLIORI...

Io li guardo e mi sembrano dei marziani. A me questa cosa non riesce. Anzi, ultimamente sembra che una trasferta non si possa definire tale se non finisco la tappa almeno alle due o alle tre di notte, se non alle sei. Si è creato un sistema tale per cui c'è chi mi sfugge come la peste e chi, invece, ama questo modo di andare in giro. Quest'ultima è un'affermazione forte: dire che lo ama è esagerato. Ma, effettivamente, il viaggio con gli imprevisti spesso viene ricordato meglio di uno dove non succede nulla. Tipo quando si torna dal Fintentreffen 2013, con partenza da Arsoli in Lazio e bisogna quagliare, perché sono 700 km da fare con le piccole monocilindriche. E siamo bravi, ci impegnamo, facciamo soste mirate, alle 19 siamo a Faenza e ci illudiamo di arrivare a Milano per "poco dopo" cena. Invece ci arriviamo alle tre del mattino, perché l'unica bicilindrica del gruppo ha fottuto il regolatore di tensione e il suo pilota scopre che il regolatore di scorta è rimasto a casa. E si rimedia perché in giro ci sono persone meravigliose che ci aiutano, come Francesco Catanese che ci viene a prendere col carrello da Bologna, o GP Mucci che alle 22 di una domenica sera apre il suo capannone e chiama un suo amico elettrauto, Paolo Govoni, che ci monta al volo il regolatore di una Yamaha R1. Questo episodio sfortunato è diventato uno dei più bei ricordi di viaggio. Quindi, bisogna sperare che il regolatore ci lasci a piedi in tutti i viaggi? No, per carità, assolutamente no! Allora, sarebbe stato meglio che non si fosse rotto, a quel Fintentreffen? No, perché quella gita da GP Mucci è stata interessantissima sotto svariati punti di vista, dalla conferma che esiste veramente la solidarietà tra motociclisti, alla curiosità di vedere il laboratorio di uno dei più noti preparatori di grosse enduro, al semplice vivere una situazione come questa. Insomma, è un bel paradosso. Un presente di disagio serve per avere un passato da rimpiangere, è assurdo ma è così (qui la gallery con le foto dei viaggi più... interessanti).

 

PRENDERE LE DISTANZE

Prendiamo Simone Monticelli. Si tratta di una persona umile, simpatica, sempre di buonumore, che fa viaggi bellissimi ed è pure un ottimo fotografo. Sulla carta, sarebbe il compagno di gita ideale. Ma lui ha uno speciale sensore che gli ha fatto capire che, con me, gli orari andranno sempre a scatafascio, per cui giriamo insieme solo in occasione di eventi "ufficiali", ma le trasferte le facciamo rigorosamente ciascuno per i fatti propri. Lui arriva prima di cena e si sistema in albergo, io arrivo a notte fonda e pianto la tenda dove capita. Lui fa i trasferimenti nella maniera più razionale possibile – autostrada o furgone – io, se posso, ci infilo qualche passo montano. Non è un caso se lui è diventato un tour operator, attività dove è importante essere affidabili, precisi, professionali, non sgarrare sugli orari, trasmettere serenità e sicurezza, sapere sempre dove andare e cosa fare.

 

125? NO, DAI...

Questa primavera si sta rivelando una cosa demenziale, dal punto di vista delle trasferte. La Tendata di Motociclismo All Travellers: possiamo cominciare con lei. Si trova su un passo posto 600 km a sud da casa mia. Ci vado in moto, insieme a Paola Verani, un'esile fanciulla alla quale devo assolutamente risparmiare le fatiche e lo stress di un trasferimento che si protrae oltre la mezzanotte. Ma Paola inizia a sognare: "Voglio farmi dare una Suzuki Van Van 125". Lei adora questa moto e io troverei molto romantico attraversare l'Italia per statali a 70-80 orari, ma non possiamo permettercelo. "Paola, siamo gli organizzatori. Dobbiamo essere sul passo almeno il venerdì sera; e lasciarlo dopo che l'ultimo se n'è andato, fino all'ora di pranzo della domenica. Purtroppo, il viaggio ce lo dobbiamo fare in autostrada, per cui non chiedere una 125". Chiede una Beta Alp 200, altra moto che ama. "Va bene, dai, se partiamo venerdì mattina alle 9 e teniamo una media di 70 orari, soste comprese, siamo sul passo prima delle 19". Invece succede di tutto. Un'amica, che si fa chiamare Fata Ignurant o Peppina, mi chiede se le do un passaggio per la Tendata, ma può liberarsi solo dopo mezzogiorno. A noi capitano cose da fare non previste in redazione. Quando, finalmente, siamo a casa, pronti per partire, scopro che gli attrezzi sono rimasti in redazione, quindi devo tornarci, mentre Paola resta senza benzina, perché la moto le è stata consegnata in riserva spinta e noi non ce ne siamo accorti. Morale, si parte alle 16. Sette ore più tardi del previsto. Sarà durissima evitare all'esile fanciulla le fatiche di un arrivo "lungo".

 

MANDA LE FOTO, CHE CI VUOLE?

Paola Verani è la "mente" di Motociclismo All Travellers, il nostro sito che parla di viaggi in moto. Oltre al sito, c'è una pagina Facebook che manteniamo viva caricando continuamente foto di viaggi. E una delle cose che facciamo è mandare foto in diretta delle nostre trasferte, raccontando in due righe cosa succede. La trovo una cosa molto carina e divertente (anche molti lettori fanno così, su quella pagina), ma nessuno si immagina quanto tempo ci voglia per questa cosa. Prima scatto una foto con la fotocamera, poi la "trasmetto" allo smartphone, quindi la carico su Facebook con un commentino. Per tre di queste quattro operazioni va via un po' di tempo, a causa della lentezza con cui gli smartphone gestiscono i dati e per via della poca praticità a scrivere con 'ste schifezze di tastiere touchscreen. Mentre stai lì a spippolare sul telefono, osservando la clessidrina girare all'infinito, i compagni di viaggio ti insultano e maledicono questi tempi superficiali in cui la gente passa più tempo su Facebook che a mangiare la pizza con gli amici. C'è di buono che, almeno, in questa occasione Paola Verani ha capito perché non la inondo di tutte le foto che vorrebbe, durante le mie trasferte: questa volta, s'è scocciata pure lei! Peppina si limitava a sbottare e a guardarmi come un deficiente.

Risultato, arriviamo sul passo della tendata alle due di notte. Paola regge bene la fatica delle dieci ore di viaggio e non si lamenta. Peppina sì, perché la mia Africa Twin, in due, è scomoda. Io devo confessare che, in genere, amo la notte: che si tratti di tirare tardi in una serata in città o di attraversare un bosco, sono sempre stato affascinato dalle ore piccole e forse questa è una causa delle mie trasferte disastrose, perché quando la notte si fa incombente io non fuggo da lei. Mi piace la sosta all'una di notte a Spoleto, per fare benzina, senza nessuno in giro, con lo spirito da sosta da maratona e Peppina che fa ginnastica per scriccare la schiena.

Sul passo, finiremo per dormire pochissimo. Alle due di notte ci sono già tre partecipanti, che stanno chiacchierando intorno al fuoco. Montiamo le tende, ma poi ci mettiamo a chiacchierare anche noi. Alle sei sorge il sole, andiamo a nanna ma alle otto arrivano i ragazzi del Moto Club Spoleto, che ci ha dato un enorme aiuto per organizzare la Tendata. Al sabato sera dormo dalle due alle sei, quindi, quando ripartiamo per Milano, a mezzogiorno della domenica, ho solo sei ore di sonno fatto in due notti. Sarà un ritorno pieno di sbadigli ma, per lo meno, arriviamo alla meta per le 21 e siamo felici, perché il raduno è andato bene e non è stato il disastro che ci eravamo immaginati (“Verranno in pochi, ma tutti vandali e tamarri. Si lamenteranno che è un raduno di cacca. Pioverà tutto il tempo”. Ecc. ecc.).

 

EROICA + TEST GIACCHE = NON TI PASSA PIÙ

Una settimana dopo ho un altro evento che dura sia il sabato, sia la domenica e si tratta de “L'Eroica in Moto””, una cavalcata molto bella nel Chianti, in Toscana (ne parliamo su Motociclismo FUORIstrada di luglio 2014). La mia idea è partire alle 14 del venerdì, arrivare a Gaiole in Chianti entro le 19, farmi un Crodino in un bar, montare la tenda nell'accampamento predisposto dagli organizzatori e guardare il tramonto.

Ma, questa volta, Paola Verani non viene. Sta alla scrivania e svolge il suo ruolo di specialista del turismo della redazione. Sicché, dice una delle frasi che ho imparato ad odiare: "Visto che stai facendo questa trasferta – e io tremo – mettici dentro anche una comparativa giacche". Quando mi dice così, i genitali mi cascano al suolo, infrangendosi, seguiti subito dopo dalla mandibola. Perché provare giacche da moto è una purga indicibile, ma non te ne rendi conto, se non lo fai. Del resto, sono prove molto interessanti ed anche utili, per cui da una parte mi cascano le balle, dall'altra l'amore per la rivista mi fa pensare che sia una bella occasione.

Provare giacche significa che perdi una marea di tempo. Le giacche sono sei, ma arrivano alla spicciolata. Le ultime alla mattina del venerdì. Le devi studiare una ad una, perché ogni Casa vi mette soluzioni personali che spesso non saltano all'occhio. Prima di usarle, insomma, ti devi leggere le schede tecniche, i comunicati stampa e i siti internet. Poi devi staccare lo strato termico e anche quello impermeabile. I tre strati sono uniti, ma vanno separati, così puoi provare la giacca con e senza. E ci sono cerniere e bottoni nascosti da violare. Devi trovare un modo di legare sulla moto queste sei giacche ed è un problema, sia perché sono belle grosse e occupano un sacco di spazio (e tu hai già i bagagli per campeggiare), sia perché vanno messe e tolte di continuo, quindi devono essere accessibili con facilità. E il tempo passa più in fretta di quello che pensi.

 

COSA VUOI CHE SIA...

Ho bisogno di un compagno di viaggio e lo trovo nel milanese Simone Cannizzo, un viaggiatore che ha la mia stessa taglia (quindi possiamo provare le giacche insieme). Cioè, è un ciccione. Ma questo è niente. Il grosso problema di Cannizzo è che lui è peggio di me. Se Simone Monticelli sfugge la mia compagnia come la peste, al contrario io per Simone Cannizzo sono fin troppo fighetto e precisino. Lui è uno che non si fa paranoie. Gli viene voglia di fare un viaggio e lo fa, ma non vuole spendere troppi soldi e non è di quelli che dà via l'anima per fare felici gli sponsor. Sicché, ricorre a tutto ciò che trova in giro di economico, meglio se usato, o se venduto in posti tipo Lidl od Auchan, dove al basso prezzo corrisponde una qualità così così. Ha una tendina monotelo, pagata pochissimo; compra solo moto usate; usa attrezzatura scadente. Sembra uno sprovveduto ma, quando si trova a fare i conti con le magagne di un'attrezzatura così così, dice "Cosa vuoi che sia" e tira dritto. È un figo, insomma; è l'alter ego di tutti i fighetti che hanno la migliore attrezzatura ma troppi timori per sfruttarla. Lui detiene il record di distanza per un viaggio con un 50 cc: 36.000 km dalla Terra del Fuoco all'Alaska, con un Beta 50 RR (in questo caso la moto gliela ha data la Casa madre). È andato a Dakar con uno scooter e a Sidney con una Fiat Cinquecento (non quella che fanno adesso e non la "Luigi" di Cars, ma quella mestissima, squadrata, che fecero diversi anni fa). Alla Tendata c'è andato con un Rieju 50, impiegando 16 ore da Milano per 700 km (ha allungato di 100 km perché voleva passare per Fano, lo ispirava). Con lo stesso Rieju è andato all'Elefantentreffen e in questo ha messo in evidenza gli aspetti inquietanti, ma affascinanti, della sua personalità. Ad esempio, voleva partire il venerdì all'alba, invece è partito all'ora di pranzo, poi era senza cartina ed ha allungato la strada per errore, è entrato dentro una perturbazione nevosa ma aveva gomme slick da motard e zero catene. Morale, è arrivato al raduno la domenica mattina, quando la gente stava tornando a casa. Ma è arrivato. Ed ha usato due scarponcini da trekking, sicuramente poco adatti per viaggiare in moto sotto lo zero. Casualmente, facendo la doccia con lui, a Gaiole, scoprirò che gli mancano le unghie dei piedi: con quegli scarponcini ha avuto un principio di congelamento, ha perso le unghie, "ma cosa vuoi che sia". Al raduno c'è rimasto fino a lunedì pomeriggio (godendosi una Fossa di Loh deserta, con rifiuti ovunque e dei polacchi decisi a bivaccare fino alla primavera) e poi è tornato a Milano via Engadina, mentre nevicava, sempre con le gomme da strada.

Mentre tornava dalla Tendata, gli sono volati via i materassini da campeggio. Due, perché al sabato era stato raggiunto dalla fidanzata Ilaria, che aveva viaggiato come passeggera su una Guzzi V7 Classic. "Se ti volano via i materassini, non devi andare a ricomprarli, ma dire Cosa Vuoi Che Sia e farne a meno per le volte future".

 

CINQUE DI MATTINA

Appare evidente che non è possibile mettere insieme Ciaccia e Cannizzo in un viaggio. Ci vorrebbe qualcuno che imponesse un po' di disciplina. Ma Simone vorrebbe portare, con sé, Ilaria. Ilaria è una ragazza normale, quindi a mettersi con Simone non è destinata ad altro che a una vita di disagi, sofferenza e "cosa vuoi che sia". "Posso portare Ilaria?". "Sì, ma ce la fa ad essere qui per le 14?". "No, per le 18". Abbiamo già quattr'ore di jet lag, che diventano cinque quando lei arriva e stiamo ancora litigando sul come portare le giacche. Comunque, abbiamo due moto enormi, perfette per caricare bagagli: io la mia solita Africa Twin, mentre a lui abbiamo dato la portaerei della BMW, ovvero la R 1200 GS Adventure, fresca fresca di Tunisia. Partiamo alle 19 e diamo inizio alla prova delle giacche: ogni 20 km ci fermiamo per indossarne una nuova e scrivere appunti. Il tempo che si perde in queste soste è letale, non se ne ha idea. Quando arriviamo a Gaiole e, una volta montata la tenda, siamo pronti per andare a nanna, sono già le cinque della mattina e la sveglia è per le sette, perché l'evento inizia alle otto. La povera Ilaria s'è sorbita un interminabile viaggio, dove eravamo sempre fermi negli autogrill a discutere di giacche da moto. Finalmente può dormire (sia pure per due sole ore), ma si accorge che sotto di lei non c'è un morbido materassino, ma la nuda terra. "Simone, ma siamo senza materassini!". "Cosa vuoi che sia...".

 

24 ORE DELLE ALPI

Il 7 ed 8 giugno abbiamo organizzato la seconda puntata della 24 Ore delle Alpi, o Fintenalpitour (per prendere in giro la Hardalpitour). In questo caso, si fanno le ore piccole, ma intenzionalmente. L'idea è quella di partire dal mare di Ventimiglia ed arrivare a quello di Trieste attraversando l'intero arco alpino a botte di 24 ore, provando moto diverse e vedendo quali sono le più adatte per un utilizzo così stancante. Con la prima puntata, pubblicata sul numero di dicembre 2014 di Motociclismo, siamo andati dal Mar Ligure al Passo del Gran San Bernardo in Val d'Aosta e, con la seconda (pubblicata su Motociclismo di luglio, di imminente uscita), volevamo andare da questo allo Stelvio. Ma non ci siamo riusciti, perché una delle quattro moto in prova ha avuto problemi elettrici.

Per fare una 24 ore in moto è piuttosto utile dormire bene nelle notti precedenti, quindi pensavamo di partire il venerdì pomeriggio dalla redazione, cenare al volo in un autogrill e piantare le tende sul Gran San Bernardo, prima della mezzanotte. Ma, anche in questo caso, le cose sono andate male. Come compagni di viaggio avevo i tre miei migliori amici: Carlo Acquistapace, Luca Nagini e Danilka Livieri. Dovessi pensare a un viaggio in Mongolia, loro sarebbero i tre compagni ideali. Purtroppo, però, tutti e tre hanno un difetto enorme: amano le trasferte che si protraggono fino a notte fonda. Ovviamente non lo ammettono, ma è evidente che, tra tutti e quattro, abbiamo una predisposizione troppo micidiale a finire tardi perché, sotto sotto, inconsciamente, non sia voluta.

Ho pregato Paola Verani di non farmi provare giacche o simili, ma siamo riusciti a partire solo alle 21. Sull'autostrada Milano-Torino hanno chiuso il tratto tra Marcallo-Mesero e Novara Est e così ci hanno deviato in statale. La strada era intasata, come inevitabile; un'ora se n'è andata così. Quando, finalmente, siamo rientrati in autostrada, la moto più semplice della comparativa – la Yamaha SR400 – ha avuto un problema elettrico che la faceva ammutolire tra i 4 e i 5.000 giri. Tra soste ed esperimenti per ovviare al problema (tipo pulire la candela, scollegare l'immissione di aria fresca sullo scarico, scollegare la batteria nella speranza che la centralina si resettasse) è finita come al solito: alle tre del mattino eravamo ancora in autostrada, alle porte di Aosta. "Basta, basta, sono stufo" ho detto e ho proposto agli altri di fermarci seduta stante a dormire in un'area di parcheggio autostradale. Non era possibile, abbiamo fatto le tre di notte anche alla vigilia di una 24 Ore...

 

MEMORIAL DELLA SANTA

Un week end di riposo ed ecco un'altra trasferta per un evento che dura sia sabato sia domenica, il Memorial della Santa: è una due giorni di fuoristrada intorno a Lucca, sui percorsi creati da Piero della Santa, una bella persona che ci ha lasciati. E i suoi amici portano avanti questa tradizione, una volta all'anno.

Tremo all'idea che finisca ancora con io che giro alle tre della mattina. No, dai, diamo un giro di vite a questa tendenza demenziale. Facciamo i bravi, facciamo come le persone normali. Partiamo il venerdì a pranzo, arriviamo a Lucca per cena, con calma. Tormiamo a Milano per cena, la domenica. Ho anche due figli piccoli che dicono sempre "Ma papà quando torna?". Invece, la mamma di questi due pargoletti, che è la solita Paola Verani, mi dice: “Visto che stai facendo questa trasferta – e io tremo, e voi capite perché – mettici dentro anche una comparativa giacche”.”Stai scherzando? Mi prendi per i fondelli?”. "Dai, questa volta sono solo due". Ovviamente non esiste che io dica di no.

Il venerdì sono carico come una molla, questa volta non tarderò. Il primo problema è che al Della Santa ci vado con Luca Nagini e Danilka Livieri, ovvero due dei tre coi quali è inevitabile tirare tardi. E infatti loro propongono di dormire non a Lucca, ma in tenda sul Passo della Croce Arcana, a quasi 1.700 m di altezza. “Dai, Mario! Ci alziamo alle sette, alle otto sgommiamo via e per le nove siamo a Lucca, pronti per la partenza della gita”. Accetto, ovviamente. Al Della Santa ci va anche Simone Monticelli, ma lui va in furgone e dorme in albergo: come al solito, con lui gireremo solo all'interno del rigido perimetro dell'evento ufficiale.

Io vorrei partire per pranzo, ma Luca Nagini può arrivare a Milano solo per le 15,30 (arriva da Domodossola). Quando arriva, gli viene un attacco di depressione: non ho fatto i conti che devo scrivere l'articolo sulla Fintenalpitour entro sera. Finisce che partiamo alle 20, in un'atmosfera surreale perché l'Italia ha appena perso contro il Costarica. Lucia Gambelli, moglie di Simone Monticelli, mi scrive un sms: "Siete a Lucca? Cenate con noi?". Magari...

Io ho l'Africa Twin, Luca la sua KTM 450 da enduro racing, in teoria da carrello, che però usa come una dual sport. Danilka Livieri invece parte da Pesaro e ci aspetterà in cima alla Croce Arcana. Alle 21 abbiamo fatto 75 km e ci fermiamo per cena. Alle 22, la mia Africa Twin non parte. Non va. La batteria (che ha solo tre mesi di vita) sembra morta e la moto non parte neanche a spinta. Compro i cavi, con quelli parte. Ma non posso fare un servizio fotografico, con mille soste e una moto che parte solo smontando selle e fiancate. Sicché, alle 23 prendiamo una decisione tristissima: tornare a Milano, cambiare l'Africa Twin con la mia seconda moto (Suzuki DR-Z400) e ripartire per Lucca. Significa allungare di 150 km un trasferimento di 300 km, da sucidiarsi. Avete idea di quanto sia triste ritrovarsi a mezzanotte ancora in redazione? Sfiduciato, il povero Danilka va a piantare la tenda in riva al fiume Serchio. “Ma per ore ero convinto che steste scherzando, quando mi avete detto che stavate tornando a Milano”.

 

MORALE...

A Lucca arriviamo alle sei della mattina: la peggiore delle trasferte. Siamo passati dalla situazione in cui speri di arrivare prima del tramonto – e vedi il buio come una sconfitta – a quella in cui speri di arrivare prima dell'alba. Eppure, quando l'alba arriva, hai un attacco di euforia.

A Lucca ci va di fortuna che la sede della partenza è sì nella zona industriale della città, ma di fronte a un bosco dentro il quale ci tuffiamo, per cui riusciamo a dormire tre ore senza che nessuno ci disturbi. Il giro va benissimo: la gente è simpatica, nessuno fa lo sborone, i paesaggi sono belli e i percorsi divertenti.

La domenica, il programma prevede che si faccia fuoristrada fino al Monte Serra, che lì si mangi tutti insieme e poi ciao a tutti. Ma ricordiamo bene come, nel 2013, restare lì per pranzo e poi tornare attraversando la Croce Arcana ci fece tornare alle tre di notte, complice una foratura di Acquistapace. Questa volta, vorremmo tornare facendo il Trittico, ovvero concatenando tre sterrate di montagna in zona Garfagnana ed Abetone: la Foce a Lago (1.110 m), la Foce a Giovo (1.674 m) e la Croce Arcana (1.652 m), per cui decidiamo di fare i Bravi Ragazzi: saltiamo il pranzo e andiamo direttamente al Trittico; mangeremo solo quando saremo nell'Orrido di Botri.

Ma il gruppo è lento. Alle 13,30 non siamo sul Monte Serra, ma ancora a Cenaia, per cui decidiamo di sganciarci. Ci dispiace, la compagnia è bella, ma vogliamo fare il Trittico ed essere a casa per cena. E qui caschiamo, come sempre, nell'incapacità di renderci conto che noi, a fare i passi, siamo lentissimi. Ogni volta mi domando come sia possibile impiegare così tanto tempo. Uno dei motivi è che i passi sono belli, quindi è un peccato farli di corsa, ma è comunque incredibile quanto si sia lenti anche quando si dice "Facciamo poche soste e solo per le foto, ok?".

 

ANALISI DI UN JET LAG

Si inizia col fermarci a Cenaia per una di quelle soste significative, della serie "fin qui era la Gita, adesso tocca al Ritorno". Si fa benzina, si mette olio, si sistemano i bagagli, si fa pipì, si mangia e si beve qualcosa usando le scorte di Danilka (ne è sempre pieno). Un'ora se ne va via così.

Alle 14.30 partiamo da Cenaia e in un'ora e mezza copriamo i 75 km che ci separano da San Cassiano, il paesino da cui si stacca lo sterrato della Foce a Lago. A San Cassiano facciamo una sosta per comprare il permesso di transito (5 euro) e mangiare un gelato: ma va via solo un quarto d'ora.

La strada della Foce a Lago, misurandola dall'inizio della salita a San Cassiano fino al termine della discesa sull'altro versante, ovvero fino all'Orrido di Botri, misura appena 19 km, ma sembrano molti di più perché si tratta di una delle strade più spettacolari degli Appennini, con tratti ripidi ed esposti, chiesette isolate, un bosco meraviglioso ideale per Tendate All Travellers e un tratto finale con la strada di terra rossa in mezzo a pascoli verdissimi. Ci mettiamo un'ora e venti a farlo tutto, con tante soste per fotografare e per commentare il paesaggio.

 

ULISSE E LE SIRENE

Alle 17.30 siamo all'Orrido di Botri e qui caschiamo nella sindrome di Ulisse con le Sirene: in questo piccolo buco tra le montagne c'è un ristorantino gestito dalla Marcellina, una donna bellissima e simpatica, mitizzata presso gli enduristi di mezza Italia. Quando si passa di qui è un delitto non fermarsi a mangiare il suo merendino a base di gnocco fritto, stracchino e prosciutto crudo. Piero Della Santa passava spesso da lei durante i suoi giri, perciò, in occasione del primo Memorial a lui dedicato, siamo venuti qui a campeggiare e, durante la cena, Marcellina s'è commossa ed ha offerto la cena a tutti. A 30 persone, cioè!

Allora, si fanno i conti: "Sono le 17.30. Si mangia il merendino in mezz'ora. Alle 18 ripartiamo e scaliamo la Foce a Giovo in mezz'ora (15 km di salita). Un'altra ora per arrivare alla Croce Arcana (40 km, passando per l'Abetone) e un'ora e mezza per scendere fino a Modena (70 km dal passo). Insomma, per le 21 saremo a Modena e per le 23 io sarò a Milano, per le 23 Danilka sarà a Pesaro e per l'una di notte il Nagio sarà a Domodossola. Ci sta, no?" No. Tra una chiacchiera e l'altra, in questo freschissimo Orrido di Botri ci stiamo la bellezza di quasi due ore. Alle 20 siamo in vetta alla Foce a Giovo, alle 21.40 sulla Croce Arcana. Tramonta il sole. Sosta per coprirci, 20 minuti. Sosta benzina, mezz'ora. Mezz'ora passata a discutere se separarci o no: Nagini sostiene che, viaggiando da soli, saremmo molto più veloci, in più lui si sente di viaggiare a 120 km/h fissi con la sua KTM 450 dai rapporti allungati, mentre io non vorrei superare i 100. Solo per decidere (insieme fino a Modena, poi ognun per sé) va via mezz'ora... Finisce che a Modena ci arriviamo a mezzanotte, condannandoci all'ennesimo rientro a notte fonda. Tre del mattino per me, tre e mezza per Danilka (ma alle cinque e mezza deve andare a lavorare), quattro e mezza per Nagio (con sveglia alle otto). Forse il Trittico era troppo... Solo che poi, smaltito il sonno, siano contenti di averlo fatto!

 

MA NOI NON SIAMO NIENTE...

Noi siamo dei dilettanti se paragonati ad Alessio "il Mostruoso" Corradini, il vero professionista dei ritardi cronici. Nemmeno noi riusciamo a capire questo essere bizzarro, che è un fotografo specializzato nei rally soprattutto balcanici, dove gli organizzatori riescono a tollerarlo in virtù della loro natura levantina. Io posso dire che i miei ritardi sono dovuti soprattutto al fatto che è bello andare in giro in moto con gli amici, per cui alla fine la vita è una sola, chiacchierare è bello, è inevitabile fare tutte queste soste dove godersi l'amicizia. Ma lui va ben oltre. Il Mostruoso viaggia da solo, quindi non chiacchiera, perde tempo per motivi misteriosi, oppure perché spacca la moto e trova modo di ripararla in maniera plateale. Il classico è lui che cambia una gomma davanti alla gente che scende da un traghetto. Un altro classico, però, è lui che perde il traghetto. Vive tra Roma e Fermo. Per andare in Africa, si deve imbarcare a Napoli, ma arriva tardi. Per fortuna, il traghetto fa scalo a Palermo, per cui lui apre il gas e se ne va a Palermo, questa volta in orario: è storia vera.

 

La prima volta che ho visto il Mostruoso fare il Mostruoso è stato in occasione della Motonightmare del 2008, un giro fuoristrada che si svolgeva a Rapallo un sabato di dicembre, con partenza alle 7 della mattina. E già, in quell'occasione, io e Carlo Acquistapace facemmo la figura dei pirla: cercammo di convincere un gruppetto di altri milanesi, tra cui Simone Monticelli, ad andare a Rapallo per passi montani, per l'esattezza il Penice e la Forcella. Loro replicavano: ci si mette troppo tempo, sabato la sveglia è alle sei, facciamo l'autostrada. Ci separammo. Loro partirono alle 17, fecero l'autostrada e, alle 20, erano a cena a Rapallo. Io e Carlo partimmo alle 21, facemmo i passi e arrivammo a Rapallo alle tre della mattina, appena tre ore prima della sveglia. Ci domandavamo: ma come abbiamo fatto a metterci sei ore? E gli altri: perché siete dei pirla. Giusto. Ma Corradini dov'era?

 

Alessio era partito alle due di notte da Roma. Lui disse perché aveva da lavorare, ma il dubbio che l'abbia fatto apposta c'è. Perché è pazzo. Disse che, col suo KTM 950, a 180 orari fissi sarebbe arrivato prima delle sei della mattina, invece arrivò alle 15, quando la gita era verso la fine. Disse che aveva finito la benzina. Disse che a Firenze s'era sbagliato e, invece di andare verso Genova, era finito a Bologna. Arrivò alle 15 al ristorante di Varese Ligure dove stavamo pranzando e, anziché mangiare, si mise a cambiare le gomme. Montava gomme stradali e aveva gomme tassellate legate sul portapacchi. Noi lo guardavamo increduli e poi ci guardavamo tra noi: "Ma è pazzo?". In seguito, cose così sono diventate la norma. Alla Nightmare successiva disse che sarebbe partito alle 15 del venerdì, ma poi scoprì di avere i cuscinetti del mozzo anteriore da cambiare, poi pioveva e lui non usa l'antipioggia (ve l'ho detto, è pazzo) per cui attese che spiovesse e partì alle 15 del sabato (meno male che l'evento, quell'anno, era spalmato sull'intero weekend). Alla Hardalpitour del 2010, che dura 24 ore di fila, annunciò che sarebbe arrivato alle 20 del venerdì, in modo da cenare e dormire come si deve prima della partenza, ma arrivò alle sei di mattina e la sveglia era alle sette... e la Hardlpitour non riuscì a finirla.

 

Ma il suo capolavoro assoluto risale alla Cavalcata dei Bisonti della primavera 2013. La cavalcata si svolgeva a Siracusa, che distava 1.000 km da casa sua a Fermo. Venimmo invitati entrambi. Io mi organizzai in maniera borghese, squallida e anonima: andai giù in aereo e l'organizzatore mi diede una Transalp. Il Mostruoso annunciò che sarebbe sceso direttamente in moto, duemila km tra andata e ritorno. Mi disse che sarebbe partito la mattina di due giorni prima, che avrebbe dormito in giro, che sarebbe arrivato a Siracusa con calma, nel pomeriggio del giorno precedente la cavalcata. Io gli risposi che non gli credevo. Ridevo, mi immaginavo che sarebbe partito molto più tardi. Ma non avrei mai immaginato che sarebbe partito alle 21 del sabato, quando la cavalcata si sarebbe svolta alle 9 della domenica. Viaggiando tutta la notte, arrivò alle 11 di mattina. Gli organizzatori, che ci tenevano tantissimo ad averlo con loro, ritardarono la partenza di un'ora, poi rinunciarono alla sua compagnia. Alessio arrivò e non trovò nessuno, ma si fece dire per telefono come raggiungerci. La cavalcata era anomala, nel senso che non si andava per conto proprio seguendo le frecce, ma si stava tutti in gruppo, poche decine di moto in tutto. Quando uno del gruppo forò, saltò fuori che nessuno aveva camere d'aria e pompa, così io dissi: "Sicuramente Corradini le ha!". Così lo aspettammo. Lui piombò da mille chilometri più a nord, cambiò la gomma al tipo, quindi cambiò le proprie ruote (questa volta viaggiava con cerchi e gomme già pronti), nascose le ruote stradali e un computer in un cespuglio (!!!), prese il punto Gps e si aggregò per gli ultimi km della cavalcata; quindi, anziché fermarsi a dormire a Siracusa, riprese subito la via di casa. Gli organizzatori siciliani avevano la bocca spalancata dalla meraviglia, ma devo dire che anche io ero sconvolto: si fece 2.000 km in 48 ore di fila per fare 30 km di cavalcata... Mi ha confessato che ha una specie di perversione: quando arriva l'ora per la partenza, quella giusta, gli viene l'inerzia, ha sonno, si mette a sonnecchiare, non vuole partire. La voglia gli scatta quando, ormai, è troppo tardi e farcela è un'impresa disperata, impossibile. Allora parte, conscio che arriverà ad evento ormai finito, ma va lo stesso.

Pazzesco, vero? Io penso a lui, quando i miei trasferimenti che dovrebbero finire prima di cena scivolano verso il cono d'ombra delle tre della mattina...

Mentre finisco di scrivere queste righe, gli organizzatori della Cow (una cavalcata che dura due giorni, il 27/28 giugno, dalle valli piacentine al mare) mi domandano se sarò da loro per cena. E io cosa gli rispondo?

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