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Il cibo si fa strada: con la moto è il massimo

Sulle nostre strade è facile imbattersi in cartelli che spesso segnalano itinerari con contenuti gastronomici: la strada dei vini, la strada dell’olio, la strada della mela ecc. È l’ultima moda della promozione del territorio, ma dove ci porta?

Il cibo si fa strada: con la moto è il massimo

Se è vero che tutte le strade portano a Roma, oggi è anche vero che alcune di queste conducono al ristorante “Er Patata” o a qualche bel chiosco di porchetta… Scherzi a parte, dilaga il turismo eno-gastronomico (qualche esempio nella nostra gallery) e uno degli effetti più evidenti di questa moda sono le strade intitolate ai prodotti tipici: la via del Culatello, la via del Recioto, la via del Morlacco, del Moraiolo, della Renetta, ecc. Dobbiamo forse aspettarci che, in un futuro prossimo, nelle nostre piazze - al posto di monumenti celebrativi di qualche nostro eroe – verranno posizionati carciofi alati e caciotte coronate? La verità è che l’offerta turistica si è talmente sofisticata da dover trovare nuovi sbocchi e l’enogastronomia è uno di questi. “I turisti professionisti - scrive Paolo Paci, giornalista, scrittore e globetrotter, che abbiamo intervistato in merito al suo libro “Cuochi, artisti, visionari”, (Feltrinelli) - hanno già praticato torrentismo estremo a Reunion, nuotato coi capodogli nelle acque della Baja California, festeggiato l’anno nuovo con le otarie della Terra del Fuoco… (ora) bramano scoprire il segreto del Grande Pizzocchero, sondare gli abissi del Tiramisù, entrare la labirintica Pasta con le Sarde, affiliarsi alla mistica della Lasagna”.

 

LE VIE DEL GUSTO

Non si può parlare di nuova toponomastica perché queste strade non rimandano a luoghi precisi. A dirla tutta, non si tratta nemmeno di vere e proprie strade, nel senso caro a noi motociclisti: ovvero luogo fisico, via di transito che mette in comunicazione paesi e città, e, soprattutto, luogo vissuto, esperito, macinato. “A parte qualche eccezione - sostiene ancora Paci - non si tratta di itinerari che si possano seguire con una logica geografica. Piuttosto, sono un coacervo di realtà aziendali che si consorziano per dare un valore aggiunto ai propri prodotti, più o meno di qualità…” È vero: queste vie nascono per lo più dall’iniziativa di produttori, aziende agricole, enti locali, operatori economici, ecc. che si associano, formano un comitato promotore, quindi chiedono alla Regione di poter istituire la via del sapore che desiderano. Questo almeno, prevede la legge che le riconosce. Sembrerebbe limitarsi ad un “affair” commerciale, se non fosse che la stessa legge richiede al Comitato di definire le regole della strada, ovvero gli standard di qualità e le modalità di promozione della stessa (rete segnaletica, punti d’informazione locali, ecc.). Inoltre, stabilisce che uno dei fini primari della via debba essere la valorizzazione del territorio e delle sue emergenze storiche e artistiche. Insomma, la tavola dovrebbe essere solo una chiave d’accesso al genius loci. Ma fra il dire e il fare, si sa, c’è di mezzo il mare, per cui non possiamo essere sicuri che seguendo un cartello “goloso” riusciremo a vedere qualcosa di più delle nostre gambe sotto un tavolo... Possiamo invece essere quasi sicuri che le vie del gusto corrispondano a delle belle strade, poiché, com’è intuibile, si snodano in contesti ambientali assolutamente ameni: si tratti di campagna, mezza costa o alta montagna, là dove ci sono viti, ulivi o grano o pascoli, è molto probabile che ci siano paesaggi degni di un buon giro in moto. Le strade “vere” di solito si riconoscono per il fatto che sono indicate da segnaletica dedicata. Ma è indubbio che il percorso migliore è sempre quello che ci costruiamo addosso, a nostra immagine e somiglianza: Ma è indubbio che il percorso migliore è sempre quello che ci costruiamo addosso, a nostra immagine e somiglianza: “Sta al viaggiatore - scrive ancora Paci - trovare, all’interno di queste proposte, un fil rouge da seguire, collegando magari solo qualche cantina o qualche caseificio e arricchendo comunque l’itinerario di altre visite e suggestioni”. Sta al viaggiatore far sì che questo ritorno alla ruralità sia accompagnato da una nuova sensibilità ambientale.

 

NUOVA RUBRICA

Motociclismo dal numero di agosto inaugura una nuova serie di articoli legati al cibo di strada, ovvero quello che si può consumare rimanendo comodamente seduti in sella alla nostra moto o poco distanti: cominciamo con la piadina, approfittando del lancio di “Street food”, la mappa alle piadinerie, realizzata dal comune di Rimini in collaborazione con Ducati; proseguiamo, sul numero di settembre, con il prosciutto che ha ispirato una serie di “merenderie” fra Saint-Marcel e Finis (AO) e con la mitica focaccia di Recco, sul numero di ottobre.

 

NON SOLO CIBO

Ogni regione può avere un numero infinito di strade. Se avete la pazienza di visitare le APT o le Pro loco d’Italia, potrete fare incetta di mappe e opuscoli che le promuovono. Anche per dei cultori della strada come sono i motociclisti c’è il rischio di perdersi. Oltretutto non c’è solo l’enogastronomia. Associazioni e Enti pubblici si stanno muovendo per promuovere il territorio attraverso “l’ars viaria”. L’assessorato al Turismo di Bari, per esempio, ha dato alle stampe un opuscolo sulla Via Francigena, il noto sentiero che veicolava i pellegrini in viaggio da Canterbury a Roma, e che evidentemente aveva anche dei prolungamenti nel Sud Italia, ai quali ricorrevano i fedeli in partenza per la Terrasanta. Purtroppo, molti tratti italiani dell’antico percorso oggi coincidono con grandi assi di traffico, per cui hanno perduto in parte il loro fascino;

in ogni caso il tratto pugliese, (da Canosa a Monopoli) offre ai visitatori ancora punti interessanti, come la Basilica di San Nicola, dove i pellegrini sostavano per venerare le reliquie del santo. Ma i temi che possono offrirci spunti per un viaggio sono infiniti. La Regione Marche punta sugli eremi rupestri, la Comunità Montana di Valle Trompia sulle miniere, la Regione Liguria sui giardini della Riviera... Trattasi di valide chiavi di lettura del territorio, tutte caratterizzate da un contenuto culturale sicuro ed esplicito. Bisogna avere solo la pazienza di scartabellare e scegliere fra le migliaia di proposte. Oppure si può ricorrere al vecchio, collaudatissimo sistema che consiste nel lasciarsi ispirare da qualche bel libro o romanzo, o dal nostro stesso, caotico, girovagare.

 

INTERVISTA A PAOLO PACI, SCRITTORE VIAGGIATORE

In “Cuochi, artisti e visionari. Storie di viaggo da Milano a St. Moritz (2004)Paolo Paci descrive l’impatto dell’enogastronomia sul turismo e con ironia racconta come da reporter sia diventato “un profeta del prodotto tipico”. Ma, inesorabilmente, la sua anima di viaggiatore riemerge e il prodotto tipico diventa il pretesto, il punto di partenza per muoversi e lasciarsi “distrarre” dal territorio.

 

Fra gli effetti di questa invasione del tema “food” c’è anche la proliferazione di strade intitolate a vari prodotti tipici. Pensi che questa nuova moda possa promuovere il territorio o contribuisca a svilire il concetto di strada e di turismo in generale?

Riguardo all’istituzione delle strade gastronomiche, c’è da chiarire una cosa: a parte qualche eccezione (ad esempio la storica Weistrasse in Alto Adige), non si tratta di strade vere e proprie, itinerari che si possano seguire con una logica geografica. Piuttosto, sono un coacervo di realtà aziendali che si consorziano per dare un valore aggiunto ai propri prodotti, più o meno di qualità. Sta al viaggiatore trovare, all’interno di queste proposte, un fil rouge da seguire, collegando magari solo qualche cantina o qualche caseificio e arricchendo comunque l’itinerario di altre visite e suggestioni. Infatti, checché ne dicano i moderni buongustai, non si vive di sola gola e la scoperta di un vitigno autoctono o di un raro formaggio d’alpeggio devono essere solo strumenti per conoscere più a fondo i territori in cui ci muoviamo.

 

Come si trasforma una gita “degustativa” in un’esperienza di viaggio?

Quello che un vero viaggiatore del gusto deve cercare, a mio parere, è il genius loci, anche dove il loco non è particolarmente bello o piacevole. Sono l’elemento umano, la storia degli uomini del presente e del passato, a rendere interessante un territorio. L’acquisto di un prodotto tipico non ha senso, se chi compra non si interessa della storia che gli sta dietro, una storia tutta umana. Prendiamo l’esempio di un formaggio di montagna: una semplice degustazione ci porta in un mondo fatto di alpeggi, transumanze stagionali, modificazioni millenarie dei territori d’alta quota, e di un’economia che si allarga alle fasce pedemontane e ne influenza la società, la gastromnomia, i nomi stessi delle cose, i toponimi dei paesi, i cognomi delle persone. Il Bitto, come il Caciocavallo Podolico, non sono solo formaggi, sono piccole facce dell’infinita storia dell’uomo.

 

Ritieni che la gastronomia o la “controcucina”, come la chiami tu, saranno sempre così invasive rispetto al turismo o il tempo ridimensionerà il loro peso?

Difficile dire che fine farà il new deal della gastronomia italiana. Di sicuro, ne rimarrà una traccia profonda, nel costume ma anche nel modo di viaggiare, per la maggior consapevolezza che le nuove generazioni avranno acquisito rispetto ai metodi di produzione alimentare e alle tradizioni locali. Ma personalmente, preferirei che una nuova sensibilità si sviluppasse: rispetto alla natura e al paesaggio, ad esempio, che sono temi e prospettive di viaggio meno anguste delle sale dei ristoranti.

 

Oltre alla gastronomia, stanno tornando alla ribalta temi storico-culturali come la Via Francigena, rivalutata da alcune regioni. Alla fine, però, lo scopo è sempre quello di attirare i turisti, ma abbiamo paura che l’operazione venga condotta solo con quello scopo, con leggerezza: il mezzo nobilita il fine?

Trovo che uno dei dibattiti più interessanti degli ultimi tempi sia quello che riguarda la cosiddetta “mobilità dolce”, cioè tutte le alternative agli spostamenti motorizzati di massa: a piedi, in bicicletta, in treno e anche in moto, dove questa sia veramente uno strumento di libertà. Di pari passo si stanno rivalutando e restaurando tutti i percorsi, storico-artistici, ma soprattutto naturalistici, che permettono al viaggiatore di assaporare sensazioni antiche, di solitudine, di lentezza. La Via Francigena, la rete dei sentieri e delle ferrovie secondarie, i passi alpini scelti al posto dei tunnel autostradali, sono un esempio di questo movimento, ma per loro natura rimarranno “prodotti” di nicchia. La massa dei turisti sarà sempre da un’altra parte (per fortuna).

 

Quali sono, secondo te, le strade italiane che val la pena di percorrere almeno una volta nella vita?

Lasciamo perdere le inesistenti strade del gusto. Parliamo piuttosto di territori lontani dalle autostrade e dagli affollamenti estivi, parliamo dell’immensa e negletta provincia italiana, che sulle Alpi o in Appennino si corruga in territori impervi e dimenticati. Valichi alpini meravigliosi: Piccolo San Bernardo, tra Pré St.Didier e Bourg St:Maurice; colle dell’Agnello tra Ponte Chianale e il Quèyras; il passo San Marco tra Val Brembana e Valtellina; lo Spluga da Chiavenna alla valle del Reno; e andando verso est, il passo Resia, il passo di Monte Croce Carnico e perché no, lo Stelvio che almeno una volta nella vita va fatto. Strade d’Appennino impossibili da ricordare tutte: ma se va fatto qualche suggerimento, le provinciali della valle del Metauro e del Foglia, nelle Marche; la statale tra L’Aquila e Sulmona in Abruzzo; le strade intorno al Pollino, da Scalea a Castrovillari e Belvedere Marittimo, in Calabria. E mille altre, con fantasia. Infi ne, in un giorno feriale, in bassa stagione, con lo sciopero dei benzinai in atto e una partita della nazionale in televisione, la strada della Costiera Amalfitana.

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