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Il Continental Circus: ufficiali e gentiluomini

Una tribù che animava l’Europa da marzo a ottobre, una lunga carovana di piloti da tutto il mondo che si muoveva più per passione per le corse che per i soldi effettivamente in palio. Il pilota della grande Casa contro il privatissimo che doveva fare tutto da sé

Il continental circus: ufficiali e gentiluomini

Il Continental Circus si può frettolosamente condensare come un concentrato di piloti ufficiali e privatissimi che giravano l’Europa per partecipare alle gare del Motomondiale tra gli anni 50 e 60. Ma era molto di più, perché questa carovana assomigliava alla grande famiglia del circo con -passateci la retoricissima, ma molto reale, definizione - le sue belve che erano le motociclette e con i suoi domatori che erano i piloti. In realtà era un piccolo mondo aggregato sino al midollo intorno alla passione per le competizioni, un sentimento che non ha eguali oggi nel Motomondiale. Era una tribù che si dava da fare, e qui siamo sullo stesso piano della MotoGP, per far quadrare i conti e sbarcare il lunario. Nessuno si arricchiva, almeno tra questi peones delle due ruote con le tute solo nere e i caschi a scodella, ma qualcuno emergeva e saliva al soglio delle case ufficiali. Le gare titolate non erano più di dieci all’anno, e in qualche stagione anche meno, ma esistevano gli eventi internazionali, le gare cittadine, competizioni che avvenivano quasi tutte le domeniche e permettevano ai piloti di questo circo di ammortizzare i costi e di guadagnare a sufficienza per vivere questa passione. Lo vedete bene nelle bellissime immagini rigorosamente in bianco e nero che arrivano dal nostro archivio e popolano una straordinaria gallery.

 

QUELLI CHE CE L’HANNO FATTA

Ma vi invitiamo anche a leggere il servizio “Soldati di ventura” a firma Mario Luppi pubblicato su Motociclismo d’Epoca 3-2000, e quello dello stesso autore, ma su Motociclismo di dicembre 2002, dove Mario Lega, campione del mondo della classe 250 nel 1977 su una Morbidelli, racconta di quell’epoca che non ritornerà più. Narra di come “… il Continental Circus era bello, unico e inimitabile non solo per il folklore ma soprattutto per la solidarietà e l’amicizia che si instauravano tra i piloti. Ci si aiutava, ci si conosceva, ci si consigliava…” E racconta di chi da privato era cresciuto di grado, di Phil Read: “Arrivava in circuito in Rolls Royce e pelliccia in pelle di lupo indosso. Era incredibile: mi raccontò che in pochi mesi fece il salto di qualità. Prima guidava il furgone assieme al suo meccanico, poi all’improvviso arrivarono la fama e i soldi. Era la dimostrazione che il sogno per tutti noi era meno impossibile di quello che si poteva credere anche se non eravamo certo lì per diventare milionari, ma per divertirci”.

 

IL FILM PIÙ BELLO E VERO

A questa epopea fatta di romantici piloti che arrivavano da tutte le parti del mondo, di mogli che contemporaneamente erano meccanici-segnalatori-cuoche e magari compagne di avventura nella velocità quando facevano le passeggere dei sidecar, di soldi che non bastavano mai è stato dedicato nel 1972 anche un film-documentario francese (lo trovate facilmente su you tube, ad esempio qui). Si intitola “Continental Circus” ed il regista Jerome Laperrousaz narra la stagione 1969: il protagonista è l’australiano Jack Findlay, il “privato più veloce del mondo”, tra gli “attori” Nanou, la sua fidanzata che si ingegna a far tutto e comprimario di lusso Giacomo Agostini. Il filmato ha anche momenti drammatici fatti di cadute e di morti, e mette in rilievo crudamente la vita dura e difficile dei privati, raccontando le loro emozioni, drammi e vittorie. La pellicola è un vero omaggio a tutti quelli che con grandissima fatica e tantissima passione corrono in moto. Il documentario ha una durata di un’ora e quarantatre minuti, ma non esiste versione italiana.

 

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